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Gente di Gaza, vittime da sacrificare a Moloch

Creato il 22 luglio 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43                                                                                                                                                                          Google+

I Palestinesi_Israeliani sono una nazione umana dentro uno stato burocratico e segregazionista che su di essa scarica le correnti della politica nazionale e internazionale, allo stesso modo di un padre padrone che dà o trattiene, a misura dell’obbedienza dimostrata.

Sayed Kashua
Sayed Kashua è uno di quei Palestinesi-Israeliani che  sono riusciti ad emergere nella società e cultura israeliana. E’ uno dei migliori scrittori contemporanei in lingua ebraica, columnist di Haaretz, il quotidiano della sinistra “illuminata”, autore di tre romanzi di successo nei quali, fin dal primo Arabi Danzanti, descrive com’è crescere in un paese, che è il tuo, ma fra connazionali che ti respingono.

Nel secondo best-seller E fu mattina, il protagonista è un giornalista che lascia la grande città per il paese natio, una delle enclave di cittadini arabi_israeliani, stanco del sospetto, dell’esclusione, delle frecciate dei colleghi: “Allora, hai buttato via le pietre prima di entrare in redazione?”.
E Fu Mattina si svolge durante un periodo di imprecisate trattative internazionali per “accordi israelo-palestinesi” nel quale emerge in tutta evidenza la potenza concreta dello stato che blocca – senza dare alcuna motivazione e nell’obbligato silenzio dei media -le vie di accesso al paese con un dispiegamento di mezzi blindati. Impedito il transito delle persone, trasformate in prigionieri, e delle merci. Interrotta l’erogazione dell’energia elettrica, con tutto quello che ciò significa in una stagione calda. Ma ad emergere tragicamente è anche la presa che  lo stato ha sull’immaginazione dei cittadini palestinesi, una presa che ne devasta il senso di solidarietà e la qualità morale.

Il Consiglio comunale del paesino viene convocato d’urgenza per discutere quali possano essere le ragioni del blocco e porvi rimedio. All’unanimità delle componenti sociali e politiche, si decide che “evidentemente” i soldati vogliono che dal paese siano scacciati i clandestini: i lavoratori stagionali provenienti da Gaza. Al mattino essi vengono rastrellati, caricati sui bus e condotti al posto di blocco, dove già i paesani si affollano nella convinzione che, consegnato al Moloc le vittime umane, la strada sarà riaperta e potranno tornare ai loro lavori nelle zone ebraiche.

 da E Fu Mattina

I clandestini scendono degli autobus a testa bassa, poi si dirigono nella direzione indicata loro dagli abitanti del paese. Ogni tanto qualcuna scoppia piangere, chiede pietà. Il sindaco ordina ai suoi di metterli in fila. Ai due carri armati distanti qualche centinaio di metri continuano ad arrivare sempre più rinforzi, I soldati prendono posizione e puntano le armi. Il sindaco sventola una bandiera bianca e urla squarciagola che intendono consegnare i lavoratori clandestini. Un membro del consiglio torna a spiegare qual’è l’intenzione degli abitanti del paese, amplificando il messaggio con il megafono che ieri alla manifestazione serviva per lanciare slogan contro Israele. Nessuna reazione da parte dei militari. Il sindaco intima a tutti i lavoranti di alzare le mani, al primo della fila chiede di tenere con la destra una bandiera. Due giovani appoggiano delle assi di legno sulla recinzione di filo spinato che attraversa la strada creando una specie di ponte per i manovali. Il primo, alto e magro, sale sulla passerella di assi. Trema tutto, avanza lentamente, le gambe malferme. Quando sta per superare la recinzione si becca una pallottola. Lancia un grido soffocato e si accascia sul posto. Colpito al cuore. I presenti si chinano, qualcuno si butta per terra. I suoi compagni cominciano a urlare a piangere e tentano di fuggire indietro ma gli abitanti del paese bloccano loro la strada. Il primo cittadino grida dentro il megafono di non lasciare che nessuno si muova di lì. I manovali piagnucolano e implorano. Sto in disparte lontano, curvo, ansimo, mi accerto di non essere sotto tiro. […]

Il sindaco e i suoi aiutanti decidono di ritentare, si convincono che, se i soldati hanno sparato, è perché temevano che uno dei manovali nascondesse una carica esplosiva sotto i vestiti. Il sindaco impartisce l’ordine, i manovali che piagnucolano vengono spogliati brutalmente dagli sgherri con l’aiuto di qualche compaesano che li odia da sempre. Quelli che tentano di opporsi si beccano dei gran calci nelle costole. Imprecano senza sosta, ricevono schiaffi, bastonate e poi vengono rimessi in fila, ora con addosso solo le mutande.
Il primo cittadino ne sceglie uno, forse perché è più vecchio, e gli ordina di mettersi in testa alla fila. Quello implora, s’inchina, piange, chiede pietà in nome di Dio, ma l’altro gli spiega che non c’è scelta. “E’tutta colpa vostra” urlano i giovani “Volevate la moschea di Al Aqsa, no? Ora sbrogliatevela da soli, guardate che guai ci avete provocato.”
Tutto tremante coperto solo da un paio di mutandoni bianchi, il bracciante avanza per primo sulle assi con in mano la bandiera. Tenta di procedere un passo dopo l’altro, lentamente, poi crolla in ginocchio e striscia sopra il corpo del primo a cui hanno sparato. Si sente di nuovo uno sparo, il manovale non si muove più. E riverso sopra il corpo dell’altro. Nell’aria rimbomba un urlo tremendo. I manovali incominciano a gridare a più non posso. Urlano, strepitano, piangono. Adesso urla anche una parte dei compaesani. “Basta, porca miseria, non li vogliono”. Sul posto arriva sempre più gente. Anche le donne. Anziane, dell’età in cui si mettono in testa il fazzoletto bianco, si precipitano verso il blocco, gemono e pregano di lasciare andare i prigionieri,  li difendono facendo scudo con il proprio corpo. Urlano contro il primo cittadino e i suoi uomini, pregano Iddio di farli bruciare all’Inferno. Afferrano le assi posate sulla recinzione di filo spinato e tentano di portar via i cadaveri. Il corpo del secondo manovale, quello in mutande, casca dall’altra. Il primo riescono a recuperarlo. Gli uomini se la danno a gambe. Tra i lamenti i manovali raccattano i propri vestiti. Nessuno di noi rivolge loro la parola.

Il giorno dopo i manovali di Gaza scavano due fosse, in una mettono il corpo che è stato recuperato, nell’altra i vestiti del vecchio; non piangono, seppelliscono il compagno in silenzio e pregando. 
Come iniziato senza spiegazione, allo stesso modo, giorni dopo, il blocco verrà tolto, l’energia elettrica di nuovo erogata. I cumuli di immondizia accumulatisi nelle strade verranno – per ordine del primo cittadino – raccolti dai manovali di Gaza.

 

E Fu Mattina, edizioni Guanda 2005

pg. 129-132


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