Genova, la paura di non essere là

Creato il 04 novembre 2011 da Bruschidettaglil

Sono morte sette persone a Genova. Travolte dall’acqua, quell’acqua che soffoca, che copre, sommerge, ribalta, distrugge.  Una mamma ancora abbracciata alla sua bambina. Se sei lontano da casa puoi solo guardare le immagini che scorrono sul computer. Puoi solo leggere l’aggiornarsi di un racconto in diretta che ti tiene sospeso. C’è l’acqua che scorre come un torrente e invade le scale del sottopasso di Brignole. C’è Brignole, la stazione allagata, quel mare marrone che raggiunge la via dello struscio, che risale via XX e la gente si ferma a un passo dal toccare il fango. Ho cercato mio fratello, era in biblioteca lontano dal caos. Ho cercato mia mamma. Mi ha risposto subito. Una mattinata difficile, bloccata un’ora nell’atrio di un palazzo, poi nel pomeriggio è rimasta a casa. La zia Romy dal Bisagno a Oregina ha camminato per tornare a casa, via dall’ufficio che iniziava ad allagarsi.  Impossibile usare gli autobus, una lenta scalata attraversando tutta la città sotto la pioggia. La zia Luciana con nonna Antonietta è rimasta bloccata a casa, quarto piano, perché il primo piano della palazzina è allagato. Ospitano una ragazza giovane con un bimbo. Si arrangeranno sul pavimento. Storie piccole rispetto ai morti, lo so. La nonna Franca abita in piazza Alimonda, proprio la piazza Alimonda di Carlo Giuliani. Finestrelle che bucano la facciata della chiesa. Non rispondeva al telefono. E a pochi metri da casa sua l’acqua continuava a salire. Fa paura. Poi mi chiama mia mamma. La nonna è andata da una vicina, una famiglia che ha lasciato il Marocco, una mamma con i suoi bimbi. Si tengono compagnia perché non possono uscire, è andata via la luce. Mio papà è in viaggio da Roma, ha preferito tentare comunque il rientro. Il suo treno è partito in ritardo, mezz’oretta fa era a Massa. Aspetto un messaggio per sapere che è arrivato a casa.

Vedere le immagini della mia Genova sommersa fa male, uno stato di ansia che ti fa sentire i battiti del cuore forti sul collo. Non puoi fare niente. E fa rabbia. Perché riconosci gli angoli e le strade, i muri, le piazze, ti ricordi che il letto del Bisagno era pieno di alberi e tronchi e che tutte le volte che sei andata a Marassi  allo stadio e ci sei passata hai pensato che quel torrente è secco e pericoloso. Fa rabbia perché senti di ragazzini fatti uscire da scuola e abbandonati alla strada. Vedi una bimba con l’acqua fino alla pancia che dice che ha paura. Senti la storia di una ragazzina, Martina, persa di vista dagli amici. Pensavano fosse morta. L’hanno ritrovata. Premi il tasto F5 della tastiera per aggiornare la pagina del Secoloxix e di Repubblica e il numero dei morti cresce. Il problema è che non sei lì. Non sono lì, e se dovesse succedere qualcosa so che non me lo perdonerei.



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