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Gianni Palagonia, sbirro antimafia. Invisibile.

Creato il 16 novembre 2012 da Tipitosti @cinziaficco1

Avrebbe potuto continuare a fare il rappresentante di medicinali, guadagnare un sacco di soldi e fare una vita tranquilla. Invece, ha deciso di fare lo sbirro e rompere le scatole a più di un malavitoso. Risultato? E’ stato costretto ad abbandonare la Sicilia, trasferirsi al Nord e a  divorziare.  Si è pure ammalato.

Questa è la storia di Gianni Palagonia, poliziotto antimafia, che ha scritto due libri: Il Silenzio e Nelle Mani di Nessuno - editi da Piemme - e che mi ha concesso questa intervista.

Un tipo parecchio tosto, Gianni, catanese, che, tra l’altro, non ha mai voluto cambiare identità.

Gianni Palagonia, sbirro antimafia. Invisibile.
Signor Palagonia, da dove nasce questa passione, anzi ostinazione, per la divisa, che le ha spezzato buona parte degli affetti più cari e le ha tolto la serenità?

Provengo da una famiglia benestante. Ero il classico figlio di papà firmato dalla testa ai piedi. Come ho scritto nel mio romanzo IL SILENZIO, sin da piccolo mi sentivo attratto dalla divisa e, anche grazie ai valori trasmessi dalla mia famiglia, detestavo tutte le persone che vivevano di malaffare. Certo, potevo fare il rappresentante di medicinali, come mio padre, e vivere da ricco. In effetti, in attesa della convocazione per la scuola di Polizia, collaboravo con mio padre, il quale, mi stava instradando nel suo campo lavorativo, con il desiderio di farmi desistere dal mio intento. Con lui guadagnavo circa un milione e duecentomila lire al mese. Il mio primo stipendio in Polizia fu di circa 400 mila lire. La passione è nata sin da piccolo. Certo, l’aver avuto uno zio poliziotto mi ha aiutato a capire ancora di più quale doveva essere la mia strada.

Da quanto tempo fa il poliziotto e qual è stato il suo primo incarico?

Lavoro da oltre trenta anni. La mia prima destinazione dopo il corso è stato un Commissariato di periferia di Roma. Lì ero addetto al servizio di piantone alla Caserma. E poi, tanti altri incarichi, come il piantonamento ai detenuti ricoverati in ospedale, vigilanza nelle Ambasciate e la pattuglia sulla volante. Dopo nemmeno un anno sono riuscito ad andare alla “narcotici” Squadra Mobile di Roma.

La missione più tosta?

Di missioni ne ho fatte così tante in oltre trenta anni che definire la più tosta in assoluto è un’impresa ardua. Mi sono occupato per molti anni della ricerca di latitanti mafiosi, come delle Nuove Brigate Rosse. Sicuramente quelle più complicate riguardavano la ricerca dei latitanti a Catania, un’indagine politica scaturita a seguito delle stragi di Falcone e Borsellino e poi, lo smantellamento delle Nuove BR, per intenderci quelle che avevano ucciso i professori D’Antona, Biagi e il mio collega Petri.

Da chi ha avuto sempre sostegno?

Nel mio lavoro sono stato aiutato da tanti bravi e preparati colleghi e funzionari, che ho incontrato sulla mia strada.

Da chi le più grandi delusioni?

Sono stato deluso da tanti colleghi e funzionari che ho trovato sulla mia strada.

Torniamo alle Nuove Br. La soddisfazione più grande?

L’aver contribuito in maniera determinante ad intuire che una delle persone oggetto di indagini, per intenderci il probabile terrorista che poteva aver effettuato la telefonata di rivendicazione dell’omicidio Biagi, di fatto non c’entrava nulla. Era un assiduo frequentatore di un noto centro sociale, i suoi amici idem. Aveva quel tipo di precedenti penali che spesso, per molti, sono stati propedeutici alla lotta armata.

Gianni Palagonia, sbirro antimafia. Invisibile.
Tutte le circostanze portavano a lui. Alla fine abbiamo accertato che si trattava incredibilmente di una serie di fortuite coincidenze. Per come stavano le cose era più facile dimostrare che poteva essere colpevole che tentare di dimostrare il contrario. Lo abbiamo seguito per due lunghi mesi 24 ore su 24. Se io ed i miei colleghi avessimo lavorato male, senza passione, senza la scrupolosità che ci contraddistingueva, un innocente sarebbe potuto finire in carcere,  forse ancora oggi in attesa di giudizio. Chissà, magari in una giornata di scontri tra polizia e aderenti all’ala più estremista dei centri sociali, quel giovane sarà uno di quelli che aprirà la testa ad un poliziotto, tirandogli un sampietrino. In quel gesto c’è la sua realizzazione, la sua rabbia, la sua vittoria, ma non saprà mai che, magari, il poliziotto colpito, era uno di quelli che gli aveva cambiato la vita, evitandogli il carcere e di vivere l’odissea mediatica del terrorista.

