Quando Guglielmo Giannini irruppe sulla scena politica nazionale in quel drammatico 1944, lo fece con tutto la pittoresca esuberanza di cui soltanto una vecchia volpe dell’ ars retorica come lui, consumato commediografo partenopeo, sarebbe stata capace. Ecco allora l’ingresso della parola colorita e dello “splatter” nella dialettica pubblica di un Paese che stava cercando, a poco a poco, di ricucire lo strappo, anche in termini di buongusto, con il linguaggio politico. Avversari e membri del CLN vennero sbeffeggiati, in maniera simpatica, con l’alterazione dei loro nomi e cognomi, in una rocambolesca torsione degli schematismi normativi: Ferruccio Parri divenne “Fessuccio Parmi”, Pietro Nenni “Il bell’ addormentato nel basco”, Palmiro Togliatti “Il cosacco onorario”, i democristiani “i demofradici cristiani”, ecc, in un esercizio di dissacrazione delle nuove icone di un’Italia che si stava liberando dal giogo nazi-fascista. In pubblico storcevano il naso, gli avversari di Giannini, ma in fondo sorridevano a queste acrobazie, tutto sommato divertenti, innocenti e spiritose, dell’estro del “Fondatore” (celebre la storiella del pappagallo, che divertì anche lo ieratico De Gasperi).
Quando Beppe Grillo definisce Enrico Letta “Capitan Findus”, si consegna invece e soltanto al cattivo gusto ed all’equivoco, mortificando, in primis, il suo genio istrionico con un frame disancorato da qualsiasi logica semantica e discorsiva.