[Traduzione di C&S da: www.stratfor.com/weekly/geopolitics-syrian-civil-war - The Geopolitics of the Syrian Civil War is republished with permission of Stratfor]
Le diplomazie internazionali si riuniranno il 22 gennaio nella città svizzera di Montreux per elaborare una soluzione progettata per porre fine alla guerra civile in Siria di tre anni. La conferenza, tuttavia, sarà molto lontana dalla realtà sul campo di battaglia siriano. Solo pochi giorni prima che la conferenza fosse fissata, una polemica minacciava di travolgere il programma dopo che le Nazioni Unite hanno invitato l’Iran a partecipare, ed i rappresentanti dei ribelli siriani hanno fatto pressione con successo perché l’offerta venisse ritirata. L’incapacità di concordare anche su chi dovrebbe partecipare ai negoziati è un segno di cattivo auspicio per uno sforzo diplomatico che non è mai stato in grado di rivelarsi molto fruttuoso.
Ci sono buone ragioni per un profondo scetticismo. Mentre le forze del presidente siriano Bashar al Assad continuano la loro lotta per recuperare il terreno contro le sempre più fratricide forze ribelli, c’è poco incentivo per il regime, fortemente sostenuto da Iran e la Russia, a cedere il potere ai suoi settari rivali per volere di Washington, soprattutto quando gli Stati Uniti stanno già negoziando con l’Iran. Ali Haidar, un vecchio compagno di al Assad alla scuola di oculistica e membro di lunga data della leale opposizione siriana, che ora lavora opportunamente come ministro della Riconciliazione Nazionale della Siria, ha catturato l’umore dei giorni precedenti alla conferenza dicendo: “Non aspettatevi nulla da Ginevra II. Né Ginevra II né Geneva III né Ginevra X risolveranno la crisi siriana. La soluzione è iniziata e continuerà attraverso il trionfo militare dello Stato“.
Il diffuso pessimismo su un accordo funzionale di condivisione del potere per porre fine ai combattimenti ha portato alla drammatica speculazione che la Siria è destinata sia a rompersi in staterelli confessionali o, come Haidar ha esposto, a ripristinare lo status quo, con gli alawiti che riacquistano il pieno controllo e i sunniti forzati a tornare alla sottomissione. Entrambi gli scenari sono errati. Per le stesse ragioni per cui i mediatori internazionali non riusciranno a produrre un accordo di condivisione del potere in questa fase della crisi, e la minoranza alawita al potere dovrà affrontare straordinarie difficoltà per tenere lo Stato di nuovo insieme, sarà anche non semplice spartire la Siria lungo linee settarie. Un esame più attento del territorio rivela perché.
La geopolitica della Siria
Prima che l’accordo Sykes-Picot del 1916 tracciasse un assemblamento imbarazzante di stati-nazione in Medio Oriente, il nome della Siria è stato utilizzato da mercanti, politici e guerrieri allo stesso modo per descrivere un tratto di terra circondato dalle montagne del Tauro a Nord, dal Mediterraneo a Ovest, dalla penisola del Sinai a Sud e dal deserto a Est. Se vi trovaste nel 18° secolo con una Parigi con abbondanza di cotone e spezie dall’altra parte del Mediterraneo, conoscereste questa regione come il Levante – la sua radice latina “levare” che significa “sollevare”, da dove il sole sorgerebbe a Est. Se foste un mercante arabo in viaggio lungo le antiche vie carovaniere nello Hijaz, o moderna Arabia Saudita, di fronte al sorgere del sole ad Est, fareste riferimento a questo territorio in arabo come Bilad al- Sham, o la “terra alla sinistra ” dei luoghi santi dell’Islam nella penisola arabica.
