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Mangiare è, dunque, una necessità primitiva e, quando non conosci la fame, un gesto. Il gesto consapevole, poi, nei casi più fortunati può diventare un rito, cioè si carica l'atto di un senso ulteriore, che non è uno smarrimento del proprio sé, ma la consegna dell'atto a una dimensione sociale e/o spirituale, che supera il singolo. Così, il cibo può essere dono, anche se coloro ai quali è destinato non trarranno beneficio dalle qualità essenziali del dono stesso, se non in minima parte.
La stessa cosa si può dire del fumo, o non esisterebbe la sigaretta elettronica, e paradossalmente della lettura, o non esisterebbe l'ebook reader. Tutto ciò che l'uomo fa è legato al modo in cui l'ha "sempre" fatto, ovvero si traccia un discrimine, sulla base dei gesti, tra un'epoca e l'altra, confinando altri gesti ad altre dimensioni antropologiche. Così nascono i primitivi, invenzione sempre attuale, non per quello che facevano, ma per un rapporto diverso con le cose.
Un libro, prima dell'età moderna, era un rotolo. Dire che un'opera - che so, l'Eneide - era in dodici libri, significava far riferimento al numero di rotoli che contenevano tutto il poema, un po' come dire che l'enciclopedia è in dodici volumi. Questione di spazi, di forme, e i contenuti seguivano questa struttura obbligata (poi, qualcuno come Ovidio ci giocava pure su). La vita segue sempre la realtà delle cose, sono i nomi, sono le parole che si attardano.
Se dicessi che io non ho mai scritto nessuno dei quasi settecento post di Das Kabarett, qualcuno si stupirebbe, altri ridacchierebbero, ma ho espresso un fatto con le parole a mia disposizione. Eppure non mentirei nella sostanza, visto che i miei testi esistono solo in forma digitale... mi chiedo come si configuri legalmente tutto ciò. Credo che aiutino le liberatorie di autorialità: certifico che i testi di questo blog sono frutto del mio ingegno ecc.
Perché, perché, perché, però, non riuscirei a trovare altro verbo che "scrivere" per far riferimento al mio atto di compilare dei form su una piattaforma elettronica con specifici contenuti? Se parlo di ciò che è legato direttamente al mio lavoro non riesco a trovare miglior parola che scrivere, è quella che mi rappresenta, perché nella mia coscienza rimane un atto che dal pensiero, attraverso le mani, passa a esprimersi, a diventare plastico.
C'è, è vero, la possibilità di dettare parole a un computer e poi ritrovarsi un testo pronto e redatto. Questo è, però, ancora un surrogato, quasi un capriccio, un gadget o uno strumento di supporto per determinati handicap e, secondo me, non modifica il senso della conseguenza di questa specifica tecnologia: ovvero che l'esito di questo processo è un testo che si può leggere. La comunicazione in differita passa per la lettura.
Forse, se dico che io ho scritto tutti gli articoli di questo blog, uno per uno, faccio riferimento al fatto che qualcuno li ha letti o li può leggere, o sul tablet o, volendo, stampati e su carta, ma la cosa non cambia. L'espressione obbligata "leggere & scrivere" forza il lessico, lo cristallizza, così che si modifica in modo valido sul piano comunicativo la semantica del secondo verbo in prevalenza dell'attualità intrinseca del primo.
Da quando ho un ebook reader, ho potuto apprezzare un modo diverso di concepire il rapporto con i libri, senz'altro più consumistico ancora, in termini di tempi di lettura e accumulo di titoli, ma si tratta di lettura. Leggo molto di più, più velocemente, non è detto che capisca di più, credo anzi di perdermi qualcosa, non posso sfogliare a caso un libro e ritrovare le citazioni tra le tante parole non evidenziate, me le trovo tutte archiviate in un nuovo file. Insomma, un'altra cosa.
Ciò non toglie che, di fatto, io leggo. Mi domando, però, per quanto ancora leggerò libri. Romanzi sì, la parola ha già resistito a diverse metamorfosi semantiche, ma libri? Quanto ci metterà la parola (il logos?) a stare al passo con i tempi? Per quanto ancora li chiameremo così, quanto il sintagma "leggere i libri" costringerà a formulare ancora la frase "scrivere libri" anche se non si userà la penna e non si avrà coscienza del volume reale dei libri stessi? Ci sono software che mimano graficamente una biblioteca su uno schermo, ma è una finzione retrò.
Anche le espressioni sono gesti compulsivi. Le usi mentre fai altro, mentre perdi il controllo della realtà sottesa. Ma questi gesti sono parole che mi definiscono. Uso altri mezzi, ma appartengo alla civiltà della lettura e della scrittura, a parole e gesti altamente culturalizzati, do un significato a quello che faccio e questo significato che indugia nostalgico su altre realtà, mentre sta al passo coi tempi, mi riguarda, mi definisce. La padronanza dei propri gesti è una forma di autodisciplina, di creativa autorialità sulla propria vita.
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