È successo tutto in pochi giorni. Mercoledì 2 luglio i procuratori federali di Berlino fanno irruzione in casa di un impiegato dei servizi segreti tedeschi, che viene arrestato con l’accusa di aver passato più di 200 documenti riservati alla Cia, incluse le informazioni di una commissione di indagine parlamentare che si era occupata del caso Snowden. Cinque giorni dopo, la polizia tedesca perquisisce abitazione e ufficio di Berlino di un uomo, che secondo i media locali è un funzionario militare tedesco che – anche lui – avrebbe passato informazioni segrete agli Stati Uniti. Il gran finale arriva giovedì 10, quando la Germania annuncia l’allontanamento di un funzionario della Cia da Berlino.
Tecnicamente non è stata un’espulsione – al dirigente è stato solo consigliato di rientrare in patria e secondo la Sueddeutsche Zeitung, l’uomo in questione, accreditato come diplomatico, avrebbe lasciato il Paese in data 18 luglio – ma le conseguenza sono le stesse: siamo di fronte alla più grave crisi fra Germania e Stati Uniti dallo scontro Schröder-Bush sull’invasione in Iraq, e le ragioni sono profonde di quello che si può immaginare.
Lo spionaggio Usa in Germania
Angela Merkel ha definito lo spionaggio tra paesi alleati “uno spreco di energie”. In effetti il monitoraggio delle comunicazioni tedesche da parte della National Security Agency (NSA) comporta uno sforzo non indifferente: ogni giorno l’agenzia statunitense registrerebbe 20 milioni di conversazioni telefoniche e 13 milioni di mail provenienti dalla Germania. Al mese, sono 500 milioni le comunicazioni di cittadini tedeschi che vengono archiviate e processate. In un’ipotetica classifica degli spiati, la Germania viene dopo Pakistan, Iran e India, ma prima di Russia e Turchia e alla pari di Cina, Iraq e gli stessi Stati Uniti. Nessuno in Europa è sorvegliato da Washington quanto Berlino.
L’intelligence statunitense sembra avere dunque un’attenzione ossessiva per quanto accade a Berlino. Nell’ottobre 2013 un documento riservato consegnato al Guardian da Edward Snowden ha rivelato come la NSA controllasse le telefonate, pubbliche e private, di 35 leader di tutto il mondo, tra cui Angela Merkel. La procura federale ha così avviato due “processi di monitoraggio” per verificare le accuse di Snowden: il primo sulle attività di sorveglianza di massa sui cittadini tedeschi, il secondo sulle intercettazioni al telefono della cancelliera (probabilmente orchestrate dall’ambasciata americana di Pariser Platz). Sul primo punto, la procura ha concluso che non ci sono prove sufficienti per aprire un’inchiesta sulla sorveglianza di massa e ha scelto quindi di concentrarsi sul secondo. A fine marzo un’inchiesta di Der Spiegel ha reso noto che Frau Merkel compariva nel database Nimrod, che contiene i nomi di 122 obiettivi dell’NSA, e quantificava in circa a 300 i rapporti confezionati dall’agenzia su di lei. Il 17 giugno, sempre Der Spiegel pubblicava un altro articolo - basato anch’esso sulle rivelazioni di Snowden – dove si legge che: “Negli ultimi anni l’NSA ha trasformato la Germania nella sua principale base operativa in Europa”.
“La nostra decisione di chiedere al funzionario americano di lasciare la Germania è la reazione giusta alla rottura del rapporto di fiducia reciproca tra i due paesi”, ha detto il ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, a cui l’ambasciata degli Stati Uniti in Germania ha replicato che è “essenziale proseguire la stretta cooperazione con le autorità tedesche sul fronte dell’intelligence e della sicurezza”, mentre la Casa Bianca non ha ancora voluto commentare la vicenda. Ma l’irritazione tedesca è palese, al punto che in molti si domandano se continuare o meno a considerare gli USA un Paese amico.
