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Genova Film Festival: “L’uomo sulla luna” di Giuliano Ricci

Creato il 29 luglio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Gli organizzatori del Genova Film Festival hanno dimostrato quest’anno di possedere black humour in quantità industriale. Nel corso della stessa serata sono riusciti a infilare ben due documentari, in cui la morte è al centro del discorso; ma in entrambi i casi l’approccio al tema vede stemperarsi i toni lugubri nell’ironia di fondo, in una giocosità (percepibile anche a livello registico) che ha qualcosa di apotropaico. Filippo Ticozzi tramite Inseguire il vento ci ha consentito di familiarizzare con la singolare passione di Karine Pesquera, una delle massime esperte europee di tanatoestetica e tanatoprassi, ovvero l’insieme degli interventi rivolti alla pulizia, tolettatura, rasatura e vestizione della salma. In quello che diventa poi un viaggio singolare e a tratti sorprendente nell’immaginario funerario, sia il regista che l’interprete si sono saputi mettere in gioco, mostrando così un’invidiabile naturalezza. Ma ancora più folgorante, per noi, è stata l’esperienza spettatoriale indotta dal documentario di Giuliano Ricci: un excursus antropologico capace di restituire in modo estremamente vivo il senso della morte, tra i più attempati abitanti di un paesino della Barbagia.

Sono alcune vecchiette di Orune le protagoniste indiscusse del film. Per quanto il regista e i suoi collaboratori abbiano preso anche dai paesi vicini, filmando ad esempio alcuni carnevali della zona i cui aspetti rituali lasciano spesso a bocca aperta, non solo per il proliferare di costumi, danze e altri elementi grotteschi dotati di una certa sfrontatezza, ma anche per le modalità tanto pittoresche e disinibite di esorcizzare la morte. Di morte parlano poi, in continuazione, le anziane signore cui facevamo cenno prima, riprese ora nel luogo deputato per eccellenza (e cioè in visita al cimitero), ora nelle loro case e quindi in contesti più quotidiani. Ciò che sorprende dei loro dettagliati resoconti sono i sogni, sogni del passato raccontati con una vivezza incredibile e messi di frequente in relazione, quali segnali premonitori, alla dipartita dei loro cari. Questa presenza incombente della morte apparirà strada facendo più chiara, allorché si comincerà a parlare di quelle interminabili faide famigliari che storicamente hanno determinato parecchi lutti, nei paesini della Barbagia.

In particolare la vecchietta che afferma di tenere le pistole in casa, figura dall’irresistibile appeal cinematografico, è una miniera praticamente inesauribile di aneddoti e di comportamenti eccentrici: quei suoi dialoghi con il televisore acceso, cui si dedica un’ampia finestra al sopraggiungere dei titoli di coda, strappano risate a scena aperta. Già, perché L’uomo sulla luna, oltre a proporre una valida ricerca antropologica, sa far emergere con ironia le note più surreali presenti nel pensiero e nella vita domestica delle protagoniste, restituendone alla fine un ritratto affettuoso, che vive anche dei momenti di grande cinema propiziati dalla loro spontaneità di fronte alla macchina da presa.

Stefano Coccia      


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