Parliamo di Dollaro Statunitense: le banconote moderne vengono stampate dalla “Federal Reserve” (FED) fin dal 1929, le banconote superiori a 100$ non sono più stampate dal 1946.
Il nome deriva dal “dollaro spagnolo” (che deriva dal termine tallero) una moneta d’argento molto diffusa durante la Guerra di Indipendenza americana, ma viene acquisito come unità monetaria degli Stati Uniti d’America il 6 luglio 1785 e, nota storica di pregio, quella fu la prima volta che una nazione adottava un sistema decimale per la valuta.
Dal 1792 al 1873 il dollaro restò ancorato al valore di due metalli nobili: oro e argento, in rapporto di 15 a 1, dando nome al sistema chiamato “bimetallismo”.
Tra il 1873 ed il 1900, l’argento perse parte della propria dignità quale unità di misura e venne adottato il Gold Standard, il dollaro restò ancorato al corso dell’argento e dell’oro fino al 1971, quando venne svincolato definitivamente anche dall’oro.
Nel luglio del 1944, venne così creato il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo (poi Banca Mondiale) e, durante la seconda guerra mondiale, gli USA accumularono una consistente riserva di oro (ancora conservata a Fort Knox), richiesto in pagamento degli aiuti del Piano Marshall.
Nel 1933, Roosevelt avviò il New Deal, un programma di spesa pubblica in disavanzo sostenuto dalla teoria Keynesiana e finanziato quasi interamente con debiti dello Stato verso banche private.
Il debito pubblico USA vede il suo esordio proprio in quegli anni, incrementato anche dal ricorso al debito approntato dalle imprese ed dai privati cittadini, in crescita significativa dopo gli anni ’70. Alla fine di febbraio di quest’anno, il Tesoro USA ha pubblicato i dati del debito pubblico degli Stati Uniti, segnando l’ennesimo massimo storico, questa volta a quota 14.194,76 Miliardi di $. Si tratta del 182º record dell’era Obama, che in soli 769 giorni di governo ha fatto aumentare il debito pubblico USA di ben 3.567,89 miliardi, equivalente al 72,83% dei 4.899,10 miliardi lasciati in eredità dagli otto anni di governo di George W. Bush. Obama, anche per il prossimo esercizio, ha presentato un bilancio che presuppone un deficit superiore ai mille miliardi di dollari, in discesa rispetto agli ultimi anni, ma sempre mastodontica entità, considerato che nel suo 7% del PIL.
E il proseguimento di questo andamento pone il dollaro a rischio svalutazione.
Con gli accordi di Bretton Woods (1944), venne fissato il prezzo dell’oro a $35 per oncia.
Oggi l’oro veleggia a $1500 per oncia ed il dollaro e la sua nazione vivono il peggior momento della loro storia.
La Federal Reserve, sommersa da un debito pubblico ormai fuori controllo, per cercare di generare e mantenere la crescita, sta immettendo sui mercati dollari “freschi di stampa” e “a pioggia” con le sue manovre chiamate QE1 e QE2 (quantitative easing). La situazione è talmente pesante e pericolosa che PIMCO (Pacific Investment Management) l’ente che gestisce il più importante fondo obbligazionario americano ha avviato un’operazione impopolare e verosimilmente terrificante: la vendita allo scoperto dei titoli di stato americani.
Il fondo, operativo per 236 miliardi di dollari, ha ridotto progressivamente i bond sovrani USA e gli assets ad essi collegati mettendosi in negativo al 3%, adottando la tecnica della vendita allo scoperto (short selling), una speculazione che consente di trarre utile dal ribasso dei “corsi”. In pratica, una forte scommessa sulla perdita di valore dei titoli e sul deterioramento dei conti statali.
Un mese fa, PIMCO ha venduto titoli del Tesoro USA per 28 miliardi di dollari e, successivamente, 7 miliardi di dollari allo scoperto con la speranza/aspettativa di riacquistarli a prezzi inferiori a quelli di vendita. Ciò, a causa della smisurata crescita del deficit statale americano che ha sfondato oramai 1 trilione di dollari, assumendo proporzioni difficili, per non dire impossibili, da gestire anche per il governo più stabile del mondo.
Dal 1970 ad oggi, sono passati solo 40 anni e la più grande economia del mondo vive la sua crisi peggiore di sempre, specialmente in un contesto di assenza di prospettive di risoluzione e miglioramento della situazione, se non ipotizzare una svalutazione della sua divisa, o financo la sostituzione con un “nuovo dollaro”, basato su rapporti del 30/40% più bassi dell’attuale.
Tale scenario naturalmente ove la Fed non riesca ad estrarre un altro “coniglio dal cilindro”, così da protrarre questa situazione verso la ricerca di ulteriori soluzioni.
L’effetto del QE2 ha lo scopo di fare migliorare le condizioni economiche degli Stati Uniti e nella prossima estate – dopo che sarà conclusa questa immissione di dollari nel sistema – dovrebbe mostrare al mondo i propri effetti. Se assisteremo ad un rallentamento delle PMI e della ripresa occupazionale, allora, dovremo cercare di capire quali conseguenze potranno derivarne.
