Condividi Coldplay "Ghost Stories"
Il grande problema dei Coldplay è fondamentalmente uno. Più che un problema, una colpa. Sono troppo famosi, hanno venduto troppi dischi, hanno raccolto troppo rispetto ai loro reali meriti. I Coldplay non sono un gruppo pessimo, questo no, ma tanto meno sono fenomenali. Sono una band media, come tante, che però ha una popolarità enorme, come poche. Il segreto del loro successo? Chris Martin è riuscito a scrivere una serie di canzoni capaci di arrivare al cuore del pubblico, alcune davvero riuscite come “Yellow”, “The Scientist”, “Fix You” e “Viva la vida”. Allo stesso tempo manca loro il vero genio creativo. I primi tempi, quelli del loro album migliore, il debutto “Parachutes”, suonavano come un incrocio tra Radiohead e Jeff Buckley, poi è avvenuta la loro U2izzazione e hanno puntato a proporre uno stadium-pop con grandi cori e canzoni di facile presa. In ogni caso senza mai possedere un'enorme originalità. Ai Coldplay va però almeno dato atto di non essersi cristalizzati in un solo tipo di suono, ma di cercare sempre nuova gente cui scopiazzar… ehm, cui ispirarsi. Con l’ultimo poco riuscito “Mylo Xyloto” avevano tentato, senza convincere molto, qualche divagazione elettronica, ma il lavoro risultava un pasticciaccio brutto, e ora?
Con il nuovo “Ghost Stories” i Coldplay cercano di infilare tutto quanto fatto in precedenza in una forma più semplice, provando a spogliarsi delle produzioni eccessive e dei barocchismi dei loro ultimi album. Il suono del disco è delicato, leggero, sospeso. Impalpabile. Talmente impalpabile da essere quasi inconsistente.
Se a livello di tematiche questo è un disco di rottura, visto che Chris Martin affronta la fine della storia con l'ormai ex moglie Gwyneth Paltrow, a livello musicale pure, considerando come questa volta le rinnovate fonti di ispirazione sembrano essere James Blake, The xx e Bon Iver, si senta il soporifero clone di quest’ultimo che è “Midnight”, mentre a tratti pare di essere finiti in una versione for dummies dei Sigur Ros, basti dare un ascolto all'apertura di "Always in My Head". In mezzo a tante ballatone, a sorpresa c’è anche spazio per una parentesi quasi dance, con “A Sky Full of Stars” prodotta dal dj più in voga più tamarro del momento, Avicii. Il risultato? Sembra un pezzo di David Guetta che cerca di fare la copia dance di una canzone dei Coldplay.
Nonostante questo pezzo che con il resto della tracklist c’entra quanto un brano di Gigi D’Agostino in una compilation di musica new-age, i ritmi sono per lo più lenti, per non dire assenti. Provate ad ascoltare “Oceans” senza finire in coma e Chris Martin vi regalerà una bambolina per fare il voodoo a Gwyneth Paltrow.
A inizio post dicevamo che il grande problema dei Coldplay è quello di essere diventati più famosi di quanto meritassero. A dirla tutta, Chris Martin e compagni hanno anche un altro e più grave problema. Sono una lagna infinita e il loro nuovo lavoro ne offre un’ulteriore lampante dimostrazione. “Ghost Stories” non è un brutto album, è solo noioso. Penso ci sia solo una cosa più noiosa dell'ultimo disco dei Coldplay: Robert Redford da solo su una barca che si ascolta l’ultimo disco dei Coldplay.
La definizione di album di rottura è allora perfetta. Non perché documenta la rottura tra Chris Martin e Gwyneth Paltrow, ma perché è una gran rottura di palle.
(voto 5/10)
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