Magazine Cultura

Gesta e Opinioni del Dottor Faustroll patafisico IX

Creato il 23 settembre 2012 da Marvigar4

Jarry Vignolo

Libro sesto: Da Lucullo

XXXIII
DEL TERMES
[52]

   Ora Faustroll dormiva vicino a Visité.
   Il grande letto intagliato con il coltello si piantava sulla nudità del suolo, parte antica della nebulosa del mondo, e versava sulla terra le ore tarlate della sua sabbia.
   In mezzo a quel silenzio ritmico, Visité volle perlustrare se, al di sotto della tappezzeria dipinta di spirali, Faustroll, che l’aveva amata come la serie indefinita dei numeri, possedeva un cuore capace di spandere dal suo pugno aperto e chiuso la proiezione del sangue circolare.
   Il tic-tac dell’orologio, simile all’urto dell’unghia, della punta d’una penna o di un chiodo su di un tavolo, batté verso il suo orecchio. Contò nove colpi, e la pulsazione si arrestò, poi riprese fino a undici
   La figlia del vescovo avvertì prima di altri battiti, il sonno suo proprio, che essi non interruppero affatto, giacché lei non sopravvisse alla frequenza di Priapo.
   Il termes, simile all’invisibilità d’un pidocchio rosso dagli occhi gialli, sulla quercia del letto decrepito prestava l’isocronia degli urti della sua testa alla simulazione del cuore di Faustroll.

[52] Termes è la voce latina che indica il tarlo del legno, ma nell’uso che ne fa Jarry è in relazione con il vocabolo francese terme, ossia “termine”.

XXXIV
CLINAMEN
[53]

A Paul Fort [54]

   Nel frattempo, dopo che non vi fu più nessuno al mondo, la Macchina per Pitturare, animata al suo interno da un sistema di molle senza massa, si volse in azimut nella hall di ferro del Palazzo delle Macchine, ultimo monumento in piedi di Parigi deserta e rasa, e come una trottola, urtandosi con i piloni, s’inclinò e declinò in direzioni indefinitamente varie, soffiando a suo piacimento sulla tela delle muraglie la successione dei colori fondamentali sciorinati secondo i tubi del suo ventre, come in un bar un pousse-l’amour [55], i più chiari prossimi all’uscita.
   Era quella la stessa macchina che, nell’anno milleottocentoottantasei, un uomo di media età, d’aspetto benigno quantunque baffuto, ragguardevole per la sua decorazione militare, aveva proposto all’accettazione intelligente del ministero della Guerra, affinché questo potesse, quando gli fosse piaciuto, colorare rapidamente i cassoni e gli affusti della difesa nazionale. Lo strumento fu fissato, alla presenza della Commissione competente, contro una porta nuova, mentre due artiglieri, muniti di pennelli, si appostavano davanti a una porta consimile. E appena dato il segnale, prima che i due soldati avessero eseguito il primo tempo della posizione del pittore sotto le armi, la porta del collaudo e l’altra porta, e le finestre e tutto l’edificio sparirono sotto uno strato infame di prodigiosi grumi, nello stesso tempo l’atmosfera faceva posto a una nebbia verde; e non fu più questione della Commissione né degli artiglieri: non restò proprio alcuna traccia di tutto ciò!
   Ora, nel palazzo sigillato ergendo sola la lucidatura morta, moderno diluvio della Senna universale, la Macchina, la bestia imprevista Clinamen eiaculò sulle pareti del suo universo:

NABUCODOSOR CAMBIATO IN BESTIA

   Che bel crepuscolo! o piuttosto è la luna, simile a un oblò in un una grossa botte dei vino più grande di un naviglio, o a un tappo d’olio di un fiasco italiano. Il cielo è di uno zolfo d’oro così rosso che non vi manca veramente altro che un uccello di cinquecento metri che ci sventagli un po’ di nubi. L’architettura, basamento di tutte queste fiamme, è ben animata e mobile un po’, ma troppo romantica! Vi sono torri che hanno occhi e becchi, e torrette acconciate a mo’ di piccoli gendarmi. Due donne che guardano ondeggiano al vento delle finestre come camicie di forza che si asciugano. Ecco l’uccello: il Grande Angelo, che non è un Angelo, ma Principato, s’abbatte dopo un volo esattamente nero di rondone, in metallo d’incudine di conciatetti. Una punta sul tetto, il compasso si chiude e si riapre, e descrive un cerchio attorno a Nabucodonosor. Il braccio incanta la metamorfosi. I cavalli del re non si imbizzarriscono per nulla, ma cadono come i peli madidi del tricheco; le loro punte ne costringono a chiudersi le sensitive pustole che popolano le loro alghe piegate di zoofiti, riflessi di tutte le stelle; piccole ali palpitano secondo il riamo delle palme del rospo. Zanne blu risalgono il corso delle lacrime. L’ascensione delle pupille desolate striscia verso le ginocchia del cielo feccia-di-vino; ma l’angelo ha incatenato il mostro neonato nel sangue del palazzo vitreo e l’ha gettato in un culo-di-bottiglia.

