Lezioni condivise 106 – Antidramma e altre storie
30 novembre 2015 @ 18,30
Ieri notte (quale notte? la stesura di questo pezzo ha visto tante notti) avevo iniziato a guardare il film Muse (La settima musa) di Jaume Balagueró; l’inizio sembrava interessante, poi una scena altamente drammatica lo trasforma in film horror… Senza grandi ripensamenti ho interrotto la visione.
Dovrei parlare appunto di dramma, anzi di antidramma; cosa non è dramma se non la storia di una ragazza che ha una relazione segreta con il prof di Letteratura e dopo averci fatto l’amore, fattolo giurare di amarla in eterno, si fa trovare esangue nella sua vasca da bagno? O è antidramma?
Il dubbio può sorgere perché in senso teatrale i due concetti non sono esattamente opposti, come apparirebbe evidente sotto il profilo linguistico, espressivo, insomma non è come la dicotomia tra horror e commedia.
Del dramma come drammatizzazione ho già trattato ampiamente nelle lezioni 67 e 74.
L’antidramma fa parte del genere, soprattutto teatrale, “drammatico” (contemporaneo), ma si oppone al dramma perché ne nega gli atteggiamenti, la finzione, l’illusione, per assumere una realtà verosimile e la negazione dei valori stabiliti. Adotta il surreale e non i tipici “colpi di teatro”, abbandona la causalità per l’illogicità, introduce l’antieroe, l’eloquenza, il gioco di parole, l’assurdo, le ripetizioni, il grottesco, è imprevedibile.
Negli anni Sessanta del secolo scorso, si comincia a parlare di “nuova scrittura”, dove la parola è segno, non solo immagine astratta della cosiddetta “poesia concreta”. Si tende ad esaltare la manualità, materialità, iconicità della scrittura, fino al disegno e alla pittura, alla nascita della poesia tecnologico-visiva. Gli artisti che vi si esprimono talvolta neppure usano la parola scritta, ma solo il segno e/o il disegno, sono tradizionalmente pittori e poeti o entrambe le cose. Tra gli altri cito Paolo Albani, Mirella Bentivoglio, Irma Blank, Ketty La Rocca, Betty Danon, Lamberto Pienotti, Patrizia Vicinelli; tante donne. Si entra nel terreno della semiotica, lo studio dei segni.
Anche nel teatro il Novecento ha accolto delle avanguardie, accantonando i generi epico, drammatico, melodrammatico in quanto tali, per accogliere le opere di Henrik Ibsen, Bertold Brecht, Pirandello (antesignani dell’antidramma).
Del resto, il testo antitragico esiste fin dai tempi di Platone che lo attuò clamorosamente nel suo “Apologia di Socrate”, dove il filosofo, condannato a morte, chiede di andare in bagno a lavarsi per evitarne l’incombenza a chi avrebbe dovuto provvedervi dopo l’esecuzione: è fino in fondo padrone di se stesso.
Per la comprensione del nuovo teatro occorre intendere il suo conflitto con il dramma e dunque separarlo da esso, ovvero distinguere tra teatro drammatico e postdrammatico, non in relazione al testo, ma al comportamento espressivo. Il testo, quando c’è, è una delle tante componenti del nuovo teatro. Vi è stato un processo storico del teatro, da quando il testo non era presente, ma era solo rito, mimesi, danza. Con l’avvento del testo, esso prese il dominio su tutto, compresa l’azione scenica, che in realtà è il teatro. Il teatro era fuso nel testo, nel dramma.
Il teatro postdrammatico nasce alla fine del XX secolo, con un percorso preceduto da avanguardie (XIX sec.) e neoavanguardie (anni Sessanta e Settanta). Come già osservò Walter Benjamin, a proposito de “Le Affinità elettive” di Goethe, non è il linguaggio, ma il superamento del medesimo, la rappresentazione, che è vero “dramma” (nel senso di teatro, agone, pantomima). Il dramma secondo la sua definizione storica comincia ad entrare in crisi alla fine dell’Ottocento. Ma per poter intravedere un teatro postdrammatico si deve attendere Brecht, non solo testo, ma una sorta di regia.
