Le vacanze sono finite, si ritorna a casa e al tran tran della vita quotidiana. Mi affaccio alla finestra e noto che le serrande della mia vicina di casa sono abbassate.
Dove migrerà quest’anno? Eh si, perchè la mia giovane vicina, sola con un bambino di due anni, lo scorso anno si è infilata in una panda stracolma di valigie, e con il pupo si è diretta alla volta di uno sperduto paesino della provincia lombarda, dove la attendeva un posto (per l’anno scolastico ovviamente) come insegnante in una scuola media.I primi tempi, contenta di aver trovato comunque una soluzione al proprio disagio economico, mi diceva “Com’è carino il paese, somiglia tanto a quello di Heidi (cioè: montagna, solo montagna)”. Poi è iniziata la nostalgia di “casa”, dei familiari, degli amici, della propria vita, i sensi di colpa per aver “sradicato” il figlio cosi’ piccolo (con l’amara consapevolezza che di scelte non ne aveva), l’inverno al nord che sembra non passare mai, i vicini che ti guardano sempre con sospetto anche se sei bionda ma quando apri la bocca si sente che non sei del “nodd”, il preside che certo non ti aiuta a gestire al meglio le ore di lavoro rispetto alle necessità del bimbo, perchè sei l’ultima ruota del carro.
E mentre il governo è impegnato ad ostacolare le donne nell’accesso alla pillola abortiva, piu’ che a garantire alle ragazze madri una vita decente, al Sud si consuma uno dei soliti paradossi, che ha un sapore tutto italiano. La condizione delle donne del Meridione nel 2009: altissimo tasso di disoccupazione o mala occupazione, straordinario progresso nell’istruzione, migrazione.
Di donne e occupazione in Calabria ne avevo già parlato qui (con annessa “ricetta” di Bianca Rende).
Qui, invece, quanto emerge dal Dossier Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno- Il Sud e la condizione delle donne, di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano- presentato il 28 luglio in occasione dell’inaugurazione a Foggia di FestAmbiente Sud. Una sintesi:
“Nel Mezzogiorno, nel 2009 hanno perso il lavoro 194mila persone, di cui ben 125mila erano giovani tra i 15 e i 29 anni e 49mila donne. Con la crisi, la già modesta quota di donne meridionali con un’occupazione si è ridotta, ma soprattutto si sono inesorabilmente chiuse le porte di accesso al lavoro per le giovani donne del Sud, nonostante gli elevati tassi di scolarità. Troppo spesso le giovani meridionali studiano per stare a casa, o quando va bene per emigrare.
Diversamente che in Europa, in Italia le differenze di genere nel tasso di disoccupazione continuano a essere elevate (6,8% per gli uomini e 9,3% per le donne), sebbene, quest’anno, il divario si sia leggermente ridotto per la maggiore crescita della disoccupazione maschile. Nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione femminile raggiunge, nei primi tre mesi del 2010, la percentuale del 17,6% (cinque punti in più di quello maschile, e più del doppio di quello delle donne settentrionale). Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno, per una popolazione che va dai 15 ai 64 anni, ha raggiunto nel 2009 il valore allarmante del 44,7%, e per quanto riguarda la componente femminile di appena il 30,6%: meno di una donna su tre, al Sud, risulta occupata.
Siamo in una situazione di emergenza sociale completamente trascurata dalla politica nazionale.
Nella società del Mezzogiorno accade qualcosa di doppiamente ingiusto, nel momento in cui la crescente disuguaglianza sociale si combina con una sempre più marcata disuguaglianza territoriale, e a fare le spese dell’una e dell’altra sono i giovani e le donne – soggetti deboli e risorse sottoutilizzate – in un curioso e terribile paradosso: essere le punte più avanzate della “modernizzazione” del Sud (persino sul piano civile) – perché hanno investito in un percorso di formazione e di conoscenza che li rende depositari di quel “capitale umano” che serve per competere nel mondo di oggi – e insieme le vittime designate di una società più immobile che altrove, e dunque più ingiusta, che finisce per sottoutilizzare o “espellere” le sue energie migliori.
