Sembra il titolo di un film…vero?
E invece è tutto vero!
Lavorare in una fattoria australiana può essere l’esperienza più divertente della vostra avventura Down Under.
Conosco ragazzi che si sono divertiti, nonostante il mazzo tanto, e sono pure riusciti a mettersi due soldi da parte.
Nel post precedente, “Nella vecchia fattoria”, ho spiegato come bisogna fare per tentare l’avventura.
Hai vitto e alloggio compresi, sei a contatto con la natura e hai la possibilità di conoscere la parte più selvaggia e grezza dell’Australia, il mitico Outback e le sue tradizioni.
Insomma, una figata.
Insomma, direi, perché non per tutti la cosa è stata così idilliaca. Per la mia amica italia è stato un vero incubo.
Io non ho mai lavorato in fattoria. Non mi ci vedevo molto, lo dico sinceramente. Sono imbranata dalla nascita, è proprio una malformazione del Dna….
Guido in modo appena decente la mia auto, posso solo immaginare i danni ambientali e umani che potrei causare guidando un trattore; non posso raccogliere frutta perché ho un equilibro sulle scale pari a quello dei clown nei circhi, con la sola differenza che loro sanno cadere teatralmente e senza farsi male, mentre io invece mi massacro. E ho un rapporto con gli animali, come dire, di timore perpetuo: li temo tutti, dal più piccolo (non parliamo dei ragni…non parliamone!!!!) al più grande. E non ho pazienza.
Quindi no, la fattoria non fa per me. Per lavorare in fattoria devi essere forte (non lo sono), farti poche menate (me ne faccio troppe), essere disposto anche a mangiar poco se c’è da lavorare (chi? Io?), essere mooooolto paziente con persone e animali (magari con gli animali si….).
Io non appartengo a questa categoria e devo ancora capire, sinceramente, a quale categoria appartengo….
E devo dire che ho perso una grande occasione, perché se avessi lavorato anche solo tre mesi a raccogliere fragole, magari sarei ancora in Australia.
Ma con i se e con i ma non combino nulla, quindi andiamo avanti così.
Mi piacerebbe raccontarvi la storia della mia amica che qui, per sua richiesta di rimanere anonima (non so per quale motivo…magari perché è una delle poche a non aver superato la prima settimana in fattoria?
) chiamerò Gertrude.E lei mi odierà perchè so che questo nome le fa schifo. Apposta l’ho fatto!
Dunque, ho conosciuto Gertrude dopo pochi giorni dal mio arrivo in terra aussie.
Gertrude non conosceva bene l’inglese e ha trovato molte difficoltà a trovare un lavoro a Sydney.
Così, dopo un mese e mezzo circa, mentre sorseggiavamo un coffee davanti all’Opera House, se ne esce con: “La sai una cosa? Io vado a mungere le mucche!”.
Potete immaginare la mia faccia. Sono rimasta con la tazza a mezz’aria….e non riuscivo a parlare.
Gertrude è una milanese doc, ma di quelle che hanno il pallino della moda nel sangue, vestono sempre tutte “sciccose” e con gusto, indossano mille gioielli e hanno le unghie sempre curatissime e fresche di estetista.
Alta, occhi azzurri, seno grande, bel corpo. Una bellezza giunonica.
Ora, ce la vedete in fattoria?
Io no. E pensavo che neanche lei si vedesse a mungere mucche e tosare pecore.
Ma evidentemente mi sbagliavo. Quando ami tanto un paese anche se non conosci la lingua e odi così tanto il tuo che non ci torneresti nessemo sotto tortura…bè allora unghie laccate o meno, vestiti firmati o meno, te ne freghi e sei disposta a cambiare quello che sei, le tue abitudini, i tuoi gusti, pur di inseguire i tuoi sogni.
Ma lei mai si sarebbe immaginata di vivere quello che ha vissuto.
Era disposta a fare a meno della “french” alle unghie e degli stivali di Prada che si era appena comprata pur di avere l’occasione di rimanere in Australia.
Vedendo che non rispondevo, la Gertrude ha insistito: “Ange, hai capito? Voglio andare in fattoria. Tanto qui non trovo lavoro. Per arare i campi e raccogliere frutta non serve sapere l’inglese, no?”.
Cosa le potevo rispondere? Una parte di me avrebbe voluto dirle di lasciare perdere, che non avrebbe resistito una giornata, ma l’altra mi imponeva di stare zitta: chi ero io per dirle quello che doveva fare? In fondo, che ne sapevo di fattorie?
I ragazzi che avevamo conosciuto ce ne avevano parlato tutto sommato bene. Vita dura, mazzo tanto ma di certo una grande esperienza.
