Nell' ultimo mese ho avuto la fortuna di poter entrare nel territorio delle mamme, di provare l'emozione di sentirmi già una di loro, responsabile di una nuova vita che sta crescendo dentro di me.
Da una settimana a questa parte, invece, sono rientrata nel consueto ruolo di " figlia ", che si ripresenta sempre non appena metto piede in Italia e passo le vacanze nella mia famiglia. Questa parte la conosco bene e, nonostante il passare degli anni, non si è evoluta più di tanto. Per quanto io voglia bene ai miei genitori e mi manchino quando siamo lontani, mi accorgo che non appena rientro nel loro territorio il ruolo che mi hanno assegnato 34 anni fa è rimasto quasi uguale. Dalla loro bocca escono consigli (per lo più non richiesti) o commenti relativi alle mie abitudini che mi fanno innervosire, mi sento di nuovo controllata ed esaminata come lo sono stata per tutta la mia vita con loro e durante le conversazioni " più adulte " che si fanno ho sempre l'impressione che quello che dico non venga mai veramente preso in considerazione, come se mi lasciassero parlare ma in realà non ascoltassero. Il punto fondamentale, quindi, è che nei loro confronti rimango una figlia e basta, non mi sento mai sullo stesso piano, rimango su un livello inferiore, come se avessi ancora bisogno di essere guidata perchè inesperta o un po' sconsiderata.
Mi ero illusa che adesso, nella mia nuova condizione di quasimamma , le cose sarebbero cambiate, ma mi sono sbagliata. E ci rimango male.
Potrei cercare di parlare di quello che provo, di far capire loro che vorrei che si creasse tra noi un legame diverso, stabilito su un nuovo piano. Non ci riesco. So benissimo che non ho mai potuto veramente avere una discussione con i miei genitori, per i motivi elencati prima. Ogni volta che ci sono state, o ci sono tuttora, delle incomprensioni tra noi e che ho cercato di parlarne e di spiegare quello che provo, mi sono ritrovata di fronte alla stessa situazione, che puo' avere le seguenti varianti : o non mi si lascia il tempo di spiegare veramente quello che sento e mi arriva da parte loro una valanga di parole che mi ammutolisce, impedendomi di intervenire e togliendomene pure la voglia, oppure se riesco a parlare le mie parole vengono fraintese e il discorso si conclude sempre con frasi del tipo : " Vabbé, è sempre colpa dei genitori, i genitori hanno tutte le colpe... " accompagnate da facce ingrugnite e spalle che ti si voltano, chiudendo il discorso e lasciandoti li' arrabbiata e impotente. Perchè quando si parla con loro è tutta una questione di " colpe " : colpa mia o colpa loro, solo in questi termini si ragiona. Poi MA si stupisce se io mi faccio sempre un sacco di paranoie e ho sensi di colpa che mi perseguitano da tutta la vita ! Chissà mai da cosa deriva !
Ecco perchè mi rendo conto che non sono mai veramente riuscita ad avere una discussione con la mia famiglia e non ho nemmeno più speranza di riuscirci, né voglia di provarci. Mi dico che se due persone arrivano a 60 anni cosi', non ci si possa aspettare che cambino proprio adesso e si dimostrino un po' più elastici mentalmente.
Sei anni fa sono partita per la Francia, oltre che per un sogno personale, proprio per allontanarmi dalla famiglia, dal loro controllo, dai loro sguardi, dalle continue discussioni. Non ne potevo più, avevo veramente bisogno di cambiare aria, di sentirmi indipendente e di dimostrare a me stessa che ero capace di occuparmi di me, cosa che per i miei non era scontata. Mi hanno sempre fatto sentire immatura, cosi' anche in occasione del viaggio mi sono ritrovata in valigia una lettera con tutta una serie di consigli su come affrontare la mia nuova vita.
