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Genocidio del Ruanda: il massacro che ha generato una guerra eterna fra Hutu e Tutsi

Creato il 07 aprile 2015 da Alessiamocci

Nel continente africano la fine della guerra fredda non aprì scenari di pace. Lo sterminio dei Tutsi non è stato nemmeno l’ultimo massacro sistematico essendo seguito dagli ancora più recenti genocidi del Darfur, nell’ovest del Sudan e da quello dei palestinesi nella propria terra.

Nel 1994, in tempi così recenti, si consuma quello che sarà il più grande massacro dalla fine della seconda guerra mondiale sotto gli occhi delle potenze occidentali che non intervengono assolutamente se non per portare via gli occidentali presenti nel Ruanda al momento dell’eccidio.

Questo genocidio che si attuò fra l’aprile e il luglio del 1994, è stato il palese risultato delle politiche coloniali e post coloniali quanto meno irresponsabili e sconsiderate che si sono intrecciate con il retaggio storico africano.

Quello del Ruanda è un genocidio diverso che vede il massacro nell’arco di poco tempo, soli cento giorni di un numero spropositato di persone (Tutsi). Vengono massacrate sistematicamente a colpi di armi da fuoco ma soprattutto con machete e bastoni chiodati non meno di 800 mila vittime, uomini donne e bambini.

Il Ruanda è un piccolo Stato dell’Africa centrale, che si trova nella regione dei Grandi Laghi, terra fertile e densamente popolata, considerata una delle aree più ricche del mondo. In questa zona vi è il 30% del cobalto mondiale, una quantità analoga di rame e poi diamanti, oro, petrolio e tanti minerali rari e preziosi.

Alla fine del XIX secolo questa regione dei grandi laghi venne spartita fra Gran Bretagna (Kenya e Uganda), Belgio (Congo), e Germania (Ruanda e Burundi). Così solo nell’ottocento, nel contesto dell’affermazione del colonialismo europeo tedesco nel Ruanda, si comincia a parlare di Huto e Tutsi, differenze che vengono fortemente accentuate dai tedeschi per poter controllare meglio l’amministrazione del paese.

Ma in realtà Tutsi e Hutu fanno parte dello stesso ceppo etnico culturale Bantu; lingua, religione e tradizioni sono assolutamente le stesse per entrambi i gruppi.

Gli “Hutu” rappresentavano la maggioranza della popolazione, circa l’85% mentre i “Tutsi” erano solo il 14%.

I Tutsi, seppure minoritari rispetto agli Hutu vennero integrati nell’amministrazione coloniale, come uomini di fiducia dei colonizzatori.

Così in Ruanda venne introdotto il concetto di etnia (razza), che trova la sua massima espressione razziale nel 1933 quando i belgi, successivi colonizzatori, inseriscono l’etnia di appartenenza (Hutu e Tutsi) sui documenti di identità ruandesi. Dopo la prima guerra mondiale con il trattato di Versailles il Ruanda assieme al Burundi caddero sotto il dominio coloniale Belga che adotto la stessa identica politica di rigida contrapposizione fra queste due etnie.

Dalla vicenda risulta chiara l’influenza dei media, in particolare della radio, nell’alimentare l’odio e fomentare una guerra che ha causato il genocidio di oltre 800 mila vittime. Gli Interessi economici (petrolio e minerali), l’irresponsabilità della classe politica e dei canali di informazione sono da ritenersi i maggiori responsabili di questo genocidio.

“Senza armi da fuoco, machete o altri oggetti, voi avete provocato la morte di migliaia di civili innocenti” ha detto il giudice Navanathem Pilay introducendo la sentenza del media trial, il processo che, per la prima volta, riconobbe in sede giuridica le responsabilità oggettive dei media nel veicolare e strumentalizzare idee estremiste, ed equiparò le responsabilità degli imputati a quelle degli organizzatori materiali del genocidio.

I rapporti tra i due gruppi entrano in uno stato di tensione quando i colonizzatori tedeschi, prima, e i belgi poi, nei primi decenni del Novecento, inseriscono i più ricchi e colti tutsi nell’amministrazione coloniale ponendoli al di sopra degli hutu accendendo così una violenta rivalità. I belgi redigono carte d’identità etniche rendendo chiusi i due gruppi quando prima non lo erano.

