Gioacchino Rossini
Di Jerzy Waldorff-Preyss (1910-1999), scrittore, pubblicista e critico musicale polacco, ho già tradotto e pubblicato nel mio blog due articoli: La musica consolatrice e Arturo Toscanini. Dal suo libro Zbuntowane uszy (Le orecchie ribelli) ho scelto e aggiungo oggi nella mia versione questo suo interessante, arguto e colorito ritratto del “cigno di Pesaro”, cigno inteso naturalmente come Maestro del Belcanto. Su questa definizione e dato che i cittadini di Lugo (città natale del padre, nella provincia di Ravenna) pretendevano che Rossini fosse lughese, il compositore ironizzava definendosi “Cigno di Pesaro e Cignale di Lugo”.
Eduard Hanslick nel 1867 si trovò a Parigi ed ebbe l’onore non indifferente di essere ricevuto da Rossini, verso mezzogiorno, quando il musicista era ancora nel suo letto. Dunque non durante un ricevimento ufficiale, tra una moltitudine di persone, ma in modo strettamente privato, per parlare senza testimoni. Tale favore non era riservato a molti.
Entrato nella camera Hanslick vide l’anziano compositore che faceva colazione in un letto principesco. Il cocuzzolo della testa di Rossini, calvo come un ginocchio, era coperto da una calda cuffia da notte. Accanto, lungo la parete, c’era un comò sopra il quale, su appositi appoggi, facevano bella mostra una quindicina di parrucche con capelli di diversa lunghezza. Tenendo molto all’aspetto, il compositore dopo qualche giorno cambiava parrucca, per far sembrare che i capelli crescessero in modo naturale. Poi dopo un po’ di tempo diceva agli amici: “Domattina devo chiamare il barbiere!” e indossava la parrucca dai boccoli più corti.
Nella vita era simile ai personaggi da lui stesso creati, e che ancora oggi divertono tanta gente sulle scene operistiche di tutto il mondo, malgrado il trascorrere del tempo.
Gioacchino Rossini nacque a Pesaro il 29 febbraio 1792, anno bisestile, per cui l’anniversario esatto della sua nascita si può festeggiare soltanto ogni quattro anni. Le fonti del talento di un grande figlio si è soliti trovarle nei genitori. Raramente tuttavia accade che l’ereditarietà sia tanto chiara e indubbia, come nel caso del piccolo Gioacchino. Suo padre svolgeva la funzione di trombettiere civico e di…ispettore del mattatoio (ricordiamo questo!). La madre vantava una breve ma luminosa carriera di cantante, nota come prima donna buffa. E così il figlio di questa coppia ereditò interamente da essa il suo talento.
Terminati gli studi musicali, abbastanza irregolari e trascurati, Gioacchino Rossini cominciò a comporre nel 1806, cioè all’età di 14 anni e la sua prima opera fu Demetrio e Polibio. Nel 1812 compose cinque opere e il Tancredi, scritto l’anno seguente, riportò un successo strepitoso. In quegli anni facevano scalpore nel mondo non le bombe e nemmeno i razzi interplanetari. La gente si appassionava in modo particolare per l’arte, gli Italiani – per l’opera. Dopo la prima del Tancredi si diffuse perciò da Venezia in tutta la Penisola Appenninica la lieta novella: “Abbiamo un nuovo grande compositore. La nostra musica ha iniziato una nuova fioritura!”.
Gli Italiani sono però persone dagli impulsi opposti e inaspettati. Quando il 20 febbraio 1816 il Teatro Argentina di Roma mise in scena il capolavoro di Gioacchino Rossini – il Barbiere di Siviglia, il pubblico fischiò l’opera. Perché?…
Ho avuto sotto mano un breve lavoro su Rossini, in cui l’autore affermava che il Barbiere fece fiasco a causa delle persecuzioni della polizia, poiché “il libretto era stato scritto dal poeta rivoluzionario francese Beaumarchais”. Che sciocchezza madornale! Beaumarchais a quel tempo era già morto da 17 anni, e della sua celebre commedia politica era rimasta nel libretto dell’opera, uscito dalla penna di Cesare Sterbini, soltanto la pura trama amorosa.