IL FIUME E IL PRATO

   Il fiume ha una grossa faccia molle, per i ceffoni dei remi, un collo a più pieghe, la pelle blu dalla peluria verde. Tra le sue braccia, sul suo cuore, il fiume tiene la piccola isola a forma di crisalide. Il Prato dall’abito verde s’addormenta, la testa nella cavità della sua spalla e della sua nuca.

VERSO LA CROCE

   A un estremo dell’infinito, a forma di rettangolo, la croce bianca dove sono suppliziati, con il malvagio Ladrone, i demoni. V’è una barriera attorno al rettangolo, bianca, con stelle a cinque punte che fanno irta la griglia. Secondo la diagonale arriva l’Angelo, che prega calmo e bianco come la spuma dell’onda. E i pesci cornuti, scimmiottatura de l’Ichthys divino, refluiscono verso la croce, piantata attraverso il Dragone, verde salvo la sua bifida lingua rosa. Un essere sanguinante dalla chioma ispida e dagli occhi lenticolari s’avvolge attorno all’albero. Irregolarmente accorre, facendo la ruota, un Pierrot verde. E tutti i diavoli, dal volto di mandrillo o di clown, divaricano le loro grandi pinne caudali in gambe d’acrobati, e, implorando l’Angelo inesorabile (volete giocare con me Mister Loyal?) [56], scuotono, camminando verso la Passione, dai loro capelli di Pagliaccio il sale del mare.

DIO PROIBISCE A ADAMO ED EVA DI TOCCARE L’ALBERO DEL BENE E DEL MALE. L’ANGELO LUCIFERO SCAPPA

   Dio è giovane e dolce, con un nimbo rosa. Il suo abito è blu e i suoi gesti curvi. L’albero ha la base torta e il fogliame obliquo. Gli altri alberi altro non sono che verdi. Adamo adora e guarda se Eva adora. Sono in ginocchio. L’angelo Lucifero, vecchio e simile al tempo e al vegliardo del mare lapidato da Simbad, si tuffa con le sue corna dorate verso l’etere laterale.

AMORE

   L’anima è abbindolata d’Amore, che somiglia in tutto a una garza color del tempo, e prende l’aspetto mascherato d’una crisalide. Cammina su dei crani rovesciati. Dietro il muro dove si rimpiatta, grinfie brandiscono armi. Del veleno la battezza. Dei mostri antichi, con cui è fabbricato il muro, ridono nelle loro barbe verdi. Il cuore resta rosso e blu, viola sotto l’artificiale allontanamento della garza color del tempo che egli tesse.

IL BUFFONE

   La sua gobba tutta tonda nasconde il mondo, come la sua guancia rossa rode i leoni della tappezzeria. Ha dei fiori e dei quadri [57] sulla seta cremisi dei suoi abiti, e verso il sole e la verzura fa l’aspersione benedicente con il suo aspersorio a sonagli.

PIÙ LONTANO! PIÙ LONTANO! GRIDA DIO AI RASSEGNATI

   La montagna è rossa, il sole e il cielo. Un dito indica verso l’alto. Le rocce sorgono, la cima incontestabile non è in vista. Dei corpi che non l’hanno raggiunta ruzzolano a testa in giù. Uno cade indietro sulle sue mani, lasciandosi scappare la sua chitarra. L’altro attende rinculando, vicino alle sue bottiglie. Uno si sdraia sulla ruota, lasciando ai suoi occhi il compito di continuare l’ascensione. Il dito indica ancora, e il sole aspetta per sparire che si sia obbedito.