Che le potenze globali si controllino reciprocamente non è certo una novità. Accadeva già ai tempi della Guerra Fredda e solo in unmondo ideale si può pensare che questa pratica venga messa definitivamente in archivio. Le novità però sono due. Il primo dato che colpisce è che i Paesi monitorati con più attenzione da Washington sono alleati ormai consolidati, come la Germania in Europa o Brasile e Colombia in America Latina. I motivi dell’attenzione di Washington, in base alle parole chiave e alle caratteristiche degli stessi Paesi monitorati, sono essenzialmente energetici, economici e di sicurezza. L’altro dato è la possibilità per gli USA di raggiungere il controllo totale delle comunicazioni sia dei propri cittadini che di quelli di altre nazioni, scavalcando di fatto qualsiasi controllo democratico nonché organo di difesa e senza bisogno di un alcun provvedimento giudiziario. Al contrario, i servizi segreti federali (Bundesnachrichtendienst, BND) diversamente dall’NSA non potrebbe controllare preventivamente tutti i cittadini.
Germania e USA, davvero alleati?
Cambiamo prospettiva. Se tra i tedeschicresce il risentimento perché oltreoceano lo scandalo NSA non fa notizia, dall’altra parte i funzionari americani sono frustrati dal vedere che le posizioni di Berlino in politica estera siano sempre più spesso agli antipodi rispetto a Washington. La Germania è stata per anni il principale Paese esportatore al mondo (dal 2009 ha ceduto lo scettro alla Cina). Il punto è che l’innata vocazione mercantilista porta i tedeschi ad assumere una postura neutrale sui temi più caldi della politica internazionale per non danneggiare i propri interessi commerciali.
Prendiamo la Russia. Non è un mistero che l’approccio tedesco – ed europeo in genere – verso il Cremlino sia motivato da profondi legami economici. Mosca è il secondo mercato d’esportazione per Berlino, mentre le forniture russe coprono più di un terzo del fabbisogno tedesco di gas e petrolio. Questo rapporto presenta tuttavia delle ricadute perverse quando si parla di politica energetica e della crisi in Ucraina.
Anche sul nucleare iraniano Germania e USA si sono dimostrati distanti. Il governo Merkel è sempre stato contrario a qualunque ipotesi di intervento armato contro Teheran, ma al contempo si è detta scettica anche sulle sanzioni economiche promosse dalla Casa Bianca e non ha mai realmente insistito sull’adozione di misure diplomatiche volte a dissuadere gli ayatollah a rinunciare al loro programma atomico.
Diverse anche le vedute sulla crisi economico-finanziaria. Convinta che questa sia frutto di comportamenti irresponsabili da parte dei singoli Stati, Angela Merkel si è prodigata nell’adozione di una valanga di regole economiche a livello internazionale – come le famigerate misure di austerity che noi Paesi mediterranei stiamo ancora sperimentando sulla nostra pelle. Questo approccio, lungi dal risanare i bilanci degli Stati in difficoltà, ha finito per deprimerne la domanda interna ed esterna, compresa quella di beni e servizi americani. Gli Stati Uniti sono molto preoccupati di questa tendenza perché potrebbe compromettere la ripresa della propria economia, drogata com’è da anni di stimoli monetari da parte della Fed, ma la Germania vuole proseguire su questa linea.
Questo disappunto traspare dalla lettura in filigrana del rapporto del Tesoro americano sull’economia internazionale dello scorso novembre, in cui si attacca senza mezzi termini il modello di crescita della Germania, colpevole di spingere l’Eurozona nella deflazione.
In termini di politiche e strategie Washington e Berlino sono in disaccordo praticamente su tutto, proprio in una fase storica dove il supporto tedesco alle iniziative americane sarebbe fondamentale. Nei corridoi del Dipartimento di Stato americano c’è chi comincia a chiedersi se la Germania possa ancora essere definita un Paese alleato – esattamente ciò che i tedeschi si domandano degli USA. Ecco perché l’NSA ha l’occhio e l’orecchio sopra la Porta del Brandeburgo.
