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Gianluca Buonanno e l’impresa di Libia

Creato il 11 marzo 2015 da Redatagli
Gianluca Buonanno e l’impresa di Libia

Cinegiornale Tagli presenta: Gianluca Buonanno e l’impresa di Libia

Parole di giubilo padano hanno accolto l’europarlamentare Buonanno in Libia. «Non sono uno che scappa, non voglio far parte dell’Italietta!», ha proclamato prima di valicare i confini aviti con un gesto che lui stesso ha definito «dannunziano».
Tuttavia, in questa novella impresa patriottica non lo scortano valorosi legionari in armi, come quelli che seguirono il Vate a Fiume, ma soltanto fiero orgoglio padano, ostentato con ardimentoso sprezzo del pericolo.

Gianluca Buonanno e l’impresa di Libia
Eccolo qui, mentre ostenta la bandiera palpitante del suolo natìo a quel governo pusillanime, anzi «cacasotto», che si è trincerato in un’imbelle neutralità e si rifiuta di osare.
Sul torace guerriero sfoggia una divisa autocelebrativa: il nome ereditato dagli antenati è poeticamente spezzato dalla cerniera a mo’ di motto benaugurante, “Buon Anno”. Sotto l’arsura del sole africano non una goccia di sudore stilla dal suo volto impavido e gagliardo. Mirate che cipiglio e come si fa beffe di questo territorio brullo e ostile, tra rovine solitarie e i rottami spettrali di un’automobile abbandonata.
Non cerca paesaggi turriti sotto cui immortalare il fulgore della sua audacia.

Buonanno non vuole encomi, se ne frega se alla sua destra un’iscrizione in arabo reca parole di scherno: «Non buttate i vostri rifiuti qui per favore. Questo non è un bidone dell’immondizia». È una favella sconosciuta alle orecchie di un uomo d’azione, avvezzo a tradurre le parole in fatti.

Gianluca Buonanno e l’impresa di Libia
Per vincere l’irriducibile nemico che scorrazza nelle nostre antiche colonie di Cirenaica e Tripolitania, ha reclamato l’arma finale di tutte le guerre: la bomba atomica. Che si faccia un deserto e lo si chiami pace! Meglio ardire che ordire!
Ammiriamolo in questa foto mentre brandisce virile il ferro in prima persona, sdegnoso dei femminei politicanti che poltriscono a Roma. Di tal tempra è l’uomo padano che cacciò l’invasore germanico Barbarossa!

Già lo ha palesato allo sguardo scettico di questa stampa nazionale, ignuda di dignità e serva di una plutocrazia immonda. A Borgosesia il nostro ricopre operoso l’incarico di sindaco, movendosi senza posa da Bruxelles al Piemonte con l’eccezionale fervore di chi ha il fuoco ardente nel cuore. Agli indiani della città ha recapitato un ultimatum inflessibile: nessuna sovvenzione senza la previa sottoscrizione di una dichiarazione di solidarietà con i nostri marò. La Padania non è terra di libagioni per forestieri!   

Un istinto primordiale è il faro ispiratore delle azioni scipioniche di Buonanno. «Siete la feccia della società» è il grido di battaglia che ancora divampa nella nostra mente, risuonando melodioso come versi declamati al Vittoriale.
Oziosi cialtroni hanno osato irriderlo mentre sul mezzo radiofonico rimembrava l’etimologia del sublime termine “Padania”: “Perché il Grana Padano si chiama così e perché esiste il Gazzettino Padano? Se c’è questa terminologia significa che la Padania esiste”. Oh ciechi, fatevi irradiare dal bagliore della verità che risplende in queste sue parole!

La missione d’oltremare, però, non è ancora conclusa, e lungi dall’essere salvata è la Patria adorata. Che la via del ritorno non tardi dall’essere intrapresa con spirito vittorioso. 
Nel frattempo, in quest’era di ignavia, di mollezza e di passioni moribonde e putrescenti, noi ci fregiamo di questo condottiero dell'italianità e, mai domi, celebreremo sempre il vitalismo risoluto di Gianluca Buonanno. 

Jacopo Di Miceli
@twitTagli


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