La rigidità che contraddistingue il rapporto che Berlino ha instaurato con l’Europa mal si concilia, tuttavia, con il dinamismo attraverso cui la Germania sta avvicinandosi a Cina, Russia ed India, che rappresentano i pilastri del BRICS. La visita di Angela Merkel a Nuova Delhi nel maggio 2011 corona la collaborazione con l’India, soprattutto per quanto concerne il campo dell’alta tecnologia. L’interscambio tra Germania e Cina nel 2011 tocca i 144 miliardi di dollari ed è destinato a raddoppiare entro il 2015, quando si stima che raggiungerà i 280 miliardi. Queste cifre permetteranno ai tedeschi di assestarsi in cima alla classifica dei paesi esportatori verso la Cina, surclassando gli Stati Uniti, e a Berlino di stringere ulteriormente il rapporto strategico con Pechino. Nell’aprile 2012, il primo ministro cinese Wen Jibao si reca a Wolfsburg allo scopo di siglare un accordo che prevede l’installazione di una nuova fabbrica della Volkswagen nella regione dello Xinjiang. Si prevede che ciò attenuerà l’alto tasso di disoccupazione locale, che finora ha contribuito primariamente ad alimentare le pulsioni centrifughe delle popolazioni indigene.
Questa intensificazione dei rapporti con la Cina costituisce la parte integrante e maggioritaria di un processo che prevede il riposizionamento dell’economia tedesca in direzione dei mercati emergenti. Secondo un rapporto redatto dall’European Council on Foreign Relations, «La Germania è portata a considerare se stessa come una forza credibile in un mondo multipolare, il che alimenta a sua volta l’ambizione di divenire “globale” con le sue forze»1.
Il maestoso incremento dell’interscambio con la Cina è tuttavia dovuto al ruolo svolto dalla Russia, con la quale la Germania è legata da una cruciale alleanza strategica. Oltre alla realizzazione del gasdotto Nord Stream – che permette al metano russo di confluire verso i terminali di Greifswald, alimentando la crescita economica tedesca – e alle 6.000 imprese tedesche che operano in territorio russo, va evidenziato l’allestimento di una linea ferroviaria moderna capace di trasportare 400.000 tonnellate di merci dalla Cina alla Germania grazie a un accordo raggiunto tra le ferrovie tedesche (Deutsche Bahn) e quelle russe (Rossiyskie Zheleznye Dorogi). Si tratta di un successo fondamentale, che garantisce cruciali prospettive strategiche. Il fine ultimo dell’accordo è rappresentato dalla nascita dalla società mista Eurasia Rail Logistics, attraverso cui le ferrovie tedesche sono chiamate ad occuparsi dell’ammodernamento delle linee russe, fornendo servizi di ingegneria tecnica – sussidiati ad aziende come la Siemens – allo scopo di sostituire migliaia di km di vecchi binari con nuovi percorsi ad alta velocità. Ciò riguarda principalmente la Transiberiana – il ponte eurasiatico per antonomasia –, la cui costruzione – cominciata nel 1890 ed ultimata 1916 – è dovuta alla volontà del grande premier russo Segej Witte, che intendeva collegare lo sterminato spazio territoriale coperto dall’impero russo. La Transiberiana, con oltre 9.000 km di tragitto, rimane la più lunga linea ferroviaria al mondo. Essa allaccia il porto russo di Vladivostok a Mosca.
Il tratto che congiunge Mosca al porto olandese di Rotterdam – allungando di altri 3.000 km circa il tragitto – venne costruito in seguito. I problemi di manutenzione e la ridotta velocità massima avevano limitato notevolmente le potenzialità di questo colossale corridoio eurasiatico, ma l’intervento della Deutsche Bahn rovescia drasticamente la situazione. L’ammodernamento delle strutture della Transiberiana da parte delle ferrovie tedesche fa sì che, nel gennaio 2008, il servizio di trasporto ferroviario merci Pechino-Amburgo Container Express – che si aggancia alla Transiberiana presso lo snodo russo di Ulan Ude – giunga a destinazione nell’arco di appena 15 giorni (il trasporto via mare richiede il doppio del tempo come minimo), dopo aver percorso oltre 10.000 km transitando per Mongolia, Russia, Bielorussia e Polonia.