La causa dell’insuccesso della prima del Barbiere fu un’altra. Gli Italiani sono fedeli ai loro artisti prediletti, e un’opera dal titolo Il barbiere di Siviglia era stata scritta un quarto di secolo prima da Giovanni Paisiello, con la quale questo musicista si era assicurato un plauso imperituro. Per la verità il previdente Rossini aveva ottenuto il consenso di Paisiello a usare la stessa trama del libretto, e inoltre egli inizialmente aveva chiamato l’opera Almaviva, o sia l’inutile precauzione. Ma questo non bastò, i romani fischiarono il Barbiere di Rossini, parteggiando per il Barbiere di Paisiello. Ma dopo aver compiuto questo doveroso atto di giustizia, già il giorno dopo il pubblico accolse il nuovo Barbiere con un fragoroso entusiasmo. Rossini divenne l’idolo del suo paese.
E infatti è una musica davvero deliziosa!… Ma esaminiamo questo fenomeno a mente fredda, senza eccessiva indulgenza per il suo creatore. Rossini quanto più invecchiava, tanto più rivelava la sua pigrizia. Nel caso del Barbiere, essa è visibile a cominciare dall’ouverture.
Nel 1813 il compositore aveva scritto l’opera Aureliano in Palmira. Due anni dopo creò Elisabetta, regina d’Inghilterra, per la quale non volle comporre una nuova ouverture, ma usò quella vecchia dell’Aureliano. Quando poi un anno dopo il musicista iniziò a scrivere il Barbiere, per la terza volta l’ouverture cambiò la sua destinazione e fu data al Barbiere, dove restò per sempre. Ma le prove della pigrizia non terminano qui. Nella stessa partitura della celebre opera si possono trovare non solo brani presi da altre opere sceniche di Rossini, ma perfino citazioni melodiche…dall’oratorio Le stagioni di Haydn! A noi Polacchi fa piacere che per il finale dell’opera il maestro italiano abbia scelto una polonaise. E ai misteri del genio di Rossini dobbiamo aggiungere il fatto che lo strano “miscuglio” del Barbiere di Siviglia è diventato ed è ancora oggi la migliore opera buffa nella storia della musica.
Che significa “opera buffa”? Essa conta 200 anni di esistenza e fu ideata come interludio tra gli atti ampollosi, lunghi e – diciamolo francamente – spesso noiosi delle opere serie del diciottesimo secolo. Affinché il pubblico non si addormentasse, le parti serie erano intervallate con allegre farse musicali, nelle quali le arie e i canti erano uniti a recitativi che acceleravano lo svolgimento dell’azione. Col passare del tempo questi interludi divennero autonomi, e presero il nome di opera buffa, cioè comica. Uno dei primi capolavori di questo genere fu La serva padrona di Pergolesi, ma il più grande in assoluto è il Barbiere di Siviglia di Rossini. Ancora oggi quest’opera incanta con la bellezza della melodia, trascina col suo ritmo vivace, brilla per l’arguzia musicale. E’ come un ottimo vino, le cui bottiglie vengono degustate da successive generazioni con sempre maggior piacere. Bisogna rendere infine a Cesare Sterbini ciò che gli spetta. Il suo libretto, benché contenga soltanto gli elementi più futili della geniale commedia di Beaumarchais, è una farsa perfetta, armoniosa e assai divertente.
Un anno dopo il Barbiere Rossini creò un’altra brillante opera comica, la Cenerentola. Successivamente ebbe applausi o fischi dagli incostanti connazionali per la Gazza ladra, il Califfo di Bagdad, Semiramide e molte altre opere. Il Mosè, Guglielmo Tell e l’oratorio Stabat Mater furono scritti a Parigi. Un patrimonio musicale comprendente più di 30 opere, ma anche molte composizioni di musica sacra, orchestrali, da camera e strumentali.
Lasciò l’Italia per la prima volta nel 1823, stizzito dai capricci del pubblico italiano. Da Parigi insieme con la moglie si recò a Londra, dove lo accolsero come un regnante. Si contendevano i suoi favori i sovrani e gli ambasciatori di tutte le potenze europee, dalla Francia alla Russia. Ebbe la meglio l’ambasciatore francese, proponendo a Rossini la direzione dell’Opera Italiana a Parigi. Prima di assumere questo incarico, il musicista aveva entusiasmato l’Inghilterra non solo come compositore e direttore d’orchestra, ma anche come cantante, esibendosi in duetti con la celebre Angelica Catalani. Quando sei mesi dopo salì sulla nave e lasciò la Gran Bretagna, aveva nel portafoglio l’enorme somma di settemila sterline.
