Nei primi anni del dopoguerra, nella nostra periferia di Genova l’infanzia era proprio un periodo felice!
Come tutte le infanzie, beninteso, però in quei tempi di rinascita morale prima ancora che economica, nelle case, nelle scuole, nei rapporti tra le persone regnava un ottimismo che rendeva sopportabile una situazione per certi versi ancora precaria, per privazioni causate dalla guerra.
Nel nostro quartiere si erano sviluppate fabbriche e imprese artigiane, nelle nostre famiglie regnava un forte senso di partecipazione, anche politica, alla nuova vita sociale.
La sensazione che ognuno sarebbe stato artefice del proprio progetto di cambiamento nella nuova società faceva assegnare il giusto valore alle cose, sollecitandone il risparmio in vista di un possibile futuro utilizzo; ciò orientava anche il comportamento dei bambini nel rapporto con il gioco e con i (pochi) giocattoli.
L’utilizzo a fini ludici di materiali di scarto raggiungeva livelli straordinari: noi sapevamo trarre motivo di gioco o di passatempo da ogni oggetto che ci capitasse tra le mani.
L’incisione di tacche sui bordi trasformava i rocchetti di legno del filo da cucito in ruote di carri armati, pronte per essere azionate da un meccanismo ad elastico.
Una scheggia di mattone veniva limata sui bordi, poi scavata al centro con un vetro appuntito fino a diventare un anello.
Con gli elastici più robusti costruivamo le fionde, con le stecche di ombrello gli archi, con la terra impastata elaborate piste, con tanto di sovrappassi e gallerie, per le corse con le biglie.Senza una TV che ci tenesse inchiodati, come è successo alle generazioni seguenti, non ci mancava il tempo per tali dispendiose attività ed era divertente impiegarlo così, nel solito gruppo affiatato.
Per le corse si usavano anche piste disegnate col gesso sull’asfalto: in questo caso i “corridori” erano i tappi delle bottigliette, spinti con uno schiocco delle dita (bicellata, in dialetto) e resi più pesanti e maneggevoli con lo stucco.
Gli stessi tappi servivano anche per fare le squadre di calcio di un gioco anticipatore del Subbuteo.
Chi frequentava i boy-scout (“lupetti”, i più piccoli) imparava ad accendere un fuoco, a costruire archi e frecce, a utilizzare rami ed altri oggetti e le sue conoscenze diventavano patrimonio comune.
Noi bambini sapevamo maneggiare con buona sicurezza i più disparati attrezzi: la manualità era il “pane quotidiano” delle famiglie, nelle quali i papà operai sapevano riparare tutto, dagli impianti domestici alle nostre scarpe…
I giochi che ho ricordato, così come altri dei quali parlerò nei prossimi post, erano praticati in prevalenza dai maschietti del quartiere, che però non ne disdegnavano altri considerati “femminili” (come il pàmpano, il salto della corda, le “belle statuine”, ecc.), così come le bambine giocavano spesso con le biglie, le figurine, ecc.
La partecipazione a questi giochi era spesso “mista”, mentre rimanevano rigorosamente “di genere” i giochi con le bambole (e derivati) per le femmine e le battaglie e gli esplosivi per i maschi.