Se visto da Est o Ovest, Nord o Sud, la Siria si trova sempre in una posizione infelice, circondata da poteri molto più forti. Le ricchi, fertili terre a cavallo tra l’Asia Minore e l’Europa intorno al Mar di Marmara a Nord, la valle del Nilo a Sud e il territorio incastonato tra i fiumi Tigri ed Eufrate più a Est ove sorgono le popolazioni più grandi e più coese. Quando una potenza che controllava queste terre andava in cerca di ricchezze più lontane, inevitabilmente attraversava la Siria, dove è stato versato sangue, le razze si sono mescolate, le religioni sono state negoziate e le merci scambiate ad un ritmo frenetico e violento.
Di conseguenza, solo due volte nella storia pre-moderna della Siria questa regione poteva pretendere di essere uno stato sovrano e indipendente: durante la dinastia ellenistica dei Seleucidi, con sede ad Antiochia (la città di Antakya nella moderna Turchia) 301-141 aC, e durante il califfato omayyade, con sede a Damasco, dal 661-749 dC. La Siria è stata spesso divisa o sottomessa dai suoi vicini, troppo debole, internamente frammentata e geograficamente vulnerabile per stare sul suo proprio territorio. Tale è il destino di una terra di confine.
A differenza della valle del Nilo, la geografia della Siria manca di un elemento di coesione naturale forte per superare le sue fratture interne. Un aspirante stato siriano ha bisogno non solo di una linea costiera per partecipare al commercio marittimo e proteggersi contro le potenze marittime, ma anche di un entroterra coeso per fornire cibo e sicurezza. L’aspra geografia della Siria e il patchwork di sette minoritarie sono state generalmente un notevole ostacolo a questo imperativo.
La costa lunga e molto stretta della Siria si trasforma improvvisamente in una catena di montagne e altipiani. In tutta questa cintura occidentale, sacche di minoranze, compresi alawiti, cristiani e drusi, si sono isolati, ugualmente diffidenti degli stranieri dell’Ovest quanto dei dominanti dell’est, ma pronti a collaborare con chiunque avesse probabilità di garantire la loro sopravvivenza. La lunga barriera montuosa scende poi in ampie pianure lungo la valle del fiume Oronte e la valle della Bekaa prima di salire improvvisamente ancora una volta lungo la catena dell’Anti-Libano, l’altopiano Hawran e le montagne di Jabal al-drusi, fornendo un terreno più accidentato alle sette perseguitate per rifugiarsi ed armarsi.
Appena ad ovest delle montagne Anti-Libano, il fiume Barada scorre verso Est, dando vita ad un oasi nel deserto nota anche come Damasco. Protetta dalla costa da due catene montuose e lunghi tratti di deserto a Est, Damasco è essenzialmente una città fortezza e un luogo logico per divenire la capitale. Ma questa fortezza per essere una capitale degna di rispetto regionale, ha bisogno di un corridoio che corre verso Ovest attraverso le montagne fino ai porti del Mediterraneo, lungo l’antica costa fenicia (o moderna libanese), così come di un percorso verso Nord attraverso le steppe semiaride, attraverso Homs, Hama e Idlib, verso Aleppo.
Il tratto di terra da Damasco al Nord è un territorio relativamente fluido, che diviene un luogo più facile per fondere una popolazione omogenea rispetto alla costa frastagliata e spesso recalcitrante. Aleppo si trova lungo la foce della Mezzaluna Fertile, un corridoio commerciale naturale tra l’Anatolia a Nord, il Mediterraneo (attraverso il varco di Homs) a Ovest e Damasco a Sud. Mentre Aleppo è stata storicamente vulnerabile ai poteri dominanti anatolici e può usare la sua relativa distanza per ribellarsi contro Damasco di volta in volta, rimane un centro economico di vitale importanza per qualsiasi potere di Damasco.
Infine, proiettandosi ad Est dal centro di Damasco si trovano vaste distese di deserto, che formano un terreno incolto tra la Siria e la Mesopotamia. Questo tratto scarsamente popolato è stato a lungo percorso da piccole bande nomadi di uomini – dalle carovane di commercianti alle tribù di Beduini ai jihadisti contemporanei – con poco seguito e grandi ambizioni.