Allora ho preso coraggio. E invece che riformulare la frase in modo che suonasse più diplomatica, ho semplicemente ridetto quanto pensato senza cambiare una virgola. “Vuoi farlo? Sei sicura? Perché per me fai una cazzata, te lo dico proprio onestamente…..ma in fondo chi sono io per dirti quello che devi fare?”
Ora una persona vorrebbe sentirsi dire altro da un’amica, ma io non mi sono proprio trattenuta, mi è uscita dal cuore.
Ma la Gertrude mi ha risposto facendo spallucce (aveva già il germe australiano dentro di lei
) e mi ha detto con tono secco: “Io vado. Punto”.Il giorno dopo aveva già fatto la valigia e prenotato una fattoria trovata tramite un’agenzia. Ma l’agenzia aveva semplicemente fatto da tramite per sbrigare tutte le formalità in inglese, non si era certo premurata di trovarle una buona fattoria o farle fare un corso. L’hanno affidata al destino, diciamolo. Si sono comportati di merda, aggiungo io. Ma fortunatamente non tutte le agenzie che si occupano di sistemare i backpackers nelle fattorie sono così poco serie. Anzi, di solito sono molto affidabili.
Ma di Gertrude tante cose belle posso dire, tranne che sia una ragazza fortunata.
In confronto alla sua, la sfiga che perseguita Paperino è una passeggiata di salute, giusto la nuvoletta carica di pioggia sopra la 313. Sulla testa della Gertrude, invece, c’è un temporale. Perennemente.
La sua fattoria era a 60 kilometri da Cairns, nel nord est del Queensland, quasi in cima.
Un bel viaggetto da Sydney, eh? Quattro ore di volo…
Ci siamo salutate la mattina della sua partenza, nell’ostello dove alloggiavamo insieme. La sera prima ci eravamo massacrate di ciambelle e pancakes, giusto per festeggiare l’evento, anche se io sentivo che c’era poco da festeggiare, ma quelle ciambelle erano troppo buone!
Quello che è successo dopo la sua partenza ha qualcosa di surreale. Vi racconto quello che lei stessa mi ha raccontato.
Arrivata a Cairns, ha preso l’autobus per raggiungere la località di cui sinceramente non ricordo più il nome. Sono sessanta chilometri, quindi più o meno un’ora di bus.
Non c’era niente. Voglio dire, dopo Cairns, il nulla. Chilometri di strada in mezzo a un paesaggio desertico e polveroso, il cosiddetto Outback, dove devi pregare che non ti si ferma la macchina per sbaglio perchè sono ca…. amari….
Ci sono punti in cui non prende nemmeno il cellulare…potete immaginare che copertura c’è nell’Outback…
State attenti se vi avventurate in queste strade. Cercate di essere sempre in gruppo e di guidare un’automobile degna di chiamarsi tale, magari con quattro ruote motrici..
L’autobus l’ha fatta scendere alla fermata prestabilita. Una volta ripartito, c’era solo lei, la strada, la polvere e qualche collina rocciosa.
Non si sentiva nulla, non c’erano rumori.
Dopo dieci minuti è arrivato l’omino della fattoria. Lo chiamo omino perchè per come si è comportato con la mia amica Gertrude non è degno di chiamarsi uomo. Piccolo, capelli neri, occhi scuri e stretti, pelle bianca. Aveva un accento australiano incomprensibile, molto stretto, tipico dell’Outback dove a capirsi sono solo gli australiani che vivono da quelle parti.
Gertrude si era vestita, a suo dire, in modo molto “contadino”: stivali in pelle marrone, stile texano, gonnellona bianca, maglietta bianca e cinturone sulla gonna dello stesso colore degli stivali. Occhiali da sole e cappello texano. Una perfetta donna della prateria…
L’omino è venuto a prenderla con una macchina…macchina è un complimento, catorcio bianco sarebbe un termine più appropriato ma questa sera mi sento buona…
Ora voi come ve la immaginate una fattoria?
Esatto. Casa grande, magari un piccolo porticato, magari in legno o pietra…e campi sconfinati alle sue spalle. Vi immaginate che vicino a questa casa vi sia una stalla piena di animali, magari un ruscelletto o uno stagno dove farli abbeverare….odorate il profumo delle cose buone cucinate in casa dalla moglie del fattore….vedete i figli che aiutano il padre nei lavori quotidiani..immaginate le montagne di paglia, i trattori, gli attrezzi arrugginiti sparsi sul terreno, i nitriti dei cavalli o i muggiti delle mucche che attendono impazienti la mungitura…
Sbagliato!!! Per Gertrude non c’era niente di tutto questo.
Quando l’omino ha parcheggiato l’auto sotto l’unico albero presente nel raggio di chilometri, Gertrude per poco non si è messa a piangere dallo sconforto.
Ma quale casa grande? C’era una baracca di ferro laminato….e la porta, pure quella in laminato, era tenuta insieme da pezzi di corda che facevano da cardini…
Quale stalla? Quali animali? Gli unici animali che la nostra amica ha conosciuto sono stati serpenti, ragni, rospi e cavallette.
