di Vincenzo Andraous. Ritorno sgangherato alle armi, ai proiettili che sbattono a terra, alle parole che fanno male, scavano crateri, delimitano le fosse. Forse ci vuole più memoria, non tralasciando chi è troppo giovane per ricordare, per sapere, per conoscere, per farci i conti con una ingiustizia che non risparmia gli innocenti, peggio, li relega tra gli ”eventi critici” accettabili. Occorre parlarne perchè non si tratta di un tempo bloccato, di tragedie che stanno dietro le spalle: sono immagini impolverate che non scompaiono, costringono a pensare per non rimanere nuovamente alla finestra a osservare la vita che se ne va, senza un’emozione che diventa compassione, o la consapevolezza di una partecipazione che non consente rese anticipate alla prepotenza di turno. Colpi e deflagrazioni misteriose, bombe intelligenti assai deficienti, unica certezza il sangue sparso all’intorno, condanna delle condanne, l’indifferenza sullo scranno più alto se ne sta seduta scomposta. Quando a terra, da ambo le parti, ci sono i corpi feriti e dilaniati di donne, vecchi e bambini, ciò sta a significare una violenza ottusa e conclusa, è difficile cogliere ciò che non sta al suo posto, quanto è andato fuori tempo e spazio, perché è un male profondo, terribile, attanaglia le viscere, imprigionando il cuore con i legacci del male che producono altro male per tentare inutilmente di vincerne la resistenza. Senza bisogno di essere professionisti delle condotte guerrafondaie, appare evidente lo sfacelo intellettuale e politico che attraversa la giustizia dell’ingiustizia, uno sgretolamento vero e proprio delle coscienze, come se non ci fosse più rispetto per la vita, non più intesa come qualcosa di eccezionale, coinvolgente, entusiasmante, s’è deformata al punto da annegare nella propria asfissia istituzionale. A Gaza, in Israele, come in Siria, in Libia, le bombe, i cingolati dell’odio e la vendetta, hanno vessilli sgargianti a difesa, a protezione, manifesti e slogan di potenza altisonante, negli spari alle spalle degli innocenti, passi affrettati che squarciano i diritti e le libertà di ciascuno. In questa logica del sangue e della sua imperdonabile vergogna, non può esserci spazio per le semplici opinioni comuni, si corre il rischio di essere tacciati di scombussolata partigianeria, di influenze naziste, dentro attendibilità prive di responsabilità. Le storie di quei corpi disarticolati, infranti più del dolore che ne deriva, confermano un adattamento mondiale al ricorso delle armi, alle fosse comuni, come quelle a cielo aperto, una prassi consolidata degli interessi statuali a discapito dei diritti, una sopravvivenza che induce a non sapere più conformarsi alla scuola del rispetto, che nasce dall’esempio più autorevole: "vi sono cattivi esploratori i quali ritengono che non vi sia più terra quando intorno non riescono a vedere che il mare".
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di Vincenzo Andraous. Ritorno sgangherato alle armi, ai proiettili che sbattono a terra, alle parole che fanno male, scavano crateri, delimitano le fosse. Forse ci vuole più memoria, non tralasciando chi è troppo giovane per ricordare, per sapere, per conoscere, per farci i conti con una ingiustizia che non risparmia gli innocenti, peggio, li relega tra gli ”eventi critici” accettabili. Occorre parlarne perchè non si tratta di un tempo bloccato, di tragedie che stanno dietro le spalle: sono immagini impolverate che non scompaiono, costringono a pensare per non rimanere nuovamente alla finestra a osservare la vita che se ne va, senza un’emozione che diventa compassione, o la consapevolezza di una partecipazione che non consente rese anticipate alla prepotenza di turno. Colpi e deflagrazioni misteriose, bombe intelligenti assai deficienti, unica certezza il sangue sparso all’intorno, condanna delle condanne, l’indifferenza sullo scranno più alto se ne sta seduta scomposta. Quando a terra, da ambo le parti, ci sono i corpi feriti e dilaniati di donne, vecchi e bambini, ciò sta a significare una violenza ottusa e conclusa, è difficile cogliere ciò che non sta al suo posto, quanto è andato fuori tempo e spazio, perché è un male profondo, terribile, attanaglia le viscere, imprigionando il cuore con i legacci del male che producono altro male per tentare inutilmente di vincerne la resistenza. Senza bisogno di essere professionisti delle condotte guerrafondaie, appare evidente lo sfacelo intellettuale e politico che attraversa la giustizia dell’ingiustizia, uno sgretolamento vero e proprio delle coscienze, come se non ci fosse più rispetto per la vita, non più intesa come qualcosa di eccezionale, coinvolgente, entusiasmante, s’è deformata al punto da annegare nella propria asfissia istituzionale. A Gaza, in Israele, come in Siria, in Libia, le bombe, i cingolati dell’odio e la vendetta, hanno vessilli sgargianti a difesa, a protezione, manifesti e slogan di potenza altisonante, negli spari alle spalle degli innocenti, passi affrettati che squarciano i diritti e le libertà di ciascuno. In questa logica del sangue e della sua imperdonabile vergogna, non può esserci spazio per le semplici opinioni comuni, si corre il rischio di essere tacciati di scombussolata partigianeria, di influenze naziste, dentro attendibilità prive di responsabilità. Le storie di quei corpi disarticolati, infranti più del dolore che ne deriva, confermano un adattamento mondiale al ricorso delle armi, alle fosse comuni, come quelle a cielo aperto, una prassi consolidata degli interessi statuali a discapito dei diritti, una sopravvivenza che induce a non sapere più conformarsi alla scuola del rispetto, che nasce dall’esempio più autorevole: "vi sono cattivi esploratori i quali ritengono che non vi sia più terra quando intorno non riescono a vedere che il mare".
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