Heiner Müller ha dichiarato addirittura che “un testo teatrale è valido solo se per il teatro già esistente è impossibile da mettere in scena”. Così si arriva a definire l’incompatibilità tra teatro e dramma. Edward Gordon Craig ne “L’arte del teatro”, sostiene che Shakespeare non dovrebbe essere messo in scena, e quando lui stesso lo fece, dichiarò di avere avuto la conferma dell’irrappresentabilità, in quel caso, di “Amleto”, ovvero la letteratura teatrale è una cosa, il teatro un’altra. In un testo, vi sono elementi come la poesia e altre qualità, che non devono trovare spazio in una rappresentazione teatrale.
All’inizio del Novecento si hanno precursori in Gertrude Stein, Robert Wilson, Antonin Artaud, Stanislaw Ignacy Witkiewicz, con forme testuali essenziali, decostruite. E’ solo l’inizio, ma l’avvento del Cinema pone al teatro nuovi problemi, definirsi come arte specifica, e la sua specificità è la presenza sul palcoscenico. Il teatro di regia è un altro passo verso il teatro postdrammatico. Possiamo indicare qui oltre a Craig, altri come Cechov e Stanislavskij, Claudel e Copeau.
Con la neoavanguardia si comincia a intravedere il teatro postdrammatico, ne sono anticipatori John Cage, Merce Cunningham, Allan Kaprow, poi Beckett, Ionesco, Sartre e Camus. Si stabiliscono varie connessioni tra teatro dell’assurdo e filosofia, esistenzialismo, surrealismo, espressionismo astratto, provocazione e protesta, che coinvolge tutte le arti. Ne sono principali esponenti Kafka, Peter Weiss, Konrad Swinarski e Peter Brook e siamo gia a metà anni Sessanta. In questi anni si afferma un nuovo spirito sperimentale che culmina nel movimento del Sessantotto. E’ attiva soprattutto la Germania, dove nasce Experimenta, lo stile di Brema di Kurt Hübnerssi, con Peter Zadek, Wilfred Minks e Peter Stein. Negli USA nasce un movimento pluriartistico, si mette in luce Christo che imballa i momumenti, Yves Klein con le Anthropometries e a Vienna Richard Schechner che mette in scena “Dionysius 69”, dove gli spettatori interagiscono con gli attori, in rappresentazioni in cui prevale l’absence de sens, il comico o grottesco, la commedia (Fritsch, Dürrenmatt, Hildesheimer), rappresentati nel cinema da “Il dottor Stanamore” di Stanley Kubrick. Esslin usa le stesse modalità per esprimere l’ansia metafisica dell’assurdità dell’esistenza umana.
Eppure il teatro continua a rimanere agganciato al dramma (Ionesco, Adamove), il testo resta preponderante anche con tutte le innovazioni.
Negli anni Ottanta e Novanta si assiste ad una sorta di confusione tra tradizione e postdramma. Il distinguo appare sottile per i non addetti ai lavori: la questione centrale non è più la corrispondenza tra teatro e testo (parola, significato, suono, gesto), ma trovare dei testi utili, adeguati, per un progetto teatrale che si basi su performance, impulsi, frammenti, per una nuova espressione indipendente dal testo.
Per comptendere il teatro postdrammatico occorre aver presenti le avanguardie storiche che lo hanno precorso, come l’antagonismo teatrale, il simbolismo (avanguardia ermetica), poi con futurismo, dada e surrealismo, e l’uso dei piccoli teatri, delle cantine. La scena simbolista era staticità antidrammatica, monologante. Stéphane Mallarmé ideò un Amleto con un solo attore, dove gli altri erano esclusivamente comparse. Paul Claudel ha sostenuto: “Il dramma è qualcosa che arriva, il teatro No qualcuno che arriva”. Maeterlinck e Mallarmé, poi Wilson, presero spunto dal teatro NO, quale rito, cerimonia, fato. In questo senso anche una sacra rappresentazione assumerebbe un aspetto scenico antidrammatico. Hanno preso questa linea anche Tadeusz Kantor con oggetti animati, Heiner Müller con i fantasmi, e Monique Borie.
