Che Serge Gainsbourg scrivesse e componesse canzoni, lo sapevamo tutti. Che fosse un terribile seduttore, e che avesse avuto amanti belle e affascinanti come Brigitte Bardot e Jane Birkin, anche questo, forse, lo sapevamo già. Che fosse un artista irriverente e ribelle, un bastian contrario, che bruciasse franchi in tv, che collaborasse con la figlia Charlotte in imprese artistiche dal sapore d’incesto, beh, questo lo sappiamo per forza. E’ ai vertici del wikipedismo d’assalto.
Riedito in traduzione italiana da Isbn Reprints (8 euro), Gasogramma, scritto negli anni 80: questo forse non lo sapevamo. E’ il suo unico romanzo, breve. E parla di lui. O meglio dell’Artista, un’ allegoria del sé, in chiave ironica. Complicato? No, non direi. Da precisare: Gainsbourg degli esordi fu allievo di Boris Vian, e questo si vede, soprattutto dal punto di vista stilistico: uso spegiudicato dei linguaggi, irrisione del’attuale, biografia-antibiografia.
La storia è quella di un artista che fa del suo più gran difetto la sua fortuna creativa: un’imbarazzante disfunzione intestinale gli permette di realizzare, su tela, Gasogrammi.. Se pensiamo al nome di queste tele, capiamo senza troppi sforzi di che cosa si tratta.
A fronte di questo aspetto, ridicolo, della creatività, Gainsbourg ci induce a fare delle considerazioni. Che cos’è l’arte, ai nostri giorni? E chi è l’artista? L’artista si scopre per caso, perché non è lui a vedersi tale, ma la critica a stabilirlo, con il suo vocabolario, le sue categorie, i suoi dogmi, dando un prezzo all’opera d’arte e definendola. E così avviene per i Gasogrammi: “alcuni critici parlarono di iperastrazione, di insistenza stilistica, di misticismo formale, di certezza matematica, di tensione filosofica, di rara euritmia, di lirismo ipotetico-deduttivo, altri di mistificazione, di bluff e di cacca” E’ chiaro che Gainsbourg qui si prende gioco del linguaggio da critica, delle definizioni da manualetto universitario che impazzano tra gli studenti di arte, filosofia, lettere.
Altrettanto chiaro è il ruolo del caso, nella vita di Sokolov, l’artista alter-ego di Gainsbourg. Questo stabilisce, almeno a un livello di immagine, la percezione che hanno gli altri di Solokov: un artista, un seduttore cinico: “Intrattenni numerosi idilli con l’uno e l’altro sesso ma, o per egoismo oppure perché temevo di veder svelato il mio segreto, non volevo legarmi. Mi guadagnai così la fama di seduttore incostante, cinico e disinvolto, ma stanco di operare su partner scarsamente ricettivi (…)”.
Bisogna dire, diversi erano i tempi in cui Gainsbourg scriveva questo romanzetto, l’arte era più politica, più intellettuale, ma i concetti di fondo restano. Al tempo andavano di moda domande come “Sokolov what is your political position about art?” e il fatto che sia in inglese (precisamente nella finzione letteraria è un giornalista americano a porre la domanda), non è privo di significato. Domande che andavano di moda un tempo, e che sarebbe, forse, non dico utile, ma interessante rilanciare in questi tempi apolidi e apolitici.
Domanda a cui l’artista risponde con un peto. Non per scelta, ma per necessità.
Brillante, audace, e, come dicono i francesi, n’importe quoi. In pratica: da leggere.