Magazine Cultura
Chiusura del GFL e breve riflessione
“Eccolo il loto dei giardini: un fondo di sacco, quindici o venti funghi in tutto, estratti dalla terra fino alla radice, dentro una vallata tra due alture che un tempo erano state colline, in un campo stinto, senza vento. «Crescono solo in questo campo nell’isola, in nessun altro luogo». Le donne carezzavano l’erba fino alle radici degli alberi. Ingrid camminava distante: correva, si fermava e si accovacciava come se pisciasse, poi correva di nuovo irrequieta come una puledra. Erano le cinque quando rientrarono. Posarono sul tavolo i funghi accanto alle bacche. Le ragazze andarono a lavarsi al ruscello. Raffaele si sedette sulla sedia a dondolo, Edvard e Gustav sul divanetto accanto al tavolino. Cominciarono un gioco con i dadi”.
Un ultimo invito alla lettura di “Giardini di loto” di Andrea Melone (ediz. Gaffi), un romanzo che come ho scritto altre volte mi ha coinvolto. Non è facile trovare nella narrativa contemporanea penne così delicate e intense.
L’esperienza del Grande Fratello Letterario chiude i battenti, per i motivi spiegati la scorsa volta. Verranno altre iniziative, ammettere che alcune siano seguite e altre meno credo che sia un gesto di onestà intellettuale. Mi preme molto sottolineare questo perché in un’epoca in cui tutto deve essere per forza figo e di successo, un fallimento è in genere percepito come qualcosa da evitare e di sicuro non da discutere in piazza. Penso invece che proprio dai fallimenti – nulla di nuovo – si possa considerare un lento e deciso affinamento del percorso, nella direzione forse più congeniale. Piace a qualcuno esibire sempre primati e successi e bellezza e conquiste e dati, bontà sua, inequivocabili, a noi di Sul Romanzo, con il nostro piccolo e insignificante blog, piace essere più onesti e condividere con voi lettori le iniziative buone e quelle meno buone, dichiarandolo.
Le adulazioni ottenute da una finta ostentazione di perfezione sono come le impronte lasciate sulla battigia, ineludibilmente passeggere. Si coltiva la temporaneità credendola la madre di soddisfazioni che scorrono una dopo l’altra, magari intense, eppure così caduche. Meglio passi titubanti e integri che una cisterna ricolma di parole di marketing la cui unica voce giunge artefatta, con la conseguenza che così come si conquista il successo in fretta si cadrà poi con altrettanta forza.
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