E pensare che la sua stagione agonistica non era certo iniziata sotto i migliori auspici: a fine aprile, durante un normale allenamento, un furgone travolse lei e la sua bici, con tagli, escoriazioni, dolori vari e due denti rotti. Ma il destino, si sa, restituisce sempre ciò che toglie. Così, il 20 giugno scorso la protagonista di questa sventura ha conquistato, tra lo stupore generale, l’ambitissima maglia Tricolore, diventando campionessa d’Italia di ciclismo su strada. Stiamo parlando di Giada Borgato, una forte (e sorridente) ragazza nata a Padova il 15 giugno di 23 anni fa: le due ruote sono nel sangue, visto che suo padre Aldo fu un dilettante di buon successo. Ma andiamo alla scoperta di questa valida rappresentante della new generation del pedale rosa partendo proprio da qui, da quel titolo nazionale vinto tra gli incantati paesaggi della Valsugana.
Giada, cosa significa per te quella maglia tricolore che puoi sfoggiare ad ogni gara?
“Il Tricolore vale davvero molto. Ho sempre saputo che prima o poi avrei dimostrato le mie qualità cogliendo qualche buon risultato, ma mai avrei pensato di centrare il campionato nazionale! Anche se, lo ammetto, sulla linea di partenza già lo sognavo…”
Ci racconti come è andata quel giorno e quali sensazioni hai provato al traguardo?
“Alla partenza ero spensierata e serena: non lo ritenevo un circuito congeniale alle mie caratteristiche, però sin dai primi giri mi sono resa conto di avere una buona gamba. Così, a tre tornate dal termine, sono uscita dal gruppo assieme a Valentina Carretta e Marta Bastianelli per inseguire Silvia Valsecchi, ma in salita le ho staccate e sono rimasta da sola in seconda posizione. Raggiunta Silvia, sono riuscita a fare la differenza nel passaggio successivo, sempre in salita, e da lì ho iniziato la mia personalissima cronometro individuale: 15 km lunghi come non mai, con tanto di crampi a farmi compagnia, ma la grinta mi spingeva avanti, pedalata dopo pedalata. Sono arrivata al traguardo da sola, in un mix di gioia ed incredulità che non scorderò mai.”
A parte questo straordinario successo, come valuti il tuo 2012, considerando anche l’incidente?
“Lo considero buono, anche per una partenza con alcuni piazzamenti soddisfacenti, in particolare nella campagna del Nord (sesta alla Novilon Cup e ottava alla Drentse 8, ndr). Poi, dopo la vittoria agli Assoluti, ho preso parte al Giro d’Italia, dove ho lavorato soprattutto per la squadra. Nelle ultime settimane ho nuovamente conquistato buoni risultati tra il Tour de France e il Giro di Toscana, per cui posso dire di essere soddisfatta in particolare della mia regolarità, non certo facile da mantenere per via dello stop forzato”.
Da qui a fine stagione ti poni qualche altro obiettivo da raggiungere?
“Sto aspettando con una certa trepidazione di sapere se farò parte della selezione per i Mondiali di Valkenburg, ai quali vorrei davvero partecipare; subito dopo ci saranno i campionati nazionali su pista, e lì non posso certo mancare”.
Quando e perché hai iniziato a correre? Quali sono state le tappe più significative della tua carriera?
“Già quando ero piccolissima, salivo sempre in ammiraglia con mio padre, che all’epoca dirigeva una squadra maschile juniores. Respirando quell’aria, ovviamente è venuto il momento di passare ai fatti…da lì ho collezionato sempre buoni risultati. Ricordo con particolare gioia la mia prima maglia tricolore, conquistata tra le Esordienti, la Coppa Rosa vinta da allieva e naturalmente la vittoria in Valsugana a giugno”.
Gareggi su strada e su pista, sei spesso in fuga, hai uno spunto veloce più che buono e sai tenere duro in salita: ciclisticamente come ti definiresti?
“L’hai detto, non so definirmi! Ho sempre avuto un buono spunto veloce e non mi tiro indietro negli sprint di gruppo, ma se vedo una fuga giusta cerco di infilarmi perché, in una volata ristretta, avrei ovviamente più chance. Non mollo la presa neanche nei percorsi misti non troppo duri, anzi, forse sono proprio quelli che prediligo”.
Cosa significa per te poter correre in una squadra importante come la Diadora, a fianco di un “mostro sacro” del nostro ciclismo, cioè Giorgia Bronzini?
“Sì, la Diadora è davvero una buona squadra, vi sono approdata quest’anno proprio insieme a Giorgia. Con lei lavoro fianco a fianco da ormai tre stagioni: si sa, restando accanto ad un campione si può solo imparare”.
Come hai vissuto, proprio accanto a Giorgia, la “primavera calda” per ottenere (giustamente) un migliore trattamento per il ciclismo femminile?
“Purtroppo il ciclismo femminile non riesce ad ottenere l’importanza che meriterebbe di avere: la poca visibilità a livello mediatico impedisce di attrarre nuovi sponsor e quindi nuovi investimenti, per cui tutto il movimento ne risente. Passo dopo passo, stiamo cercando di migliorare la situazione. Quest’anno, per esempio, siamo entrate a far parte dell’ACCPI, ossia il sindacato dei corridori professionisti che ci sta aiutando molto in questa battaglia. La speranza è sempre quella di ottenere la tanto agognata parità, o quantomeno dei diritti che garantiscano un futuro più tranquillo a noi atlete”.
Quando la bicicletta è ferma in garage, cosa ti piace fare?
“Come tutte le donne, amo lo shopping, ascolto tanta musica ed esco con gli amici. Anche il semplice relax a casa con la famiglia, comunque, ha una grande importanza per me”.
foto tratta da womenscyling.net
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