Raramente ho ascoltato un disco così variegato come One-Eyed Jack di Garland Jeffreys. Per la verità non conoscevo questo artista, afro-americano e di origine portoricana, che a quanto apprendo, si è cimentato con tutto evidenziando una floridissima vena cantautoriale. Non so se più per questo, o piuttosto perché quando si toccano tanti estremi spesso il motivo è la mancanza di nuove idee e allora ci si confronta con quanto già scritto, detto e cantato.
STORIA. Dopo i travagli dell’uscita del suo terzo album da solista, Ghost Writer, uscito nel 1977, One-Eyed Jack segue l’anno successivo e si inserisce in un periodo di grande ispirazione che porterà Geffreys a pubblicare cinque dischi in altrettanti anni. A stimolare il cantante newyorkese ci pensò il produttore David Spinozza, che gli affiancò un gran quantità di artisti della Grande Mela che allora facevano capo agli Atlantic Studios. Si annoverano i batteristi e percussionisti Steve Gadd e Ralph MacDonald, i tastieristi Don Grolnick e il Dr. John, i chitarristi Jeff Mironov, Hugh McCracken, nonché lo stesso Spinozza. Oltre a una sezione di fiati, tra cui va annoverato David Sanborn e i fratelli Brecker, arricchita dai cantanti in background di David Lasley, Phoebe Snow (che duetta con Jeffreys su Reelin’) e Luther Vandross.
IMPORTANZA. One-Eyed Jack non verrà ricordato come una delle migliori produzioni di Garland Jeffreys, almeno non come il precedente Ghost Writer o Guts For Love. Potrebbe essere considerato piuttosto il classifico album uscito perché andava fatto, e basta. Tuttavia, ciò dimostra come Jeffreys fosse in quel momento uno degli artisti più seguiti nel panorama East Coast e non solo.
SENSAZIONI. D’accordo con la recensione di AllMusic, One-Eyed Jack sembra diviso in due lati. Il primo è un campionario pop commerciale, di musica leggera melodica, con qualche traccia di funky che apparentemente ricorda Prince. Senza disdegnare i temi a lui più cari, come la lotta contro le discriminazioni razziali, in questa prima parte di album Garland Jeffreys canta soprattutto temi di amore. Ma appena si gira il disco sul lato B, torna al passato, alle sue radici sudamericane e a quel reggae che ben si associa alla sua voce. E non solo per l’interpretazione di un’immancabile No Woman, No Cry. Un reggae che è una via di mezzo tra Peter Tosh e gli UB40. La seconda parte è quindi molto più personale, e mischia il raggae al rock & roll, al blues e al soul, tanto da far parlare di un misto tra Mick Jagger e Celine Dion. Molto più azzeccato il primo confronto, perché con il cantante dei Rolling Stones sembra quasi esserci un senso di imitazione.
CURIOSITA’. Il disco precedente, Ghost Writer, venne pubblicato nel 1977 dopo diverse traversie anche legate al pagamento degli utili derivanti dalle vendite. Nell’ultima traccia del successivo One-Eyed Jack, il brano Been There & Back, Jeffreys sembra rivendicare con la A&M Records tali controversie, cantando un sibillino verso: «Thanks for all the great reviews… Now show me some cash». Grazie per tutte le grandi recensioni (relative al disco precedente), ma ora fatemi vedere qualche soldo…