Ha paura?

Chi non ha paura quando sta sulla strada e non sa se sta procedendo al controllo di una brava persona o di un boss latitante, che non ti dà nemmeno il tempo di tirare fuori la paletta che già ti ha sparato?

Perché la lotta alle nuove Br è stata vinta e la mafia è invincibile? Quanto è interessato lo Stato a combatterla davvero?

La mia idea è che la mafia si può tentare di sconfiggerla solo se si riesce ad impoverirla veramente. Un mafioso senza soldi non è nessuno. Certamente sarà difficilissimo annientarla, finché rimane legata alla politica. Le BR i politici li ammazzavano, ed allora facevano paura. Certo, c’è anche da dire che il numero di persone appartenenti alla criminalità mafiosa é di gran numero superiore a quello delle BR. Ma nel caso delle BR ci fu un’affermazione più forte dello Stato solo dopo l’uccisione di Moro.

Ci sono stati periodi in Italia in cui lo Stato ha avuto in apparenza la meglio sulla mafia. Ma a quale prezzo?

Lo Stato ha avuto supremazia territoriale sulla mafia dopo le stragi siciliane. I mafiosi hanno capito che lo Stato poteva tenere loro in qualche modo testa, ed allora hanno adottato la strategia dell’inabissamento.

Cioè?

Non facendo più parlare di loro, evitando azioni clamorose e prediligendo, alle rapine e alle bombe, azioni meno visibili, magari al nord, dove si sono inseriti nel tessuto economico e sociale e dove hanno investito ed investono i loro capitali. In Italia, se non ci scappa il morto, le cose non si fanno. Ha sempre funzionato così.

Il disegno di legge di stabilità, proposto dal Governo, ha riservato le giuste risorse alla sicurezza? 

Dovrebbe chiederlo ai sindacalisti della Polizia, che scendono in piazza per manifestare.

Quanto i magistrati che si buttano in politica possono contribuire alla lotta alla mafia?

Dipende da chi è il magistrato.

Gianni Palagonia, sbirro antimafia. Invisibile.
Quanti Falcone e Borsellino ci sono ancora in Italia?

Forse tanti ma, tranne qualcuno, non hanno voce in capitolo, se non sui social network.

Cosa mi dice della massoneria?

Non ho modo di darle risposte esatte. Ma la mia percezione è che la massoneria ha sempre comandato.

Ha scoperto l’esistenza di intoccabili, di una “casta” ancora per noi comuni mortali misteriosa? 

Io non l’ho scoperta. Ma tutte le caste che abbiamo non le sembrano già abbastanza? E chissà quant’ altro ancora non si conosce. Aspettiamo la prossima inchiesta. Se te la fanno fare senza che nessuno metta il freno a mano.

Non ha mai cambiato identità, però ha dovuto lasciare la sua terra. Le è pesato tanto? Non ha pensato che con le sue missioni avrebbe messo a rischio la famiglia?

Sì, io non ho mai cambiato identità. All’anagrafe sono iscritto con il mio vero nome e cognome. Visti i motivi di sicurezza che dalla Sicilia mi hanno portato al nord, ho preferito scegliere uno pseudonimo per i miei libri. Un modo per proteggermi e non far tornare alla mente di chi mi può volere ancora male, un cognome che non vorrei far ridondare nella loro testa, nonostante i tanti anni trascorsi dal 1992. Posso dirle che trovarmi da un giorno all’altro dalla calda Sicilia al freddo Nord, ancora oggi non mi dà pace.

Ne è valsa la pena?

Domanda di riserva?

Lo rifarebbe?

Si.

Si sente adeguatamente protetto? Continua ad avere paura?

Ho sempre avuto paura, anche se il tempo tende ad allontanarla. Protetto da chi?

Non pensa di sacrificare ancora i suoi affetti? La sua famiglia?

Infatti, l’ho sacrificata così tanto che alla fine la mia ex moglie si è rotta le scatole di me e della Polizia di Stato. Il risultato è stato un divorzio.

Qual è stata la rinuncia più grande?
I miei figli. Sono stato così tanto al lavoro che me li sono ritrovati grandi.

Quale la delusione ancora oggi più insopportabile?

Non essere stato capito da certi miei superiori quando ho cominciato a parlare della mafia al nord. Mafia e mafiosi li ho trovati e il nord oramai l’hanno monopolizzato. Ma non c’è più sordo di chi non vuol sentire.

Debellare la mafia: è un’utopia?

Sì, troppo radicata nel territorio con complicità istituzionali.

Ha in mente un nuovo libro?

Già finito. E’ ambientato in Albania, dove sono stato in missione per un anno. Spero possa uscire nel 2013.

Come si vede tra dieci anni?

Dimenticato

                                                                                                                            Cinzia Ficco


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