Abbastanza presto rinunciò alla direzione dell’Opera Italiana a Parigi, ma allora il re gli offrì una sinecura di ventimila franchi l’anno, con il titolo di primo compositore di Sua Maestà e di Ispettore Generale del Canto nel Regno. Purché non lasciasse la Francia.
Ma nel 1830 scoppiò la rivoluzione di luglio, infausta per gli artisti, come tutte le scosse improvvise di questo tipo. Essa indusse Gioacchino Rossini a tornare in Italia. Dopo i Borboni sul trono di Francia era salito il re-mercante Luigi Filippo, indifferente all’arte. Inoltre aveva cominciato a diffondersi il Romanticismo e la fama di Rossini fu offuscata dalla nuova stella nel firmamento dell’opera – Jakob Meyerbeer. Amareggiato dal successo degli Ugonotti che, a suo parere, erano soltanto un chiassoso e volgare esibizionismo dei sentimenti nell’arte, Rossini lasciò Parigi e si stabilì a Bologna. Al tempo stesso decise di tacere come compositore, mantenendo il suo proposito fino alla morte. Da allora compose di rado cose di scarso rilievo, rifiutandosi di pubblicarle. Difficile oggi dire quanto in quella decisione pesassero le profonde trasformazioni nella musica e la dolorosa rassegnazione, quanto l’esaurimento della vena artistica e quanto la pigrizia.
A Parigi tuttavia Rossini tornò 20 anni dopo, esattamente nel 1855. Era ormai innocuo per i concorrenti, perciò tutti accettarono di colmarlo di onori. Che reciti pure la parte di monumento vivente del passato!…
La stupenda villa dei Rossini a Passy presso Parigi diventò una delle curiosità e dei vanti parigini. Vi si recavano in pellegrinaggio tutti i musicisti stranieri, come a Roma i fedeli si recano in Vaticano. Nel vecchio Rossini emerse (ricordate suo padre, ispettore del mattatoio?) una nuova passione – quella culinaria. Offrendo banchetti agli amici, egli stesso creava nuove pietanze, con particolare predilezione per quelle a base di carne. Ancora oggi nei menu dei migliori ristoranti si può trovare il manzo sotto il nome di Tournedos à la Rossini.
Dovevano essere piacevoli questi ricevimenti, durante i quali l’anfitrione inteneriva gli invitati con la sua ospitalità, e la padrona di casa…li gelava con la sua tirchieria. Il malizioso Hanslick ci ha lasciato questa descrizione della signora Rossini: “Dicono che da giovane fosse bella. Quando l’ho conosciuta, dal suo viso sporgeva un enorme naso, come una torre scampata alle rovine di un castello. Il resto era coperto di brillanti”.
Benevolo con tutti e cordiale, Rossini soltanto in fatto di musica conservò sempre la proverbiale severità di giudizio. A un ricevimento una celebre cantante eseguì un’aria del Barbiere, per la quale raccolse nel grembo del suo abito molte monete d’oro, e perfino anelli e braccialetti preziosi quale dono degli ascoltatori. Ma a Rossini non era piaciuta, perciò quando si avvicinò a lui e gli disse: “Vede Maestro, quanto ho ricevuto per una sola sua aria?”, il vecchio replicò: “Sono molto felice. Adesso lei ha abbastanza per pagarsi le lezioni di canto”.
Il 13 novembre 1868 Gioacchino Rossini morì, dopo una dolorosa agonia. Fu seppellito con grande pompa. Presso il suo feretro chinò la testa tutta l’Europa della Cultura. Anche noi dobbiamo sospirare su quella morte dell’illustre artista, e poi prestare orecchio alla sua musica eternamente viva.
Qui finisce il testo di Waldorff. A proposito di arte culinaria, la cui musa, lo confesso, è alquanto benigna anche con me, voglio terminare questo mio post con un simpatico aneddoto. Durante la visita di Richard Wagner nella villa di Rossini a Passy, è stato narrato che quest’ultimo si alzasse durante la conversazione quattro o cinque volte, per poi tornare a sedersi dopo pochi minuti. Alla richiesta di spiegazioni da parte di Wagner, Rossini rispose: “Mi perdoni, ma ho sul fuoco una lombata di capriolo. Deve essere annaffiata di continuo”.
(C) by Paolo Statuti