In tal modo, la Russia ha modo di ammodernare le proprie vie di comunicazione strategiche, apprendere dai tedeschi come costruire ferrovie ad alta velocità con traffico gestito da computers e di rivendere la tecnologia tedesca ai paesi asiatici, come Iran ed India. La Germania ha invece ottenuto l’accesso diretto, attraverso l’immenso territorio russo, alla Cina. La Deutsche Bahn, attraverso questa portentosa espansione ad est, potrà diffondere all’intera Eurasia gli standard stabiliti dall’Unione Europea contenuti nel Trans-European Transport Network (TEN), il progetto volto a favorire i traffici europei verso l’Estremo Oriente e, sulla rotta di ritorno, trasportare carichi di materie prima alle industrie europee. Il TEN – che prevede stanziamenti per 400 miliardi di euro – non prevede solo la costruzione di ferrovie, ma intende agevolare la realizzazione di strade e altri “corridoi transcontinentali”. La Germania cerca quindi di ritagliarsi il proprio lebensraum (lo “spazio vitale”, concetto elaborato dal geopolitico tedesco Karl Ernst Haushofer prima che se ne impossessassero indebitamente i nazisti) ripristinando il drang nach osten, (la “spinta verso est”) attraverso una serie di corridoi strategici che solcano la rotta ovest-est. E’ sufficiente un’occhiata alla mappa geografica per constatare che la “spinta verso est” rappresenta la naturale inclinazione tedesca. Essa è capace di far ricadere enormi benefici, sia politici che economici, su tutti gli Stati coinvolti poiché accelera l’ineluttabile integrazione fra la Russia ricca di materia prime e la Germania, che dispone di un poderoso comparto industriale e di un invidiabile know-how tecnologico. Proprio per impedire la nascita di questo formidabile blocco economico integrato – che avrebbe assicurato l’egemonia russo-tedesca sull’intera Eurasia –, gli Stati Uniti sferrarono l’attacco alla Serbia di Slobodan Milosevic. Nel 1999, i primi bersagli distrutti dai bombardieri NATO furono i ponti sul Danubio e sulla Sava, poiché l’obiettivo fondamentale era quello di in sbarrare la strada al traffico fluviale tedesco (come illustrato in precedenza) verso il sud-est europeo.
I presupposti basilari per la formazione di un blocco egemonico continentale consimile si presentarono anche nel 1989, in seguito al crollo del Muro di Berlino. La Germania si riunificò sotto la guida di Helmut Kohl e, soprattutto, dell’abilissimo presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen. «Entro dieci anni – affermò Herrhausen – la Germania Est diverrà il complesso tecnologicamente più avanzato d’Europa e il trampolino di lancio economico verso l’est, in modo tale che Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e anche la Bulgaria svolgano un ruolo essenziale nello sviluppo europeo»2. In conformità a questo scopo intendeva abolire il debito “intra-imprese”, un dato contabile che grava sulle industrie ex comuniste (nel 1994 raggiunse i 200 miliardi di marchi) considerato come un asso nella manica da Banca Mondiale e FMI, che si opponevano irriducibilmente al risanamento del comparto industriale ereditato dalla Germania in seguito alla riunificazione. Il presidente della Deutsche Bank sostenne, tra le altre cose, proprio la necessità di costruire linee ferroviarie veloci verso Mosca. Esattamente il tipo di progetto che le potenze marittime – Gran Bretagna prima e, successivamente, Stati uniti – hanno contrastato per secoli. Herrhausen si distingueva per la visione aperta e innovativa dei rapporti internazionali proponendo di ridisegnare il ruolo della Germania, che secondo la sua concezione avrebbe dovuto fungere da ponte fra est ed ovest, nonché da motore della riconversione industriale e del nuovo sviluppo di un’Europa sottratta al controllo della Banca Mondiale e del FMI. Mentre si prodigava per mettere in pratica