LA PAURA FA IL SILENZIO

   Non c’è niente di terrificante, a parte una forca vedova, un ponte dai piloni in secca, e l’ombra che si contenta d’essere nera. La Paura, voltando la testa, tiene la palpebra bassa e le labbra chiuse della maschera di pietra.

AGLI INFERI

   Il fuoco degli Inferi è composto di sangue liquido, e si vede ciò che avviene sul fondo. Le teste della sofferenza sono affondate, e un braccio si leva da ciascun corpo come un albero dal fondo del mare, verso dove non v’è più fuoco. Lì c’è una serpe che morde. Tutto quel sangue fiammeggiante è contenuto dalla roccia da dove si è precipitati. E v’è un angelo rosso che necessita di un solo gesto, il quale significa: DALL’ALTO IN BASSO.

DA BETLEMME AGLI ULIVI

   È una piccola stella rossa, sopra il presepio della Madre e del Bambino, e della croce dell’asino. Il cielo è blu. La piccola stella diventa un nimbo. Dio ha levato il peso della croce all’animale e la porta sulla sua spalla d’uomo tutta nuova. La croce nera diviene rosa, il cielo blu si fa color malva. La strada è dritta e bianca come un braccio di crocifisso.
   Ahimè! la croce è diventata tutta rossa. È una lancia che s’è insanguinata nella piaga. Sopra il corpo che è all’estremità del braccio della strada ecco degli occhi e una barba che pure sanguinano, e sopra la sua immagine nello specchio di legno, Cristo sillaba: J-N-R-I.

SEMPLICE STREGA

   La gobba dietro, il ventre davanti, il collo torto, i capelli sibilanti nella fuga della ramazza con cui si infilza, passa sotto le grinfie, vegetazione del cielo tutto rosso, e gli indici della strada verso le Diavolo.

USCENDO DALLA SUA FELICITÀ, DIO CREÒ I MONDI

   Dio sale aureolato di un pentagramma blu, benedice e semina e fa il cielo più blu. Il fuoco nasce rosso dall’idea d’ascensione e l’oro delle stelle, specchio del nimbo. I soli sono dei grandi trifogli a quattro foglie, fioriti secondo la croce. E tutto ciò che non è creato è la veste bianca della sola Forma.

I MEDICI E L’AMANTE

   Vi è nel letto, calmo come un’acqua verde, un fluttuare di braccia stese; o piuttosto non sono le braccia, ma le due parti della capigliatura, vegetante sulla morte. E il centro di questa capigliatura s’incurva secondo una cupola e ondula secondo il cammino della mignatta. Facce, funghi gonfiati sul putridume, nascono complementari e rossi nei vetri dell’agonia. Il primo medico, orbe più larga dietro quella cupola, trapezoidale di carattere, fende i suoi occhi e pavesa le sue guance; il secondo gode dell’’equilibrio foraneo degli occhialoni, sfere gemelle, e alla librazione del manubrio soppesa la sua diagnostica; il terzo, vecchio, si vela con l’ala bianca dei suoi capelli e disperatamente annuncia che la bellezza ritorna al cranio, lisciando il suo; il quarto guarda senza comprendere l’Amante che, a ritroso nella scia delle lagrime, le sopracciglia unendo in alto le loro punte interne nel senso del volo delle gru e della comunione delle due palme di colui che prega o del natante, secondo l’attitudine di devozione quotidiana definita dai bramini KHURMOOKUM, voga al seguito dell’Anima.

[53] “Clinamen”, in italiano “deviazione”, è il termine con cui il poeta latino Lucrezio (98-54 a.C.), in De rerum natura II, 292) tradusse il concetto di parenklisis “declinazione” del filosofo greco Epicureo (341-270 a.C). In breve, secondo questa teoria gli atomi, il cui movimento è eterno, sono soggetti al clinamen che permette loro di aggregarsi non disperdendosi.

[54] Paul Fort (1872-1960), poeta.

[55] Espressione popolare che indica una bevanda alcolica piuttosto forte e afrodisiaca. corso delle lacrime.

[56] “Voulez-vous jouïer avec moi, mister Loyal ?”, dove jouïer vuol dire “giocare-gioire”. Mister Loyal è il nome del presentatore del circo.

[57] “trèfles” e “carreaux” indicano i semi delle carte da gioco.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :