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Genetica in tribunale – Una riflessione

Creato il 02 settembre 2011 da Emmecola

Genetica in tribunale – Una riflessioneL’altro giorno ho letto questa notizia, in cui si parla di una donna italiana che due anni fa uccise e bruciò la sorella. Nel processo che ne è seguito, l’imputata – Stefania Albertani – è stata condannata a venti anni di carcere. La cosa che ha fatto scalpore, e che è stata segnalata persino su un blog di Nature, è che il giudice Luisa Lo Gatto, per emettere la sentenza, ha tenuto in considerazione i risultati di un’analisi genetica e di neuroimaging. La donna avrebbe tre alleli statisticamente associati a comportamento violento, e un’alterazione della struttura cerebrale in aree legate all’aggressività e vari disturbi mentali. Questi due fattori hanno portato di fatto a una riduzione della pena, perché all’assassina è stato riconosciuto un “vizio parziale di mente”, ed è stata quindi considerata biologicamente predisposta per compiere atti violenti.

Nei prossimi giorni pubblicherò un post focalizzato sull’analisi genetica che è stata eseguita, ma nel frattempo vorrei che mi aiutaste a rispondere a questa domanda: a che cosa serve il carcere? Se il carcere rappresenta una punizione nei confronti di chi infrange la legge, allora l’infermità mentale è da considerarsi certamente un’attenuante: una persona mentalmente disturbata è “meno colpevole” rispetto a chi invece è sano di mente, e che uccide magari razionalmente e con premeditazione. Ma siamo sicuri che il carcere serva a questo? L’opzione alternativa è che esso serva a proteggere gli altri cittadini da persone pericolose: serve a tutelare cioè la sicurezza di una società. Se però vale questa seconda motivazione, allora l’infermità mentale diventa un’aggravante e non un’attenuante: immagino infatti che soggetti affetti da disturbi mentali siano potenzialmente più pericolosi. Qual è dunque il senso del carcere? E’ giusto che le neuroscienze e la genetica abbiano voce in capitolo durante un processo? La palla passa a voi.

PS: il mio dubbio, postato inizialmente su Google Plus, è stato ripreso anche su un sito americano (Genomes are us) grazie alla mitica Mary Mangan. Chissà se italiani e americani la pensano allo stesso modo!



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