Come dunque si differenzia il dramma dall’antidramma?
– al posto della trama e dell’azione, l’apparizione;
– al posto della rappresentazione, la performance.
Termina la fusione di testo e scena e si apre alla connessione con la poesia scenica, senza testo. Questa nuova poetica, a partire dal dramma lirico e simbolista, si connota come prima drammaturgia antiaristotelica (Bayerdörfer), già anticipata da Eschilo e da tutto il teatro che non si rifaceva alle prescrizioni aristoteliche (monodrammi, duodrammi e i melodrammi del diciottesimo secolo, ridotti a un’unica scena). E’ esemplare in proposito “La gardienne” di Henri de Régnier (1892). Il poema veniva letto da attori non visibili al pubblico, mentre sul palco, dietro un velo aveva luogo l’azione in forma di pantomima. Separazione tra azione e parola, ma era la rinuncia alla rappresentazione della realtà.
Le prime avanguardie del Novecento consapevolmente o meno usarono vari espedienti per superare il dramma, più che altro con la provocazione del pubblico, con il non sense, poi con la velocità, la musica, numeri di varietà e il cabaret. L’opera della Steine fu ripresa da molti gruppi d’avanguardia degli anni 60 e 70, per la sua forma pura…, ma lontana dalla realtà. L’espressionismo sebbene non sia avanguardia, ha degli elementi che la condizionano, come la predilezione per le forme di monologo e del coro… Analogamente ha inciso sul nuovo teatro il surrealismo con la sua provocazione e le sue immagini magiche. Ribadiamo dunque: il teatro postdrammatico è soprattutto rito, voce, scena, non necessariamente e strettamente azione.
Il concetto di segno teatrale deve comprendere tutte le dimensioni del significato, non soltanto i segni che portano informazioni determinabili, cioè significanti che denotano un significato identificabile o lo connotano come evidente, ma virtualmente tutti gli elementi del teatro. Una fisicità notevole, uno stile gestuale, un’organizzazione spaziale, senza significare, ma solo per il fatto di essere presentati con una certa forza, pur senza essere fissati concettualmente, vengono percepiti come manifestazioni o gesticolazioni che richiamano l’attenzione e hanno senso grazie all’effetto di aumento creato dal contesto della performance.
Il sogno è il modello per eccellenza dell’estetica teatrale, un’eredità del surrealismo. Artaud, che lo aveva previsto, parla di geroglifici per sottolineare lo status dei segni teatrali tra alfabeto e immagine, tra differenti affetti e significazioni. Anche Freud usa il paragone con i geroglifici per caratterizzare la tipologia dei segni che il sogno offre all’interpretazione. Si tratta di invenzioni, trovate poetico-letterarie, dunque disegni metaforici che rimandano a concetti o acrostici. D’altra parte per geroglifico non s’intende solo l’antica scrittura egizia, ma l’arte dei segni che si esprime in poesia, pittura e in pseudo enigmi… Una sorta di linguistica dei segni, la stessa enigmistica.
È stata stabilita una differenziazione tra i diversi livelli della rappresentazione teatrale: testo linguistico, testo della messinscena e performance text. Il tutto è indeterminato e potenziale rispetto al testo tradizionale, anzi funge da “dosaggio” dei differenti aspetti della performance. Si tratta di un modo di utilizzo dei segni a teatro, che rimescola da cima a fondo i livelli teatrali attraverso una qualità strutturalmente modificata del performance text: con più presenza che rappresentazione, più condivisione che comunicazione, più processo che risultato, più manifestazione che significato, più energia che informazione.