L’appoggio belga ai Tutsi termina negli anni ’50, a seguito del malcontento provocato dallo sfruttamento coloniale, che portò gli Hutu a ribellarsi ai Tutsi e i Tutsi a progettare l’indipendenza del paese dal Belgio. I colonizzatori scelsero allora di appoggiare la rivolta degli Hutu.

Difatti negli anni ’50, con l’affermazione del Parmehutu, il partito per l’affermazione degli Hutu, fondato da un gruppo di intellettuali Hutu, inizia la lotta di denuncia del dominio razzista dei Tutsi che proponeva una nuova rivoluzione sociale basata, questa volta, sulla superiorità razziale degli Hutu.

La rivoluzione hutu del partito Parmehutu ebbe successo e portò il Ruanda a dichiarare l’indipendenza nel 1962 mettendo fine a decenni di colonialismo: viene così abolita la monarchia e proclamata la repubblica con Gregoire Kayibanda, che ovviamente a sua volta instaura un regime razzista contro i Tutsi.

Iniziano così le persecuzioni razziste e le vendette contro i Tutsi, che sfociano in sanguinosi scontri con decine di migliaia di morti e provocarono l’esodo di centinaia di migliaia di tutsi verso i paesi confinanti (soprattutto verso nord, in Uganda); persecuzioni che continueranno anche col regime di Juvenal Habyarimana, che sale al potere nel 1973 con un colpo di stato, promettendo progresso e riconciliazione.

Nel 1987 a seguito della diaspora, nasce il FPR (il Fronte Patriottico Ruandese) dei Tutsi con a capo Fred Rwigyema e Paul Kagame, con l’obiettivo di favorire il ritorno dei profughi in patria, anche attraverso la conquista militare del potere.

La fine degli anni ’80 vede il Ruanda in piena crisi economica: a fronte di un forte aumento demografico, le risorse agricole del paese restano le uniche e invariate. Le pressioni interne, unite alla richiesta occidentale di democratizzazione, inducono il presidente Habyarimana a varare nel 1991 una nuova Costituzione, che promette il multipartitismo.  Nell’agosto 1993 vengono varati gli accordi di Arusha, che prevedono il rientro di tutti i profughi Tutsi e una sostanziale spartizione del potere con essi.

Con un contingente così ridotto all’osso il generale Dallaire riuscì comunque a salvare migliaia di cittadini Tutsi.

Con il 6 aprile del 1994 inizia il genocidio. L’aereo presidenziale di Juvenal Habyarimana (al potere con un governo dittatoriale dal 1973), di ritorno da Dar es Salaam, dove aveva concordato una nuova formazione ministeriale, venne abbattuto da un missile in fase di atterraggio a Kigali.

Il 7 aprile a Kigali e nelle zone controllate dalle forze governative (FAR, Forze Armate Ruandesi), con il pretesto di una vendetta trasversale, iniziano i massacri e l’eliminazione fisica della popolazione tutsi e dell’opposizione democratica da parte della Guardia Presidenziale, dei miliziani dell’ex partito unico (Movimento Rivoluzionario Nazionale per lo sviluppo) e dei giovani Hutu.

Il segnale dell’inizio delle ostilità fu dato dall’unica radio non sabotata, l’estremista “Radio delle mille colline” che invitava a seviziare e ad “uccidere gli scarafaggi tutsi” … “tagliate i rami alti”.

È l’inizio del genocidio che si protrasse per 100 giorni tra massacri, stupri e barbarie di ogni tipo.

Tutti gli hutu sono stati chiamati al genocidio: chi non partecipava al lavoro era considerato un nemico, e quindi andava eliminato.

Le operazioni erano coordinate da Radio Mille Colline, che dava notizie ed esultava per le azioni più spettacolari, invitando i Tutsi a presentarsi alle barriere per essere uccisi. Molti adulti si sacrificano, nel tentativo di proteggere e salvare i bambini. Per cancellare i Tutsi dal Ruanda i miliziani uccisero coi machete, le asce, le lance, le mazze chiodate, le armi da fuoco.

Per i Tutsi non esistevano luoghi sicuri; persino le chiese vennero violate.