La vita all'estero, la lontananza, il vedersi solo due o tre volte all'anno, hanno permesso di nascondere e farmi dimenticare in parte tutti questi problemi tra noi. Cosi' accade che, quando ci ritroviamo dopo mesi, siamo contenti e felici. Ogni volta ci casco, cado nella trappola, nell'illusione che dura pochi giorni. Mi bastano tre o quattro giorni con loro e poi riaffiorano i vecchi problemi, le solite abitudini, le piccole frasi che sembrano innocenti e dette cosi' per dire, ma nelle quali io sento sempre delle critiche velate, delle opinioni nascoste sotto sembianze innocenti. O almeno io le interpreto cosi', poi sse provo a discuterne con loro mi vedo rispondere ovviamente che è colpa mia perchè sono permalosa e non mi si puo' dire nulla. Chi ne fa le spese in queste situazioni conflittuali è il povero MA, che si sorbisce tutte le mie sfuriate di nascosto, chiusi in camera, per non farmi udire dai miei, che sanno benissimo in realtà quello che sta succedendo dietro quella porta chiusa. MA cerca sempre di mediare, di farmi ragionare, di tranquillizzarmi dicendomi che è inutile che io me la prenda cosi', che sappiamo benissimo come sono fatti e di lasciare correre, di non rovinarci le vacanze dietro a questi pensieri. Solo che io non ci riesco, mi illudo sempre che le cose con loro cambino. Quando ci sentiamo al telefono o per mail, con 1000 km di distanza tra noi, sembra sempre che la situazione sia diversa, ma poi appena ci riavviciniamo i problemi riaffiorano.
In questi ultimi mesi stavamo riflettendo, su mia proposta, sulla possibilità di tornare in Italia, per riavvicinarci alle famiglie, in particolare alla mia visto che al Sud le possibilità di lavoro sono comunque molto scarse. Io vorrei che Paciocco crescesse vicino a zii e nonni, sento il bisogno di averli all'interno della nostra vita, di avere anche un aiuto se necessario. Pero' poi, non appena torniamo in Italia, mi vengono un sacco di dubbi. Oltre alla questione della qualità di vita (lavoro, aiuti alle famiglie da parte dello Stato, la Sanità che qui in Italia costa molto di più) che è nettamente inferiore a quella che abbiamo in Francia, c'è proprio il problema di quale sia la giusta distanza da tenere con la famiglia. Troppo lontani si soffre, ma troppo vicini pure ! Quando rientro a casa dei miei non mi sento tranquilla, non mi sento contenta come mi sarei aspettata ed ogni volta questa disillusione mi fa stare male. Mi innervosisco, perdo di vista le nostre priorità : in quseto momento il fatto che stiamo anche noi per avere una famiglia, di occuparmi della mia gravidanza, del fatto che Paciocco cresca bene e che sia sano. Mi rirovo invece a cercare di gestire una serie di sensazioni negative che mi attorcigliano lo stomaco e mi fanno aumentare le nausee.
Non voglio vivere cosi', non voglio perdere di vista le cose veramente importanti, districarmi in discussioni inutili e rancori.
La decisione di rientrare in Italia mi appare sempre più avventata e dettata da una sorta di devozione filiale e da sensi di colpa che non hanno molto senso. La priorità va alla nostra famiglia, a quello che vogliamo creare ora. In tutto cio' non ci dimentichiamo di certo di essere anche figli, di avere dei genitori che hanno fatto tanto per noi. Tuttavia abitare in Francia non vuol dire nemmeno stare dall'altra parte della Terra, da porta di casa nostra a casa dei genitori ci vogliono 5 ore di viaggio... Cercare di conciliare la nostra vita all'estero con gli affetti in Italia non è impossibile, richiede certo più fatica ed impegno. Lo abbiamo fatto fino ad ora, anche se non siamo sempre riusciti a rientrare cosi' spesso come avremmo desiderato. D'altra parte è anche vero che da parte delle famiglie non siamo stati molto agevolati: per varie ragioni, I miei genitori sono venuti insieme a trovarmi solo una volta in sei anni (mia mamma Quattro volte) ed I miei suoceri tre volte! Se riuscissimo a stabilire un impegno equo da entrambe le parti la situazione potrebbe migliorare. Non dobbiamo sentirci in dovere sempre solo noi di rientrare in Italia, non è che la scelta di emigrare sia stata dettata da un capriccio, ma da una serie di ragioni legittime che ci hanno spinto a lasciare un Paese che non ci offriva nessun futuro stabile.
E voi ? Come sono i rapporti con le vostre famiglie ? Per chi di voi vive all'estero o in città lontane da quella di origine provate mai la voglia di tornare alla base ? Pensate che vivere lontano da parenti e genitori sia difficile ?