Oggi, contrariamente a quanto avveniva ad inizio anni ‘90, il tasso di scolarità (secondaria) meridionale risulta sensibilmente più elevato rispetto a quello del Centro-Nord (94,4% contro 91,1%). Le ragazze meridionali hanno compiuto un balzo straordinario, passando dal 85,1% del 2000-2001 al 93,9 del 2008-2009 (una percentuale superiore al 92,9% del Centro-Nord). Incidono molto, il minor tasso di abbandoni precoci delle ragazze rispetto ai ragazzi.
Con riferimento all’istruzione terziaria, i progressi sono ancora più evidenti. La quota di donne meridionali laureate, con 25 anni, è pari al 50% della popolazione di riferimento,avendo raggiunto negli ultimi anni i livelli del Centro-Nord. È una percentuale ben più elevata rispetto a quella maschile, che si arresta nel Sud al 34,8% (contro il 37,1% del resto del Paese). Straordinari passi avanti sono evidenziati dal tasso di iscrizione all’Università: legiovani donne del Sud, dal 2004 al 2009, sono passate da un tasso di iscrizione universitaria del 45,6% al 51,3% – non solo di gran lunga superiore a quella maschile (35,5%), ma ben al di sopra del tasso di iscrizione femminile del Centro-Nord (41,1%).
Tuttavia, questi grandi progressi rischiano di essere vanificati da un’insufficiente capacità del sistema produttivo di assorbire queste preziose risorse umane, che in mancanza di opportunità di lavoro, come visto, sono destinate inevitabilmente alla emigrazione, specie dei giovani maggiormente qualificati. E negli ultimi anni, infatti, il tasso di passaggio all’università, dopo un forte incremento, comincia a declinare. La condizione lavorativa dei giovani, al Sud, molto più che al Centro-Nord, è infatti di “mala occupazione”: ad esempio, la mancata corrispondenza, soprattutto per i giovani meridionali, tra titolo di studio e posizione professionale. In base agli ultimi dati disponibili, nel 2005, ben 3,7 milioni di persone in Italia erano sottoccupate, possedevano cioè un titolo superiore a quello richiesto dalla professione. Di questi, oltre la metà erano giovani che lavoravano da meno di cinque anni. Il fenomeno assumeva un’intensità intollerabile per le giovani donne laureate che, in oltre la metà dei casi, svolgevano una professione che richiedeva una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta.
È proprio questo uno dei principali elementi di diversità rispetto ai fenomeni migratori degli anni Sessanta: una presenza femminile che rappresenta ormai stabilmente quasi la metà dei migranti e in alcune realtà territoriali costituisce la maggioranza. È una generazione di donne in fuga, che spesso prende d’anticipo la via del Nord, già al momento della scelta universitaria o subito dopo la laurea.
Ci sono diversi motivi per ritenere che il basso livello di attività e di occupazione femminile siano le principali determinanti della povertà e dell’arretratezza del Sud. Le inadeguatezze e i divari dello “stato dei beni pubblici” al Sud, del sistema di welfare, gravano in larga misura sulla condizione delle donne meridionali, determinando conseguenze sul piano individuale, sociale e demografico.
Si puo’, infine, definitivamente smentire quel luogo comune sulle prolifiche madri del Sud. Ormai le donne residenti nel Centro-Nord fanno più figli delle donne meridionali.
Nel 2008 il numero medio di figli per donna è stato 1,34 nel Mezzogiorno e 1,42 nel Centro-Nord. È dal 2006 che le donne del Centro-Nord fanno più figli delle donne del Sud. Tra le regioni a più bassa fertilità il Molise e la Basilicata. Da notare che al Centro-Nord più di un nato su 5 nel 2008 ha la madre straniera, mentre nel Sud soltanto 1 su 20. E proprio all’apporto degli stranieri si deve la maggiore o minore fertilità delle aree del Paese.”
(foto, dall’alto:
in basso, la spazzacamino da http://riotclitshave.com/)