i suoi piani, Herrhausen denunciò di essersi imbattuto «In massicce critiche»3, in particolar modo quando si espose affinché il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale risparmiassero i paesi post-comunisti dell’est alla “terapia d’urto” di Jeffrey Sachs, caldeggiando una moratoria sul debito di qualche anno, cosicché potessero sfruttare le proprie risorse per la ricostruzione piuttosto che per sostenere i ratei ai banchieri. Nonostante ciò, Herrhausen riuscì ad acquisire un notevole appoggio in Europa, che nell’arco di pochi anni si sarebbe potuto rivelare sufficiente per far decollare i suoi progetti, il più importante dei quali riguardava la fondazione a Varsavia di una banca per lo sviluppo finalizzata a finanziare la ricostruzione e l’integrazione dell’Europa orientale con quella occidentale. L’1 dicembre 1989, con impeccabile puntualità, un ordigno esplosivo – dotato di un sofisticatissimo innesco laser – fece saltare l’automobile blindata su cui Alfred Herrausen stava viaggiando. La responsabilità dell’attentato venne attribuita al gruppo terroristico comunista Rote Armee Fraktion (RAF), in seguito ad una superficialissima indagine.
Un acuto economista meglio noto come Detlev Karsten Rohwedder cercò tuttavia di inserirsi nel solco tracciato da Herrhausen. Rohwedder era a capo della Treuhandanstalt, holding pubblica che raggruppava tutte le industrie statali dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR), dopo aver approntato e gestito di persona il piano di risanamento e riorganizzazione del colosso chimico e farmaceutico Hoechst AG. Dal momento che «Un liberismo di mercato di tipo dottrinario non funziona – affermò Rohwedder – occorre privilegiare una politica di risanamento rispetto alle privatizzazioni»4. L’esatto contrario di quanto richiesto dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Rohwedder intendeva di incentivare gli investimenti pubblici per rimettere in sesto ed ammodernare il vecchio comparto industriale ereditato dalla DDR, affinché «La popolazione della Germania Est superi al più presto la sua condizione d’inferiorità materiale»5. Questo (relativamente) sconosciuto economista ambiva a trasferire il controllo della Treuhandanstalt dal Ministero delle Finanze, cui faceva capo, a quello dell’Economia, in modo tale che la holding divenisse l’organo centrale di un rinnovato dirigismo tedesco. Il 12 aprile 1991, uno o più esperti sicari colpirono Rohwedder sparando tre colpi con carabina a infrarossi, che infransero una finestra della sua casa di Dusseldorf, uccidendolo. La solita RAF rivendicò la paternità dell’attentato, dimostrando per l’ennesima volta la reale funzione del terrorismo “estremista”. La minaccia rappresentata da personaggi come Herrhausen e Rohwedder viene chiarita con estrema precisione da Henry Kissinger, secondo il quale «Se entrambe le potenze (Germania e Russia) si integrassero economicamente intrecciando rapporti più stretti, sorgerebbe il pericolo della loro egemonia»6. Solo il riavvicinamento tra Germania e Russia, dovuto in larga misura a Vladimir Putin, ha fatto in modo che i piani di integrazione escogitati da Herrhausen e Rohwedder riprendessero vigore. Ciò dimostra che la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS – che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo.
Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti. «Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri.
Note:
1 – “Corriere della Sera”, 24 aprile 2012.
2 – “Il Tempo”, 30 novembre 2009.
3 – Ibidem.
4 – “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, 30 marzo 1991.
5 – Ibidem.
6 – “Welt am Sontag”, 1 marzo 1992.
7 – Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell’era della supre-mazia americana, Longanesi, Milano 1998.
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