Magazine Cultura
Primo step con la nuova lettura condivisa del Grande Fratello Letterario
Premessa, prime frasi del romanzo:
“Solenne passai sul prato serico e raggiunsi il dondolo. Deborah mi osservò e mi trovò ridicolo. Avevo ancora le narici orlate di sangue. Mi preoccupai di assumere una posizione che rompesse quella simmetria di comploranti: aprii le gambe sopra i cuscini. Restituii alla mia faccia un ridere fratesco. Mi strinsi le narici con pollice e indice. Deborah mi ignorò con dedizione, il volto austero”.
‘Ecco,’ mi sono detto ‘un romanzo affetto da barocchismo’, perché il rischio con Giardini di loto è di farsi traviare dal linguaggio, assumendo un atteggiamento di difesa nei suoi confronti, come se Melone desiderasse farci faticare di proposito. Ed è così, non c’è dubbio, vedere anche l’intervista pubblicata oggi, ma c’è ben altro. Come già vi dicevo, ho già letto questo romanzo, Gaffi ha scommesso su un testo non complesso a livello narrativo, è l’intercedere fra le parti amalgamato all’enorme lavoro sui registri e sul linguaggio che mi ha colpito. Non solo.
Il signor Mensi si presenta misteriosamente, non si intende per quale ragione visiti la famiglia. Il secondo capitolo si apre con il rapporto fra Liliana e il marito, tranquillo ma non felice. I primi capitoli scorrono con continui strappi alla dimensione spaziale, ben tuttavia armonici se si considera il punto di vista focalizzato di volta in volta.
“Quante volte mi sono guardata nello specchio e mi sono chiesta: dove sono io? Io dove risiedo? Non sono nei piedi, nelle gambe, nell’inguine, non sono nel petto, non sono nelle mammelle, nel collo, nella bocca, non sono nelle braccia, nelle mani. Forse sono negli occhi, pensai, ma li chiusi e non ero negli occhi, ero nella testa e nuotavo nello spazio cerebrale più piccola di una noce, a uguale distanza dagli incavi degli occhi e la bocca, al centro dei sensi. Poi mi tappai le orecchie e gli occhi e subito mi sembrò di essere in un luogo appena al di sotto della sutura sagittale, tra la fronte e l’occipite, ed ero alata, ed ero costretta, limitata, ridotta dalle ossa. Ma mi ravvidi: ero un corpo senza io. La coscienza è solo una modalità degli elementi materiali. Non serve il fiato di alcun dio”.
Prossimo step fino a pagina 141.
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