Il 22 giugno Francia, Gran Bretagna e Belgio inviarono truppe, la tristemente e vergognosa operazione turquoise, per la protezione e l’evacuazione dei propri cittadini. Salvati gli europei, la comunità internazionale e l’ONU abbandonarono i ruandesi alla furia dei machete, mentre discutevano se si trattasse o meno di genocidio. L’intervento venne però utilizzato dagli autori dei massacri per proteggere la propria fuga dal paese.

L’FPR (Fronte Patriottico Ruandese) dei Tutsi, guidato da Paul Kagame, prese il potere a luglio e nei mesi successivi si verificò uno spaventoso esodo di massa degli Hutu, terrorizzati dalla sanguinosa vendetta operata nei loro confronti. Circa 2 milioni di profughi fuggirono verso l’allora Zaire, Tanzania e Burundi. Tra loro si nascondevano anche miliziani e molti dei colpevoli dei massacri.

I pubblici ministeri ed i giudici del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, quando si trovarono a giudicare i maggiori responsabili del genocidio, si resero conto che oltre ai feroci omicidi di massa si era perpetrata sistematicamente la violenza sessuale. Anche se quasi tutte le donne furono uccise prima di poter raccontare le loro storie, un rapporto delle Nazioni Unite ha concluso che durante il genocidio almeno 250.000 ruandesi furono sistematicamente stuprate. Le violenze, per lo più compiute da molti uomini in successione, furono spesso accompagnate da forme di tortura fisica e furono eseguiti pubblicamente per moltiplicare il terrore e la degradazione.

Molte donne li temevano a tal punto da implorare di essere uccise. Spesso gli stupri erano preludio della morte, ma a volte le vittime non venivano uccise: l’umiliazione avrebbe così colpito non solo la vittima ma anche le persone a lei più vicine.

Per di più, l’elevata diffusione dell’AIDS, condannava le sopravvissute ad una lenta e dolorosa agonia.

La storia del Ruanda fu segnata inesorabilmente da questo genocidio del 1994: si calcola che non meno di 800 mila persone vennero massacrate da estremisti Hutu e dalle milizie.

I sopravvissuti Tutsi al genocidio sono stimati in 300.000. Migliaia le vedove, molte stuprate e oggi sieropositive. 400.000 i bambini rimasti orfani, 85.000 dei quali sono diventati capifamiglia.

Secondo una stima ufficiale, il 70% delle donne stuprate durante il genocidio del Ruanda ha contratto l’HIV e la maggior parte di loro alla fine ne morirà.

Il genocidio terminò col rovesciamento del governo Hutu e la presa del potere, nel luglio del 1994 del Fronte Patriottico Ruandese.

Tutto ciò effetto di una politica irresponsabile, effetto del colonialismo europeo e degli estremismi politici.

Il massacro dei Tutsi segnò l’inizio dello sconvolgimento di tutti gli assetti di potere presenti in quest’area.

Da allora è stata sempre guerra, oggi in questa zona si scontrano non meno di sei eserciti, in una zona e in un continente dove non esiste una fabbrica di armi, tanto sono importanti gli interessi internazionali in campo.

Oggi ancora i responsabili sono impuniti e i paesi europei coinvolti nella progettazione e nell’attuazione del genocidio negano le proprie responsabilità, Francia e Belgio, soprattutto i secondi, non solo hanno permesso il genocidio ma lo hanno favorito creando ad hoc una polveriera.

Anni e anni d’impunità per la Francia il “paese dei diritti Umani” e per il Belgio. Ma è risaputo i diritti e i valori sono selettivi valgono cioè solo per alcuni.

Le principali colpe sono sicuramente imputabili al colonialismo, prima della dominazione franco-belga entrambe le etnie non avevano problemi, vivevano assieme e si sposavano fra di loro, poi i coloni diedero all’uno il dominio sull’altro innescando molto odio, poiché gli hutu erano dediti alla terra e più poveri rispetto ai tusti che controllavano il loro operato, quando scoppiò la rivolta l’ONU ben sapendo non mosse un dito ed è questa la vera vergogna.

 

Written by Amani Salama

 

 

Info

Libro “Dall’inferno si ritorna”

 


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