A chi resiste. A chi lotta. A chi insorge. A chi continua ad amare questo popolo. A Gaza.
Ecco a chi è dedicato il libro dell’attivista italiana, Silvia Todeschini, “Perché amo questo popolo. Storie di resistenza palestinese da Gaza”. Il libro raccoglie e intreccia diverse interviste effettuate dall’autrice nella Striscia di Gaza tra settembre e dicembre 2011. Tramite le voci di queste persone, l’autrice cerca di fare emergere tutte le varie sfaccettature di questo conflitto. Il filo rosso è quello della resistenza all’occupazione israeliana che si declina in diverse modalità e tipologie, a seconda delle differenti estrazioni sociali e degli orientamenti politici degli intervistati.
La resistenza di Gaza, quella prigione a cielo aperto unica al mondo, viene spesso dimenticata da chi parla di Palestina. Difficile da raggiungere, difficile da immaginare. Ma Gaza c’è e resiste, attraverso i suoi giovani blogger o rapper, attraverso i contadini e i pescatori che quotidianamente rischiano la vita per svolgere due tra i mestieri più innocui del mondo, attraverso la madre di famiglia che cresce i figli da sola, attraverso chi, ancora, crede nel diritto alla resistenza armata contro la forze occupante e tenta di lanciare razzi contro la forza occupante.
Esattamente com’è successo il 12 marzo, quando più di una trentina di razzi sono stati lanciati dalla Jhiad Islamica di Gaza verso le città israeliane limitrofe, da Ashdot a Sderot, costringendo gli abitanti del sud di Israele a trovare riparo nei rifugi. Almeno tre razzi sono stati intercettati e abbattuti dal sistema antimissilistico “Iron Drome”, mentre otto hanno raggiunto il bersaglio, senza causare danni sostanziali. Quest’azione potrebbe essere una reazione all’uccisione di tre militanti e al bombardamento aereo da parte delle forze israeliane o, più semplicemente, un modo per rompere l’assordante silenzio che avvolge Gaza e i suoi abitanti. Silenzio che, secondo le parole del premier Netanyahu, sarà rotto con assordante rumore se non tornerà la quiete nel sud di Israele. E la prima rappresaglia c’è stata proprio il 12 marzo con la distruzione di un campo di addestramento delle Brigate al-Qassam, braccio armato della Jihad islamica, e altri 29 obiettivi “strategico-militari”, premendo così su Hamas, affinché ponga fine agli attacchi.
Intanto all’interno della Knesset il dibattito assume toni incandescenti dopo l’intervento del ministro degli Esteri, Avigord Lieberman: “Dopo un attacco come questo non ci sono alternative ad una piena rioccupazione dell’intera Striscia di Gaza“, contestando apertamente la decisione, presa nel 2005 dall’allora primo ministro Ariel Sharon, di ritirare le forze di occupazione e i coloni dalla Striscia di Gaza. L’attacco israeliano è proseguito persino dopo la tregua mediata dall’Egitto nel pomeriggio di ieri, distruggendo altri sette siti. La zona più colpita è quella di Khan Younis, nella parte meridionale della Striscia. Uno dei missili è stato diretto contro una fabbrica di Sabra, ferendo tre bambini.
Ed è proprio da questi ultimi avvenimenti che si capisce l’urgenza di tenere i riflettori puntati su Gaza. “Non vogliamo denaro. Non vogliamo assistenza psicologica. Vogliamo uscire di casa senza avere paura degli spari. Vogliamo addormentarci senza avere paura di essere attaccate. Vogliamo che scriviate la nostra storia, così poi la gente lo sa e qui le cose cambiano. Vogliamo che restiate qui, che non ci abbandoniate”, queste le affermazioni riportate dall’attivista italiana nel suo libro. Da queste frasi e da quelle delle blogger, del rapper, del contadino, delle attiviste BDS, del militante, del prigioniero, dalle accuse ad Oslo alle critiche contro la comunità internazionale e i suoi aiuti umanitari, si capisce quanto difficile sia la vita a Gaza, non solo quando è sotto attacco ma in ogni piccola azione quotidiana. Voci diverse, storie diverse che Silvia Todeschini raccoglie dentro un unico grande appello: ricordatevi di noi, state al nostro fianco, venite, guardate, raccontate, affinché il mondo sappia. “Deve essere chiaro a chi ci supporta che questo non è un problema umanitario, ma politico. Non vogliamo i vostri soldi, vogliamo che lottiate al nostro fianco”.
Le storie di queste persone hanno l’incredibile forza di far andare chi legge oltre il muro dell’occupazione e scorgere nelle voci di chi parla non personalità sotto assedio ma solo persone, uomini e donne con le nostre stesse paure, emozioni, sogni. I gazawi non dimenticano da dove vengono, chi ha invaso le loro terre. La loro memoria sopravvive di generazione in generazione rendendoli in grado di contrastare un esercito con la perseveranza. La memoria è la loro resistenza. Perciò parliamo di Gaza, leggiamo di Gaza, scriviamo di Gaza, non dimentichiamo perché conosciamo sulla nostra pelle quanto importante sia il peso della memoria.