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Geopolitica: definirla o delinearla?

Creato il 19 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Geopolitica: definirla o delinearla?

Il testo che segue è quello dell’intervento di Franco Fatigati, cultore di Geografia e docente nel laboratorio di Geopolitica della Facoltà di Lettere e nel Master di Geopolitica dell’Università Sapienza di Roma, alla presentazione di “Che cos’è la Geopolitica?” tenutasi il 12 febbraio scorso in Campidoglio (clicca qui per il riassunto dell’evento).

 
In una precedente occasione ho avuto modo di congratularmi con l’amico Tiberio Graziani per l’iniziativa di Geopolitica esprimendo altresì l’auspicio per la rivista di promuovere un ulteriore stimolo alla discussione geopolitica, che mi pare languisca, e stante il carattere internazionale delle collaborazioni che vanta. Rinnovo il mio compiacimento per questo numero che risponde alle questioni reali evidenziate nella presentazione del volume. “Geopolitica” pare essere un termine al servizio di tutto e tutti in vista di situazioni di stress o di conflitto, come già dicevo (mi permetto di citare dal mio Condominio-Mondo del 2009): «Le numerose definizioni di geopolitica rivelano una reale difficoltà a identificarne la natura e gli scopi. La sua stessa collocazione è incerta, alcuni la collocano a fianco della geografia, altri tra le scienze politiche in un esercizio laterale e appena necessario. La popolarità e l’uso del termine in presenza di “questioni” sono l’indicazione di una obiettiva debolezza interpretativa, un concetto adeguabile, ovunque e comunque, una etichetta globale, priva di concorrenze semantiche e analitiche che le ha attribuito significati plurimi, con il paradossale risultato che si definisce più per limitarne l’abuso che per precisarne la natura».

Da allora poco è cambiato, anzi il termine, a sottolineatura del suo successo, continua a imperversare, a volte, a sproposito. Ne riporto alcuni esempi: Boniface Pascal nel 2004, in La terra è rotonda. Geopolitica del calcio (Il Minotauro), propone il popolare sport come innesco di diverse prospettive nelle diverse nazioni in cui si pratica: «nazionalismo nei paesi più arretrati o dittatoriali, mundialismo nelle democrazie occidentali (sebbene, anche in queste, sovente sia stato motivo di scontro “revanchistico”)»; Fabrizio Mastrofini nel 2006 pubblica Geopolitica della chiesa cattolica (Laterza), in cui evidenzia il ruolo davvero globale della chiesa cattolica con le numerose implicazioni di carattere anche geopolitico; nel 2009 Dominique Moïsi, un importante studioso francese, pubblica Geopolitica delle emozioni. Le culture della paura, dell’umiliazione e della speranza stanno cambiando il mondo (Garzanti), secondo cui otto anni dopo l’11 settembre il mondo è diviso in tre aree: l’Occidente (Stati Uniti e Europa) dominato dalla cultura della paura, i paesi arabi e il mondo mussulmano chiusi dalla cultura dell’umiliazione mentre i paesi emergenti (Cina, India e altri paesi) sono animati dalla cultura della speranza; infine (l’ho da poco recensito e sarà di prossima pubblicazione sulla Rivista della Società geografica italiana) nel 2012 Lester Brown dà alle stampe 9 miliardi di posti a tavola. La nuova geopolitica della scarsità di cibo (Edizioni Ambiente), un puntuale report dei maggiori problemi legati al tema del cibo nel mondo e, infine (si da per dire) Michele Dandini, in Geopolitiche dell’Arte (Marinetti), sostiene che la storia postbellica dell’arte italiana è profondamente segnata dagli equilibri geopolitici e culturali della guerra fredda e dal marketing delle identità locali, compiendo una “mutazione” tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.

Ora a parte il sicuro valore del piccolo campionario di lavori segnalati, pare che il termine goda di una presenza che va oltre il suo reale significato. E allora? Temo che prima o poi si arriverà a una geopolitica del condominio in cui qualcuno ci parlerà della tal signora del terzo piano che pianificherà “azioni” contro i ragazzi della mansarda che ascoltano musica “a palla”. Oltre l’ironia mi pare che la questione esista davvero, ma non è l’unica. Altre distonie attorno alla geopolitica sono relative al ruolo dei media: a fianco di una stragrande maggioranza di professionisti preparati, si allinea una sparuta pattuglia di operatori della carta stampata che a volte, a un uso eccessivo del termine, accompagna disinvolte pratiche geopolitiche. Ora mi rendo conto della situazione straordinaria in cui si può trovare un cronista alla giustificatissima richiesta del caporedattore che alle 19 chiede un pezzo su un’agenzia appena arrivata in redazione e lo pretende in mezz’ora, ma l’uso caratteriale, sensazionalistico, direi cubitale e, a volte, le sconclusionate conseguenti ipotesi, costituiscono in ogni caso un momento non condivisibile del processo di informazione presso un pubblico più o meno vasto.

Tornando al volume, interessante in particolare mi pare lo sforzo di Phil Kelly per un modello che definisca principi e finalità della geopolitica dandole una diversa finale dignità accanto ad altre scienze. Ritengo le 43 teorie e concetti per un modello geopolitico un reale e concreto punto di partenza per un obiettivo di alto profilo e ormai a mio parere ineludibile. Auspico quindi un incontro, un momento di sintesi (sarebbe interessante un congresso organizzato dalla Rivista), per raccogliere le riflessioni di altri studiosi attorno al nucleo proposto da Kelly e avanzare lungo un percorso di sistemazione epistemologica. A tale proposito ritengo non necessaria la ricerca di una definizione a tutti i costi, quanto piuttosto la definizione di un insieme di modelli che organizzino le complessità della disciplina delineando un perimetro a doppia matrice: da un lato un versante concettuale dall’altro una serie di chiavi di ricerca.

L’articolo di Matteo Marconi, un giovane ricercatore recente vincitore del premio di miglior giovane geografo della Società Geografica Italiana, riporta a una riflessione sui presupposti per una fondazione scientifica della disciplina non avendo essa un metodo proprio. A tale proposito ricordo Franco Farinelli secondo cui quando la geografia parla delle cose dove sono, in realtà dice cosa le cose sono in un esercizio che è allo stesso tempo scientifico ed eclettico, senza connotazioni aggettivate. La geopolitica disegna il proprio percorso laddove si pone (e concordo in questo con Marconi) sulla strada della ricerca con un sapere non codificato che deve sempre dimostrare la sua legittimità: è filosofia e geografia, in un connubio intenso e ineludibile, sorretto da un estenuante dialogo argomentativo.


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