Senza contare mosche e zanzare.
Ruscello? Ma dove? Nei tuoi sogni….l’acqua veniva raccolta in una cisterna e ogni sera occorreva incrociare le dita e sperare di averne a sufficienza per fare la doccia.
La doccia. Gertrude si faceva la doccia con i rospi attaccati alle pareti. Quei rospi belli cicciosi, avete presente? E rumorosi pure…
Lei si lavava senza staccare gli occhi dagli intrusi verdi che sembravano osservarla dalle pareti. Nessun rospo le è mai saltato addosso, per fortuna…
Non c’era niente. Solo la baracca in ferro e una piantagione di canna da zucchero. Il paesello più vicino distava a mezzora di strada, verso l’interno. Di autobus ne passavano uno o due al giorno.
Era tagliata fuori dal mondo. La sua stanza altro non era che uno spazio di pochi metri quadrati ricavato all’interno di quella baracca, senza porta. Il letto era una branda. Le finestre erano buchi rettangolari nelle pareti. Senza vetri.
L’omino viveva in quel buco dimenticato da Dio insieme alla sua compagna. Una donna esile, sempre silenziosa, pallida, dai lunghi capelli neri.
L’unica cosa che le ha tirato su il morale è stata la vista dell’altro ragazzo, suo compagno di sventure in quella fattoria: un bel francese di 21 anni che qui chiameremo Jerome.
La mia amica ha due anni più di me. Quindi quest’anno ne fa trentadue …..ma cosa sono dieci anni di differenza quando ti trovi nel deserto, in una baracca piena di rospi con i ragni pronti ad attaccarti appena metti piede fuori e un pazzo che ti fa raccogliere canne da zucchero dieci ore al giorno e come cena ti dà un pugnetto di riso bollito?
Dieci anni non sono niente! E pur di evadere da un posto così si è disposti anche a innamorarsi di un ragazzo più giovane, con cui fatichi a comunicare in qualsiasi lingua. Tranne una.
Le giornate trascorrevano tra le piantagioni di canna da zucchero. Ore e ore a raccogliere. Poi la doccia (se c’era l’acqua) e la cena che definire frugale è un’esagerazione. Un pugnetto di riso bollito. Scotto e senza sale pure.
L’omino e la moglie parlavano poco. Si lavorava tutto il giorno. Quei due vivevano per lavorare.
E visto che tutti stavano sotto lo stesso tetto e non esistevano porte da chiudere, quando alla strana coppia veniva in mente di rispolverare qualche atto amoroso, i nostri due amici che dormivano a pochi metri di distanza dovevano sorbirsi il supplizio…. finché hanno deciso di darsi da fare anche loro!
E così, come in un film stile Laguna Blu, Jerome e Gertrude si sono “innamorati”. Facevano l’amore ogni sera, nonostante la stanchezza, la fame e il nervoso.
E meditavano la fuga.
Tutto questo, signori e signore, è successo in una settimana!
Il settimo giorno Jerome e Gertrude (sembra un racconto biblico) hanno chiesto all’omino di accompagnarli al paese più vicino per fare compere. L’omino ha detto loro che sarebbe ripassato dopo poche ore.
Ma loro non si sono fatti trovare.
Con pochi spiccioli in tasca, hanno preso il primo autobus e sono scappati a Cairns.
Una volta sul posto, sono stati ancora insieme per qualche settimana. Poi, visto che l’incubo era finito, deve essersi esaurito anche l’incantesimo perché entrambi hanno scelto di prendere strade diverse.
Adesso Gertrude lavora in un ristorante a Sydney e mi ha giurato che non metterà più piede in una fattoria in vita sua.
Io non metto in dubbio le parole di Gertrude, perchè è una ragazza in gamba, una ragazza che ha sofferto molto per rimanere in Australia e non se la sente di tornare in Italia. La “Milano bene” di cui faceva parte in realtà le ha fatto solo del male e lei preferisce avere meno, ma essere più felice.
Ma penso che il suo caso sia stato davvero eccezionale, per questo ho voluto raccontarlo.
Tanti ragazzi mi hanno raccontato esperienze stupende e sono sicura che nella maggior parte dei casi le cose vanno bene.
Ma questo racconto-testimonianza vuole anche essere un monito per chi parte un po’ troppo all’avventura senza prima informarsi adeguatamente. Anche se un’agenzia vi aiuta, voi contattate sempre la fattoria, parlate con il gestore, fatevi dire bene quello che farete e i benefit di cui godrete. Siate chiari su tutto e pretendete chiarezza. Controllate su internet le opinioni su quella fattoria e sinceratevi che siano vere e provate.
Insomma, siate svegli e prudenti.
La Maga, che stasera è un po’ materna….