L’America dopo la seconda guerra mondiale, aveva creato un sistema globale basato sulla capacità di generare sempre più ricchezza reale; dal 1950 al 1970, le industrie produttive americane erano il motore della creazione di ricchezza, le riserve gonfiavano i bilanci statali ed i conti correnti degli americani, ma nel 1970 il debito e la crescita delle attività finanziarie hanno parzialmente “scalzato” la sana economia produttiva. Le grandi banche hanno sostituito nel mirino degli investitori le grandi industrie e la crescita della “ricchezza virtuale” ha visto il suo epilogo nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers ed il conseguente/contestuale fallimento delle grandi aziende industriali americane – che hanno fatto la storia americana (i.e. le automobilistiche Ford, General Motors e Chrysler). Il passaggio dalla produzione di beni alla produzione di “architetture finanziarie”: derivati, suprime, cdo, cartolarizzazioni, carte di credito,… etc. ha segnato insieme l’epilogo della storia finanziaria moderna americana, e prosciugato la sua ricchezza e ciò sarà conseguenza della perdita di leadership tra le potenze economiche mondiali, relegando l’America a mera potenza militare, e costituendo la nemesi di pericolose strategie.
Ora, l’America vive tre grandi crisi: Bilancio Statale (il debito pubblico è al 10,8% del PIL ed è il più alto debito accumulato dal 1945 ed è il 1° nel disavanzo pubblico mondiale.), T-Bonds e Dollaro, un mix esplosivo che mette a rischio di “default” il sistema USA e, di conseguenza, anche il resto del mondo rischia ripercussioni imprevedibili: che fine faranno i risparmi degli Stati Arabi e Orientali (Cina e India in testa) in titoli USA e banconote “Verdi”? Come si adegueranno i consumi mondiali? Quali aziende perderanno produttività? Come dovremo allocare i nostri risparmi? Come verranno gestiti i grandi debiti degli stati mediterranei europei? In che modo, ed in che misura, potrà intervenire il Fondo Monetario per tamponare le emergenze? E dove recuperare i fabbisogni monetari necessari? Sì, c’è molto da fare per restare a galla, dovremo essere un tappo di sughero piuttosto che una palla di piombo, per evitare di essere trascinati nell’abisso.
Probabilmente, e ragionando per assurdo, parlando di grandi numeri e di grandi debiti che nessuno può sostenere, “azzerare e ripartire” sarà La Via più semplice!!
Di fronte ad un evento di queste proporzioni, la crisi del 2008 risulterebbe “l’anticamera di un castello”.
In queste condizioni, ora, possiamo capire di conseguenza il rialzo dell’oro ($1500/oncia) e dei metalli preziosi, delle materie prime, dei beni reali. La selezione degli investimenti deve indirizzarsi in maniera decisa verso quei paesi e dovrebbero essere selezionate azioni che, se mai si verificherà, possano sostenere uno “scenario dirompente”.
Nei prossimi tempi, sarà meglio perdere occasioni di guadagno che perdere il capitale e l’investimento razionale dovrà tendere alla tutela dei risparmi accumulati. “In giro” ci sono troppi dollari, troppi titoli di stato e troppi debiti pubblici, dall’altra parte, in positivo, tanti risparmi e tante aziende che vanno bene e generano utili.
Se una parte del mondo ha molti problemi da affrontare e risolvere, un’altra parte vive di produzione e genera ricchezza reale, come negli anni del boom industriale in America, in Europa e in Italia: sull’isola tropicale cinese di Hainan il 13 aprile scorso si è tenuto il 3° vertice dei Paesi Bric (Brasile, Russia, India, Cina), ai quali è stato recentemente aggiunto il Sud Africa, diventando così BRICS. Sono passati solo tre anni dal primo vertice tenuto a Ekaterinburg, regione russa sul lago asiatico negli Urali (il secondo vertice si tenne a Brasilia). Aver inserito il Sud Africa nei Brics duplica, di fatto, gli accordi dei paesi IBSA (India, Brasile, Sud Africa). Da quel vertice, emerse un documento che evidenziava “essere in corso una transizione, con cambiamenti economici e politici, che si approfondiranno con l’attuale crisi del capitalismo, transizione che implicherà alterazioni nei rapporti di forza a livello globale”. Insieme, i paesi BRIC e IBSA rappresentano una popolazione pari quasi alla metà dell’umanità, più di un quarto del territorio e più del 15% del PIL mondiale. Nel corso del Convegno di Hainan, si è deciso di accelerare il processo che consentirà ai Paesi Brics di utilizzare le proprie valute per i loro commerci, sostituendo il dollaro e questo è un segno ulteriore del fatto che il mondo sta già cercando alternative alla divisa Usa.
Anche il Fondo Monetario Internazionale, proprio oggi, ha dichiarato che nel 2016 la Cina supererà l’economia statunitense, diventando la prima potenza mondiale e chiunque sarà il prossimo presidente americano, sarà l’ultimo a guidare la maggiore potenza economica mondiale.
Quando il sistema economico, finanziario e monetario globale vivrà “l’Alba del giorno del cambiamento?”
Milano, 26 aprile 2011
(Giorgio Rota, laureato in economia e sociologia, master Bocconi; lavora dal 1977 al 1998 presso primarie banche italiane, dal 1998 è libero professionista, consulente specialista in finanza, economia e mercati. Attualmente lavora come “advisor client”presso una primaria banca internazionale.)
cgrota@gmail.com