La storia della letteratura è formata da capolavori indiscussi, opere che hanno segnato un'epoca e che continuano a emettere il loro eco anche a distanza di anni - se non secoli - dopo la loro prima pubblicazione. Ma attenzione, ogni cosa va trattata secondo la sensibilità di chi li legge. I capolavori esistono, ma non è detto che debbano piacere per forza. Certo, va mantenuta una certa obiettività, una certa analisi di base non superficiale che ci faccia capire molte cose, ma i suddetti pilastri siamo liberissimi di non farceli piacere. Per dire, pur ammettendo che sia stato un libro fantastico e rivoluzionario (allora come oggi) io non sono mai riuscito a farmi ammaliare da 1984 di Orwell, preferendogli sempre Animal farm. E questo lo prendo come un mio personale limite, che sono liberissimo di avere in quanti persona pensante e conscia della cosa, ma liquidarlo con leggerezza è una cosa che non mi azzarderei mai a fare. Perché riconosco tutto quello che ha significato per l'epoca in cui è stato scritto e come i suoi messaggi siano ancora integri nel presente, anzi, forse più rafforzati, per certi versi. La stessa cosa mi è successa con Madame Bovary di Gustave Flaubert, uno dei primi esempi della corrente realista, un capolavoro indiscusso della letteratura che però, ahimè, proprio non sono riuscito ad amare come avrei dovuto.
Martin Joubert ha lasciato Parigi per spostarsi nella Normandia, dove ha ripreso a lavorare nella panetteria dei suoi genitori. A interrompere la noiosa tranquillità delle sue giornate ci pensa l'arrivo dei Bovery che, grazie alla semi-omonimia con la protagonista del suo libro preferito, Madame Bovary, risvegliano l'attenzione di Martin. Convinto che la letteratura il più delle volte si mischi con la realtà, Martin inizia a essere ossessionato dalla bella Gemma, la cui presenza nel paesino metterà a rischio l'equilibrio di molti...
Se penso a Gemma Arterton, subito la mente mi va al sottovalutatissimo Tamara Drewe, simpaticissima commedia inglese che per me non ha mai avuto l'attenzione meritata e che mi ha fatto fare pensieri alquanti sconci sull'interprete principale. E questo accostamento si fa ancora più ironico se pensiamo che, oltre all'omonimia con la protagonista della pellicola. la bella Gemma anche stavolta si ritrova nuovamente a recitare in un film tratto da un fumetto dell'illustratrice inglese Posy Simmonds - da bravo perditempo, io non ho ancora letto nulla di questa particolare autrice, quindi il mio giudizio va a riferirsi unicamente alla trasposizione cinematografica. Le premesse quindi c'erano tutte: è un film francese, si parte da una base letteraria e ci sono due interpreti (la Arterton e il veterano Fabrice Luchini) che, al di là degli effettivi meriti della pellicola, danno sempre buona prova di sé. C'era però un ma piuttosto grande nel mezzo, che rispondeva al nome di Anne Fontaine, una regista con la quale credo di avere discreti problemi. Di suo avevo visto unicamente il biopic Coco avant Chanel, così classico e lineare che non avrei manco nulla da dirci sopra, e Two mothers. Il problema maggiore risiedeva in quest'ultimo, perché... beh... diciamo che non era riuscitissimo. Anzi, a essere veramente signorili, diciamo che la demenzialità dell'idea di partenza non era stata cullata a dovere dalla sceneggiatura e, soprattutto, dalla regia, e ne era uscito un pastrocchio che ancora oggi ricordo in maniera abbastanza vivida - per dire, non è nella flop10 per un soffio. Qui però mi sembrava di andare sul sicuro perché il tutto era tratto dall'opera di un'autrice che aveva contribuito alla riuscita di un titolo che mi era piaciuto molto (e a questo giro ci sono pure delle locandine decenti), quindi metà del lavoro era fatto. E invece no. Perché la storia di Gemma Bovery è sicuramente raffinata, elegante e originale il giusto, eppure c'è sempre qualcosa che non torna effettivamente nel mezzo. Un po' come una ragazza che da lontano vi sembra bellissima ma che, una volta vista da vicino, vi fa accorgere che la lontananza in quel caso giovava come a un quadro puntinista. Mentre guardavo il film infatti avevo l'impressione di star vedendo una pellicola scritta con sottile bravura, eppure, nonostante i buonissimi spunti presenti sulla carta, ma diretta con in maniera decisamente goffa, quasi incompetente. Un'incompetenza che non va a riconoscersi nel posizionare la telecamera nei punti sbagliati, perché la ricostruzione estetica c'è ed è innegabile, ma dettata dall'incapacità di comunicare un'emozione e di far percepire quelli che sono i punti salienti, soprattutto nella parte centrale, cosa che aveva fatto affossare definitivamente il film sulle due arzille madri di mezza età. Ed è un vero peccato, perché il film ha dentro di sé una serie di potenzialità tali che avrebbero potuto farlo competere con titoli della portata di Dans la maison di Ozon, invece si limita ad essere una pellicola visionabile, ma nulla di più. La vita della bella Gemma si confonde e non-confonde con quella scritta da Flaubert, portando alle riflessioni dovuto sull'amore e la contesa, che però risentono sempre di una certa fiacchezza che non fa compiere mai il balzo definitivo, limitandosi a una planata a volo d'uccello. Cosa resta quindi di questa pellicola? Qualche sorriso, davvero ben piazzato, l'indugiare della macchina da presa sulle forme della Arterton (e non mi pronuncio oltre perché sennò diverrei davvero molto volgare) e un doppio finale davvero beffardo che porta una visione abbastanza sconclusionata alla sufficienza. Che in tempi di crisi forse non è poco, ma accontentarsi è decisamente ingiusto. Specie da un film che tira in ballo capolavori senza tempo, per quanto questi non mi abbiano mai colpito al cuore.
Certe volte vorremmo per davvero che l'arte incappi nella vita, ma spesso, invece, possiamo solo accontentarci del contrario.Voto: ★★ ½