Breve storia dei crolli d’autostima del genere umano con un’inaspettata possibilità di ripresa
Questa storia comincia dalla bella pensata di Copernico che da padroni dell’Universo che ci credevamo ci aveva relegati ad insignificanti e magari pure mal vestiti abitanti di uno dei tanti scialbi pianetucoli più o meno gassosi orbitanti attorno al Sole.
Cartesio aveva provato a rassicurarci: non importa dove siamo o quello che ci sta attorno perchè noi pensiamo, noi siamo uomini, e questo ci rende speciali e diversi da tutto e da tutti. Ma un paio di secoli dopo un signore barbuto di nome Charles ci fece notare che siamo animali tra gli animali e che siamo arrivati dove siamo arrivati solo perché, fondamentalmente, abbiamo avuto culo.
Nel 1895, gli ultimi impavidi fiduciosi antropocentrici e specisti che si erano ancorati all’estrema convinzione di avere il pieno controllo delle loro azioni e rimanevano aggrappati al concetto di sé come un bambino piagnucoloso alle gonne della madre, lessero “L’interpretazione dei sogni” e si dettero al nichilismo.
Il libro ‘Il gene egoista’ di Richard Dawkins
Se tutto questo non ci fosse bastato, come molti di voi sapranno, e avranno letto qui su L’Undici, l’ultima batosta al nostro ego ormai striminzito è arrivata nel 1976 quando Richard Dawkins, brillante biologo inglese, ha scritto il libro “Il gene egoista” in cui espone la sua tanto geniale quanto deprimente teoria. Riassumendo in poche parole, per Dawkins non solo siamo frutto di un’evoluzione caotica e di una selezione spietata, ma non siamo neanche l’unità base di questa evoluzione. Quest’unità sarebbe invece corrispondente ai geni, i segmenti che compongono il nostro DNA. Dalla notte dei tempi fino ad oggi queste prime macromolecole si sono replicate, ingegnate e fortificate fino a costruirsi delle gigantesche macchine protettive, che manipolano a distanza e grazie alle quali possono riprodursi e perpetuarsi all’infinito. Non serve specificare che queste grandi marionette siamo noi e che in pratica i geni se ne stanno in panciolle mentre noi facciamo il lavoro sporco per loro.
Ammettiamo che come prospettiva non sia così esaltante, insomma è una di quelle cose che ti fa venir voglia di non alzarti dal letto la mattina e di far bruciare il soffritto sul fuoco. Del resto che senso ha continuare a lavorare per questi astuti signori fatti di gruppi fosfati, zuccheri pentosi e basi azotate che non ci danno neanche uno stipendio decente? Ma visto che uno degli aspetti più esaltanti della scienza è che questa è in grado di mettersi continuamente in discussione e autocorreggersi, anche contro l’apparentemente definitiva tesi di Dawkins sono state avanzate critiche e perplessità.
Denis Nobile, biologo britannico, nato nel 1936
Denis Noble, professore di fisiologia cardiovascolare a Oxford, ci propone nel suo “La musica della vita” una visione più ampia e anche più ottimista della scienza della vita. Prima di tutto, da un punto di vista di genealogia dell’esistenza, è più probabile pensare che geni e altre molecole si siano evoluti insieme e non che i geni abbiamo puramente fabbricato tutto il resto. Così per esempio è accaduto per i geni e le proteine che permettono la loro replicazione. Se Dawkins affermava che i geni dentro di noi se ne stanno “fuori dal contatto col mondo esterno” e ci determinano senza subire alcuna modifica, Noble ci ricorda invece che le ultime scoperte della biologia dicono il contrario. L’organismo è determinato non solo dai geni ma anche dal modo in cui questi geni si esprimono, i cosiddetti schemi di espressione genica, che sono profondamente influenzati dal mondo esterno. Basti pensare al fatto che cellule contenenti lo stesso identico DNA diventano quello che sono (ovvero ossee, nervose, epiteliali etc.) a seconda di dove si trovano.
La visione semplicistica secondo cui il gene è progetto e costruttore del nostro organismo è per Noble non solo limitata ma anche decisamente sciocca. Se è vero che i geni sono necessari (anche se non sufficienti) per creare le proteine che ci compongono, occorre ricordare che un organismo non è una scatola piena di proteine sparse. Le proteine hanno senso in quanto si legano tra loro per formare altro, e questo è possibile grazie all’acqua, ai lipidi e a molte altre molecole totalmente svincolate dal “dominio” dei geni. Quello che ereditiamo realmente e che ci rende organismi unitari quindi non è solo la doppia elica che molti hanno eccessivamente idolatrato e idealizzato ma anche il contesto in cui questa si trova.