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“Gente di Bergamo” – a cura di Paolo Aresi

Creato il 11 gennaio 2016 da Temperamente

Ci sono tanti modi di conoscere una città in cui non si è nati. Eppure questo non frena né la fantasia né l’amore di alcuni per città che magari mai hannmo visto. Come sempre, galeotti furono i libri:infatti, quanti di noi possono dire di conoscere quasi a menadito città lontane nello spazio e nel tempo grazie ai libri che hanno letto che sono lì ambientati?
Ecco, sì: il “solito” potere dei libri e della lettura. Ma se per viaggiare in posti e luoghi talvolta basta il semplice romanzo – affermazione comunque tutta da verificare – come si fa a descrivere invece il carattere della gente che ci vive?
Quest’ardua impresa è stata tentata in modo abbastanza felice dalla casa editrice Bolis che l’ha affidata a venti autori della sua città – Bergamo – , pubblicando Gente di Bergamo (2015). Venti racconti di scrittori e scrittrici della città, che con le loro brevi storie la raccontano in lungo e in largo, anzi, in alta e in bassa.

È un giorno d’autunno e tutti stanno ascoltando, nessuno sembra aver fretta di andarsene, proprio nessuno, forse ad aver fretta è rimasto soltanto il tempo, il tempo che continua a rincorrere la sua eternità.

Per me che appartengo a un territorio regionale differente, questo libro è stata l’occasione ghiotta per farsi un’idea della lontana Bergamo e della sua gente. Grazie a Gente di Bergamo si è realizzata in me la possibilità di immaginare come potrebbe essere il bergamasco tipo, desumendone le caratteristiche dai personaggi dei racconti, sempre fermo restando che a) non si può fare di tutta l’erba un fascio; b) il voler fermamente credere al preambolo teorico più classico di qualsivoglia libro di fiction “ogni riferimento a cose e persone realmente esistiti è del tutto casuale”.
Superando ogni forma di presunzione intellettuale e volendo “tirar giù” (tipica espressione bergamasca e lombarda in generale) lo schema archetipico del bergamasco doc, come sorta di divertissement metaletterario che fa un lettore grazie agli scrittori della città, ecco cosa direi dopo la lettura del libro di Bolis:

  • non va mai dal dottore: «Una settimana dopo, Cesco fece una cosa che non aveva mai fatto in vita sua: andò dal dottore», da Vecchio al monte, Alberto Gherardi, pag. 52;
  • solitamente, preferisce gli animali agli uomini: l’intero primo racconto, il divertentissimo Ali di Giusi Quarenghi è la storia dello strano sodalizio che legga un’anziana signora alle sue galline e soprattutto a un particolare tacchino;
  • è un grande lavoratore, che sia maschio o che sia femmina, quando vecchio e quando bambino: «Le mani di una donna che non si risparmiava, facendo del lavoro la sua sola ragione di vita. Badava alla stalla di piccoli animali che ammazzava con colpi magistrali dopo averli ingrassati a puntino in vista del pranzo domenicale.» da La mé spusa, di Adriana Lorenzi, pag.115;
  • è di carattere schietto, diretto e sincero; sembra che i bergamaschi amino le cose semplici e la natura in cui sono immersi: « il mio carattere bergamasco mi ha aiutato a vivere sino in fondo la bellezza di quella filosofia: energia mentale e fisica allo stato puro. Stava tutto mischiato là, nell’erba alta. Era questo il luogo. Si capiva dall’odore di marcio, dal rumore del fiume, dalla lunghezza dei fili d’erba, un’erba così alta non l’aveva mai vista.»da Ricordi e riflessioni di un anchorman della Malpensata, Angelo Roma, pag.102.

Qualità che così, nel complesso, mi ha reso la Gente di Bergamo davvero molto simpatica, e penso che potrei facilmente andarci d’accordo. Certo, chiamare a descrivere il carattere dei propri compaesani delle ottime penne oriunde della città difficilmente poteva dare dei risultati letterari diversi, ma dubito fortemente che fosse questo l’intento del curatore.
Perciò piuttosto che pensare a inutili quanto vani complottismi campanilistici, non mi resta che consigliare di conoscerla questa Gente di Bergamo, leggerla e ascoltarla senza aspettarsi gli effetti speciali («Capita che la vita abbia di queste svolte che, in un racconto, sono profondamente deludenti. Infatti, nella vita, i conti raramente tornano. Talvolta nemmeno in letteratura») e senza pregiudizi, proprio come farebbero loro con voi. Forse così sarà possibile intercettare il segreto del “pota”, intercalare dalle centomila sfumature semantiche. E ogni racconto, potrei dire, è proprio così, come un piccolo “pota”: unico e particolare, ognuno ti mostra una sfaccettatura della vita differente (gioia, tristezza, malinconia, vecchiaia, scoperta, spirito di conservazione, amore, rispetto della famiglia, positività verso il futuro, ecc. ecc.), che dipende dal tono con cui viene detto – o letto il racconto – e che racchiude in un’unica parola (città) un carattere unico.

Del resto, i bergamaschi sono anche un po’ dei poeti:

La sintesi è l’aspetto più potente del dialetto bergamasco. Con poche sillabe allusive racconta storie infinite.
(La salita – Laura Mühlbauer)

Che in fondo, poi siamo tutti uguali. Bergamaschi e non.

Perché invece mi perdo in una fantasia che riguarda tutti noi cresciuti qui. Penso a come, nonostante la nostra natura venga considerata pratica e sbrigativamente materiale, nella testa ci giri una forma di fantasticheria incline alla dissipazione. Sembriamo così logici, così concreti: ma in realtà ci diamo un gran daffare principalmente per costruirci un mondo come ci piacerebbe che fosse. E come, naturalmente, non è.
(L’auto elettrica – Davide Ferrario)

A cura di Paolo Aresi, Gente di Bergamo, Bolis Edizioni, 2015, pp. 228, € 14


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