Demografia
I dati demografici di questa terra hanno oscillato notevolmente, a seconda della potenza dominante del tempo. I cristiani, soprattutto ortodossi orientali, hanno costituito la maggioranza nella Siria bizantina. Le conquiste musulmane che seguirono portarono ad una miscela più diversificata di sette religiose, compresa una significativa popolazione sciita. Nel corso del tempo, una serie di dinastie sunnite provenienti dalla Mesopotamia, dalla valle del Nilo e dall’Asia Minore rese la Siria la regione a maggioranza sunnita che è oggi. Mentre i sunniti vennero a popolare fortemente il deserto Arabico e la striscia di terra che si estende da Damasco ad Aleppo, le montagne costiere più protettive sono state nel frattempo condite con un mosaico di minoranze. Le minoranze in genere legate ai propri culti realizzarono alleanze instabili ed erano sempre alla ricerca di una potenza marittima più lontana con cui potessero schierarsi per bilanciare le forze sunnite dominanti dell’entroterra.
I francesi, che avevano forti legami coloniali con il Levante, erano maestri della strategia di manipolazione delle minoranze, ma questo approccio è giunto anche a gravi conseguenze che perdurano fino ad oggi. In Libano, i francesi hanno favorito i cristiani maroniti, che giunsero a dominare il commercio marittimo mediterraneo fuori dalle vivaci città portuali come Beirut a scapito dei più poveri commercianti sunniti damasceni. Inoltre la Francia strappò un gruppo noto come i Nusayris che vivevano lungo l’aspra costa siriana, marchiandoli come alawiti per dare loro credibilità religiosa e li inserì nell’armata siriana durante il mandato francese.
Quando il mandato francese si è concluso nel 1943 vi erano già gli ingredienti per i maggiori sconvolgimenti demografici e settari, che si conclusero con il colpo di stato senza spargimento di sangue da parte di Hafez al Assad nel 1970, che ha avviato un regno alawita molto irregolare in Siria. Con l’equilibrio confessionale che va ora pendendo verso l’Iran ed i suoi alleati settari, l’attuale politica della Francia di sostenere i sunniti a fianco dell’Arabia Saudita contro il regime prevalentemente alawita che i francesi contribuirono a creare, ha una sfumatura di ironia, ma si inserisce all’interno di un classico dell’approccio dell’equilibrio di potere nella regione.
Impostare aspettative realistiche
I delegati che discutono di Siria questa settimana in Svizzera devono affrontare una serie di verità inconciliabili che derivano dalla geopolitica che hanno governato questa terra fin dall’antichità.
L’anomalia di una potente minoranza alawita al potere in Siria è improbabile che possa essere rovesciata in qualunque prossimo momento. Forze alawiti stanno tenendo il loro terreno a Damasco e riconquistano costantemente il territorio in periferia. Il gruppo libanese Hezbollah sta nel frattempo seguendo il suo imperativo settario per garantire gli alawiti, mantenere il potere difendendo il tradizionale percorso da Damasco attraverso la valle della Bekaa alla costa libanese, così come il percorso attraverso la valle del fiume Oronte verso la costa siriana alawita. Finché gli alawiti possono tenere Damasco, non vi è alcuna possibilità di sacrificare il cuore economico.
C’è quindi poco da stupirsi che le forze siriane fedeli ad al Assad stiano conducendo un’offensiva a Nord per riprendere il controllo di Aleppo. Rendendosi conto dei limiti alla propria offensiva militare, il regime manipolerà gli appelli occidentali per localizzati cessate-il-fuoco, utilizzando una tregua nei combattimenti per conservare le sue risorse e rendere la consegna delle forniture alimentari ad Aleppo subordinata alla cooperazione dei ribelli con il regime. Nell’estremo Nord e ad Est, le forze curde sono intanto impegnate a cercare di ritagliarsi la propria zona autonoma contro crescenti vincoli, ma il regime alawita è abbastanza tranquillo sul fatto che il separatismo curdo è più una minaccia per la Turchia rispetto a quanto lo sia per Damasco, a questo punto.