Lo stile o meglio la tavolozza stilistica postdrammatica, mette in rilievo i seguenti tratti caratteristici: sinestesia (accostamento di parole appartenenti a sfere sensoriali diverse) paratassi (periodo fondato prevalentemente su un criterio di coordinazione – che prevede la congiunzione), simultaneità, gioco con la densità segnica, musicalizzazione, drammaturgia visiva, fisicità, irruzione del reale, situazione/evento. La paratassi, indica una assenza di gerarchia nell’espressione e dei mezzi teatrali in generale; ogni mezzo, ogni aspetto del teatro ha la sua autonoma forza che insieme al resto crea azione congiunta che costituisce l’opera, senza gerarchie. Ovvero gli spazi, le luci, gli arredi, hanno la stessa peculiarità della parola, della dizione, del movimento scenico. La paratassi dà luogo alla simultaneità dei segni posti all’attenzione dello spettatore che non sempre li percepisce tutti. Ciò non deve apparire come una mancanza, ma come una libertà, un’alternativa al puro caos, perché apre al destinatario la possibilità di elaborare ciò che è simultaneo, operando una selezione e una propria strutturazione contro la “smania di comprensione” (Jochen Horisch). La sovrabbondanza di elementi scenici non è ancora vista come fatto positivo o negativo. Anche la musicalizzazione è vista come un nuovo elemento da definire, vi sono pareri discordi, chi la vede come struttura autonoma del teatro (Helene Varopoulou), un altro tipo di teatro, mentre Meredith Monk sostiene sia stato il teatro a portare alla musica. In realtà la musicalizzazione è oggi un elemento del teatro dalla pop alla sperimentale e accompagna spesso tutto lo spettacolo.
La scenografia come drammaturgia visiva, come la musica ha acquisito nel teatro postdrammatico, a tratti, un’importanza predominante, da riportare nell’ambito della paratassi. Nel nuovo teatro sono elementi difficili da accettare, per un pubblico abituato all’umanità (presenza preponderante umana) nella rappresentazione, le eccessive situazioni di caldo e freddo. La corporeità, la presenza del corpo che era nel teatro drammatico primaria, necessita nel teatro antidrammatico di una molteplicità di nuovi ruoli, anche più provocatori o drammatici, in forma di danza, ritmo, grazia, forza, cinetica, disabilità… rigidità, ostentazione, sudore. Si tratta di un teatro concreto che espone se stesso, senza preoccuparsi di creare contenuti o emozioni, ridicolo o noioso, visione fine a se stessa, di una percettibilità fittizia. E’ l’uscita dalla rappresentazione per irrompere nella realtà, comunemente con il coinvolgimento del pubblico presente, rivolgendogli la parola o provocandolo (sempre esistito nel teatro, ma accentuato). Nell’antidramma il ritorno alla realtà è fatto di trovate provocatorie che lasciano il dubbio allo spettatore se siano reali o parte dello spettacolo, della scrittura, come interrompere l’azione per bere un thé o spazzare il palco. Questo comporta che lo spettatore reagisca a quanto accade sul palco come se si trattasse della realtà. Ad esempio a scene di tortura reagirà disapprovando come se assistesse a una tortura reale, e così via.
Nel teatro postdrammatico negli anni 60 e 70 con vari gruppi teatrali cominciò a diffondersi quello che era stato l’happening (accadimento) sotto il profilo sociale e politico; a livello di teatro si trattava di inventare delle situazioni, delle provocazioni (fenomeno evoluto nell’uomo sandwich o in qualche tipo di flash mob). Questo genere di espressione è legato al situazionismo, movimento filosofico-sociologico ed artistico marxista libertario, con radici nelle avanguardie artistiche d’inizio Novecento, come il dada, il surrealismo e il costruttivismo russo, e nel pensiero politico del comunismo di sinistra, in particolar modo consiliarista e luxemburghista-spartachista, anarchico o ad alcune delle idee del pensiero di Max Stirner e Sartre: il loro interesse era costruire situazioni. Il situazionismo è stato creatore di fenomeni come l’autoriflessione, l’autoindagine, l’autocoscienza.
Il teatro antidrammatico si pone dunque come illusione del reale che ogni spettatore percepisce in modo diverso dall’altro, creandosi le sue emozioni e la sua percezione di teatro.
(Storia del teatro e dello spettacolo – 30.4.1997) MP
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