Quella inconscia nostalgia per la Stasi
La Germania teme lo spionaggio estero. Pudicizia a parte, si tratta di un timore dettato da ragioni molto concrete. A far gola alle potenze straniere sono soprattutto brevetti industriali, innovazioni tecnologiche, segreti d’azienda, strategie energetiche: tutti i segreti che fanno della Germania uno dei paesi di maggior successo nella competizione globale, e che essa intende proteggere ad ogni costo.
Lo scorso autunno, Angela Merkel ha reagito alla notizia delle intercettazioni a suo danno invocando – assieme al Brasile di Dilma Rousseff, altra vittima illustre dello scandalo Datagate – un codice di condotta sullo spionaggio da presentare come risoluzione di fronte alle Nazioni Unite, e in più spingendo per avere norme sulla protezione dei dati personali inseriti nella Trade and Investment partenariato transatlantico (TTIP).
Nei giorni scorsi l’ambasciatore USA in Germania, John Emerson, ha provato a scongiurare lo scontro diplomatico tra Washington e Berlino offrendo un accordo di condivisione delle notizie di intelligence, ma l’iniziativa sarebbe stata giudicata insufficiente e tardiva al punto da non meritare neppure una risposta.
Tuttavia la Germania ha alle spalle una storia di spionaggio non indifferente. Fu una spia a costare la cancelleria a Willy Brandt nel 1974. L’agente si chiamava Günter Guillame, fu spedito dalla Stasi a Berlino Ovest, dove fece carriera nell’Spd ed entrò nelle grazie del cancelliere al punto da diventarne la persona più fidata, autorizzata a essergli sempre al fianco. Quando venne scoperto, Brandt fu costretto alle dimissioni. E oggi la stessa Germania che protesta per le intrusioni esterne dimostra un comportamento quanto meno ambiguo rispetto al tema della privacy: è la nazione che propugna norme ancora più rigorose e più restrittive per tutta l’Europa in materia di trattamento dei dati, ma anche quella che chiede più dati alle imprese web. Nel 2011 destò molto scalpore la vicenda “Bundestrojaner”, un’pplicazione che avrebbe dovuto difendere la Germania dal crimine informatico ma la cui intrusività ben al di là dei compiti di sorveglianza anticrimine. E nella disputa infinita sulla riforma della governance di Internet, la Germania intende assumere un ruolo-guida all’interno della UE nella richiesta di riequilibrare in favore del Vecchio continente il potere all’interno dell’Icann (Internet corporation for assigned names and numbers, il principale organismo regolamentatore della rete), organo tuttora sottoposto al Dipartimento per il Commercio degli Stati Uniti. Inoltre, la vicenda Snowden sta spingendo il BND a chiedere al governo piú risorse per avviare una forte campagna di controspionaggio — non è ancora chiaro se verso gli Stati Uniti o altri obiettivi, magari intern
Conclusioni
Secondo il Washington Post, lo scandalo Datagate è molto più esteso di quanto pensiamo: ogni giorno nuove rivelazioni gettano un’ulteriore squarcio su una realtà prima impensabile. Guardando la vicenda da quel buco della serratura che sono le rivelazioni di Snowden, si ha una conferma: dalla fine della Guerra Fredda lo spionaggio è più che aumentato anziché diminuire, finendo per coinvolgere indistintamente amici e nemici – anzi, più gli uni degli altri.
E nel caso dei rapporti tra Berlino e Washington, questa pratica sta logorando quel che rimane di un’alleanza che per decenni ha tenuto in piedi l’Occidente al tempo della contrapposizione tra i blocchi, ma che oggi non sembra più reggere il peso degli opposti interessi a un quarto di secolo dalla caduta del muro di Berlino.
* Scritto per The Fielder