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“La natura è crudele, -disse, -ma il trattamento più crudele lo riserva ai suoi talenti più belli, più straordinari, a quelli da lei prescelti. Li calpesta senza batter ciglio”. Il pittore non stima molto sua madre, ancor meno suo padre.
Un modo per entrare brutalmente in un libro che non lascia indifferenti che alla fine, all’unhappy ending ci trova cambiati se ne siamo disposti, se ne siamo capaci, forse in meglio o in peggio chissà, bisognerebbe stabilire se cambiare in qualche modo sia sempre un morire e se dobbiamo trovare una ragione per resistere al processo o rimpiangere o dolersi della morte del tempo. Il libro è Gelo e l’autore è Thomas Bernhard.
E’ un pensiero del protagonista, il pittore pazzo(?) Strauch. Il pensiero è tra virgolette e viene riportato in modo diretto, poi subito dopo c’è una voragine, come si aprisse un abisso improvviso sotto i piedi, almeno a me pare così, ditemi se sbaglio, di colpo il pensiero viene riportato dall’assistente che su incarico del fratello del pittore lo segue nelle sue passeggiate per la terra di Weng. E’ un pensiero apparentemente privo di connessioni logiche con quello che precedeva. D’altronde perché scegliere un pensiero diretto del pittore su un argomento e poi riportare un pensiero del pittore ma con le parole di un altro personaggio (tutto cambia di prospettiva se l’orecchio è un altro, se le parole appartengono ad un altro anche se riportano più o meno fedelmente (quanto ci possiamo fidare di questo personaggio) quel pensiero espresso dal pittore in un altro momento ? nello stesso momento ? forse mai ?).
Ecco qui in questa scelta stilistica...