Il destino del Libano e della Siria rimane profondamente intrecciato. Nella metà del 19° secolo, una sanguinosa guerra civile tra drusi e maroniti nelle montagne costiere densamente popolate si diffuse rapidamente dal Monte Libano a Damasco. Questa volta, la corrente scorre in senso inverso, con la guerra civile in Siria che sta ora invadendo il Libano. Come gli alawiti continuano a guadagnare terreno in Siria con l’aiuto dell’Iran e di Hezbollah, un amalgama indistinta di jihadisti sunniti sostenuti dall’Arabia Saudita diventerà più attivo in Libano, portando a un flusso costante di attacchi sunniti e sciiti che manterrà il Monte Libano al margine.
Gli Stati Unit possono essere in testa alla sfortunata conferenza di pace per ricostruire la Siria, ma in realtà non hanno nessun interesse forte. La depravazione della guerra civile obbliga gli Stati Uniti a dimostrare che sta facendo qualcosa di costruttivo, ma l’interesse principale di Washington per la regione in questo momento è quello di preservare e promuovere un negoziato con l’Iran. Questo obiettivo si trova in contrasto con l’obiettivo dichiarato degli Stati Uniti di garantire che al Assad non faccia parte di una transizione siriana, e questo punto potrebbe essere uno dei tanti pezzi nella trattativa in via di sviluppo tra Washington e Teheran. Tuttavia, al Assad detiene una maggiore leva fino a quando il suo principale patrono è in trattativa con gli Stati Uniti, unica potenza marittima attualmente in grado di proiettare una forza notevole nel Mediterraneo orientale.
L’Egitto, il potere della Valle del Nilo a Sud, è interamente intrappolato nei suoi problemi interni. Così è la Turchia, la principale potenza a Nord, che ora è in preda a una lotta di potere pubblica e feroce che lascia poco spazio per un avventurismo turco nel mondo arabo. Ciò lascia l’Arabia Saudita e l’Iran come le principali potenze regionali in grado di manipolare direttamente il campo di battaglia settario siriano. L’Iran, insieme con la Russia, che condivide un interesse a preservare i rapporti con gli alawiti e quindi il suo accesso al Mediterraneo, prenderà il sopravvento in questo conflitto, ma il deserto che collega la Siria alla Mesopotamia è pieno di bande di militanti sunniti desiderosi del sostegno saudita per annientare i loro rivali confessionali.
E così la lotta andrà avanti. Nessuna delle due parti dello spartiacque confessionale è in grado di sopraffare l’altro sul campo di battaglia ed entrambi hanno sostenitori regionali che serviranno ad alimentare la lotta. L’Iran cercherà di utilizzare il suo vantaggio relativo per pareggiare i reali sauditi in una trattativa, ma un’Arabia Saudita profondamente innervosita continuerà a resistere fino a quando i ribelli sunniti avranno ancora abbastanza forza in loro per andare avanti. I combattenti sul terreno manipoleranno regolarmente gli appelli per il cessate-il-fuoco capeggiati da estranei in gran parte disinteressati, il tutto mentre la guerra si diffonderà più in profondità nel Libano. Lo Stato siriano non si frammenterà e costituirà in staterelli confessionali né si riunificherà in un’unica nazione sotto un accordo politico imposto da una conferenza a Ginevra. Un mosaico di lealtà di clan e l’imperativo di mantenere Damasco legata alla sua costa e al suo cuore economico – qualunque sia il tipo di regime al potere in Siria – terrà insieme questa ribollente terra di confine, ancorché debolmente.