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Generazione senza sogni: le partenze

Creato il 25 aprile 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

 

 

di Giorgio Galli

Generazione senza sogni: “Le partenze”

da xgiulia90x.giovani.it

da xgiulia90x.giovani.it

La mia generazione è nata senza sogni. Sembra che gli anni Ottanta abbiano allevato dei polli da batteria, delle persone tarate perfettamente sulla realtà – non schiacciate dalla realtà, ma nate già adatte, prive del desiderio vitale di qualcosa d’altro, di qualcosa di meglio. Gli anni che abbiamo vissuto avrebbero dovuto scuoterci, farci reagire: e invece le reazioni sono avvenute tutte “lungo i binari”, su percorsi già consolidati, che andavano inevitabilmente a finire nel vuoto. È parso, tante volte, di vedere all’opera la “vasta truppa psicologicamente neonazista” di cui parlava Pasolini.

Se ripenso ai miei anni d’università, capisco che ho attraversato un periodo epocale: almeno due guerre, in Afghanistan e Iraq; l’attentato alle Torri Gemelle, dopo il quale nulla è stato come prima. Ma l’ho attraversato da solo, con delle speranze, delle trepidazioni che non condividevo, e che forse altri avevano ma non condividevano con me. Che fossero dalla parte del torto o della ragione, tutti vedevano la vita facile, non si stupivano, s’indignavano solo se ad indignarsi erano in tanti; i no global, gli antiamericani, i filoamericani… si muovevano tutti in coro, su un “via” ricevuto.

Era qualcosa di diverso dalla disciplina richiesta da un’organizzazione a chi ne fa parte, ed era diverso anche da un’adesione convinta: lo descriverei piuttosto come un automatismo. L’impressione era di trovarsi di fronte a un gruppo anche quando si parlava a uno solo. Non pareva mai di parlare “da uomo a uomo”. Chi parlava con te, parlava sempre a nome collettivo. Sembrava di stare in un sistema totalitario, o in un Paese fondamentalista, dove chi parla, parla non per sé, ma per tutti, partendo dal presupposto che tutti siano uguali. Oggi si dice che “uno vale uno”: ma l’impressione che rimane nell’animo, la traccia che s’imprime e che lo incrina, è piuttosto che “uno vale l’altro”. Questo senso di intercambiabilità io l’ho visto anche nei rapporti umani, in amicizie troppo lasche, dove non contava chi eri, ma che ruolo potevi giocare. Chi aveva un carattere più particolare, poteva tutt’al più ripiegare sul ruolo del giocoliere –almeno finché gli fosse rimasto il buonumore.

Siena (da piaggiarella.it)

Siena (da piaggiarella.it)

Tutta la mia adolescenza è stata dura, solitaria e troppo vigile perché mi sentivo un tizio nudo in mezzo a gente che non solo era vestita, ma portava la divisa: e non riuscivo a parlare con nessuno perché io rappresentavo solo me stesso, mentre chiunque, dall’altra parte, aveva la forza dei numeri. Eppure, non si può avere vent’anni e non custodire una riserva di freschezza, un’adesione tragica e spensierata alla vita, una disperata fiducia nella comunione con gli altri, e un’allegria così grande che sembra di non riuscire a contenerla. Io le ebbi, e vissi la mia vera adolescenza proprio allora, complice il fatto che vivevo in una casa dello studente, a Siena. Furono anni d’idillio, d’una primavera senza fine. Ma forse questo entusiasmo era soprattutto il mio. Gli altri erano più maturi di me, nel senso che erano più disincantati. Le mie utopie, le mie indignazioni, anche quando erano indignazioni civili, restavano confinate in me, affidate a momenti di ripiegamento interiore come in questa poesia, Le partenze:

Finita l’estate
io partirò.
E nella mia valigia porterò
un libro di Hikmet
quell’Hikmet ai cui tempi e ai cui paesi
si era eroi e si chiedeva libertà.

Ma quando capiremo che anche noi
possiamo essere utili al mondo, anche dal nostro posto
se solo lo vogliamo…

A noi, quando nei fiumi
dell’abbondanza arrivano parole
sui tanti luoghi dove ci si batte
per una vita migliore, lo raccontano
come una storia lontana, forse inevitabile
quasi una favola, che vogliono si perda
in mezzo a mille risate e idiozie.
Come se il mondo potesse andare avanti
camminando coi piedi in cielo e ignorando la terra
come se si potesse rimandare
il momento di mettersi a pensare.
Qui la nostra battaglia non è per terre da liberare
è per conservare un valore, un simbolo, un amore
prima che il sonno ci chiuda occhi già ciechi.

Partiamo dunque, torniamo alle città
dei nostri studi. Quanti ragazzi a inizio di settembre
migrano dalle case: il treno che li porta
prende la luna sul tetto, o a giorno vivo attraversa l’azzurrissimo
cielo di questo mese.
Le rondini dai tetti li salutano:
ci rivedremo a San Benedetto, se tutto va bene.

Il treno mi porta a Siena. La mia casa
è abitata tutta quanta da studenti
staccata dalla città, in vista del Chianti dalle belle viti.
Là m’aspettano i miei cari amici:
Peppe e Sabrina staranno ancora insieme
io e Federica ci prenderemo in giro
per litigare e poi tornare amici
e Margherita e Irene mi parleranno
in quell’angolo in cui non è obbligato
nascondere il dolore.
S’alzerà l’alba sui viali della mensa
gli Istituti Biologici una mattina di maggio
ci vedranno avanzare sparpagliati, carovana di voci quasi intimorita
dal silenzio del sole appena sorto
per prender l’autobus e andare alla gita
mentre tutti dormono…
Le stagioni si alterneranno sul viale che va alla Coop
dove ho scoperto un po’ per volta l’arrivo della primavera.
Ci sarà Silvietta dagli occhi sereni
e con Concetta sui terrazzi della casa
andrò a farmi insegnare le stelle
da Fortunato le sere d’estate.
E in un’altra parte della città
Salvatore criticherà i miei scritti
parleremo di musica classica e di mille altre faccende
in quel modo esplosivo e surreale che solo noi
possiam capire.
Coi ragazzi del Sacro Cuore, dove prima abitavo anch’io
giocheremo di ruolo anche quest’anno
Giovanna con arguzia gentile
allieterà la facoltà di Scienze della Comunicazione
e molti treni mi porteranno per l’Italia
affollati e in ritardo.

In altri posti, dove la vita è dura
tu parti e non sai se tornerai
non sai nemmeno se vivrai ancora.
Cerchi altrove una vita migliore
ma il mare ti porta senza orari d’arrivo, senza telefoni.
E che un giorno tu parta tranquilla
noi fortunati non possiamo prometterlo
solo lo spera chi negli occhi ha custodito
quel sogno e quell’amore.

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