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Chi potrà mai dire di dimenticarsi delle stravaganze di Muhammar Gheddafi? Per certo nessuno avrà scordato il viaggio dell’ex rais in Italia, quando pretese da un’agenzia di reclutare ben 500 hostess da convertire presto all’Islam. La passione per le donne e la religione da parte dell’ex leader libico è piuttosto nota, anche se nella vita reale, poi, la condotta del rais era ben distante dai precetti propri del profeta Maometto. Una vita dissoluta e tinta di ogni eccesso: donne, alcol, cocaina e Viagra. Le testimonianze dei vizi di Muhammar Gheddafi riportano un’esuberanza oltre ogni limite, addirittura superiore alle cene nostrane «in quel di Arcore».
Un harem lontano dagli entusiasmi dell’universo berlusconiano, e particolarmente vicino all’idea che si ha di un luogo di tortura e sevizie. Un’immagine non troppo distante dalla prigione di Guantanamo, stando almeno alle indiscrezioni che sono trapelate nel tempo intorno a questa prigione. Il mondo di Muhammar Gheddafi era allora solcato brutalmente da rapimenti e costrizioni di ogni genere. Si dice appunto che molte ragazze siano state rapite da case e scuole per rinnovare l’harem gheddafiano, e molte di loro obbligate ad avere rapporti sessuali col rais.
Era proprio lo stesso Gheddafi a violentare pubblicamente le giovani donne, alle quali – alle volte – s’aggiungevano alcune guardie di sesso maschile costrette a subire abusi. L’immagine del leader libico s’è così delineata sempre più contorta: lui che sosteneva d’aver liberato la donna dall’oppressione, in verità abusava di quest’ultima come un qualsiasi mezzo di potere. In questi «festini» violenti non mancavano certo l’alcol e la cocaina, e pure il Viagra non era da meno.
Lui che amava circondarsi di belle donne e non lasciava mai che il whisky scarseggiasse ai banchetti, lasciava che questo regime di terrore nell’harem fosse garantito da Mabrouka, una donna senza scrupoli che divenne uno dei personaggi più influenti all’interno dell’universo politico della Libia.
Una giornalista francese, Annick Cojean, nel suo libro «L’harem di Gheddafi» racconta appunto la storia di Soraya, una donna giovanissima, una diciottenne che fu costretta a subire abusi ripetuti per quasi 7 anni. In principio Soraya era felice di poter incontrare di lì a poco il rais, ma ben presto dovette ricredersi scoprendo l’«anima nera» del leader libico. Fu allora che la ragazza venne sottoposta ad un esame del sangue e ad una depilazione integrale, tranne le parti intime, per poi essere truccata e così presentata al rais vestita soltanto di un perizoma e un abito scollato. Fu la sua tremenda iniziazione nel mondo del colonnello. Sette anni di abusi, costretta ad ubriacarsi e a sniffare cocaina. Ormai Gheddafi è morto e molti affermano che con lui sia finito un incubo durato troppo tempo, ma le ferite profonde in queste donne – forse – non si cicatrizzeranno mai.