Era per Johnny un incanto sempreverde quello di un uomo andante solitario per le deserte colline,nei punti sommi la testa e le spalle erette nello sweeping cielo. E osservando il passo di Ettore, sirese definitivamente conto che le colline li avessero tutti, lui compreso, influenzati e condizionatitutti, alla lunga, come se vi fossero nati e cresciuti e destinati a morirvi senza conoscere evasioneod esilio.
Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra. Era mancato nella notte di giovedì l’altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m’aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta casa nostra non c’era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti”.
Dopo dei mesi che lavoravo al Pavaglione, arrivò per me la volta buona di calare ad Alba. Tanta la voglia che n'avevo che quella notte la passai mezza bianca, e bastò a svegliarmi al romper del giorno il rumore che fece Tobia per aprire il cassetto del carro e metterci dentro il pane e il lardo e il pintone di vino da mangiare e bere laggiù in città.Scendevamo, Tobia dietro al freno e io davanti alla bestia, che a ogni svolta m'aspettavo di veder Alba distesa sotto i miei occhi come una carta tutta colorata. A San Benedetto si parlava sempre d'Alba quando si voleva parlare di città, e chi non n'aveva mai viste e voleva figurarsene una cercava di figurarsi Alba. Bene, stavolta l'avrei vista e ci avrei camminato dentro, e quella fosse pur stata la prima e l'ultima volta, io avrei poi sempre potuto entrare in ogni discorso su Alba e mai più provare invidia per chi l'aveva vista e si dava delle arie a discorrerne. E mentre che ero tanto lontano da casa che vedevo Alba, a casa in un certo senso ci tornavo, perché mio fratello Emilio stava in Alba.
Estratti dai racconti di Beppe Fenoglio. Nato ad Alba e morto nel 1963 a Torino.
Filippo Spadoni.