Negli ultimi tempi si è riusciti, finalmente, a portare all'attenzione dell’opinione pubblica un tema delicato con innumerevoli risvolti di ordine politico, socio-sanitario, legale: il gioco d’azzardo. È esperienza comune assistere alla nascita e alla proliferazione nelle nostre città di sale-slot o alla comparsa delle new-slot in luoghi che avrebbero tutt’altra funzione, come bar e centri sociali, che perdono così la loro veste di centri di aggregazione per diventare tutt’altro.
Il discorso è complicato, così come lo è quello riguardo alla regolamentazione di alcol e altre sostanze d’abuso; si rischia infatti di affrontare tali questioni con spirito proibizionista (inutile, inefficace e, per quanto riguarda chi scrive, politicamente irricevibile) o, viceversa, ignorare il problema all’insegna di un “laissez-fare” che lascia alla libera responsabilità dell’individuo la gestione dei propri vizi. Ovviamente quest’ultimo approccio potrebbe essere filosoficamente accattivante se non fosse che, in materia, il “libero arbitrio” risulta essere più che altro un miraggio, venendo gravemente compromesso dall’insorgere della dipendenza, che ha molto più a che fare con la psichiatria che con le John Stuart Mill e Locke.
Dunque sarebbe auspicabile che lo Stato regolamenti adeguatamente il campo, così come ha cercato di fare (con risultati ovviamente perfettibili e controversi) per esempio con l’alcol, per predisporre gli strumenti adeguati affinché i singoli cittadini ed il tessuto sociale possano gestire il fenomeno quando questi diventa patologico e per la protezione delle fasce deboli della popolazione (minorenni, anziani, pazienti psichiatrici, giocatori patologici).
A riprova del fatto che si tratta di un fenomeno enorme, che sarebbe assurdo non affrontare con la serietà che merita, analizziamo i dati per farci un’idea delle sue dimensioni: in Italia il gioco muove soldi pari al 4% del PIL nazionale, rappresenta il 12% della spesa delle famiglie italiane; il fatturato del settore nel 2011 è stato di 80 miliardi di euro (+30% sull’anno precedente e +400% rispetto al 2003!), con entrate erariali comprese tra gli 8 e i 10 miliardi. Questo vuol dire che in media ogni italiano, neonati compresi, ha sborsato in un anno 1300 euro per tentare la fortuna.
Con questi numeri l’Italia occupa il primo posto in Europa e il terzo posto al mondo (!) tra i Paesi che giocano di più (dati ufficiali AAMS, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, Dossier Azzardopoli di Libera e Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo).
Un primo tentativo di affrontare il problema, almeno da un punto di vista socio-sanitario, è stato fatto dal governo Monti, nell’ambito del decreto legge 158/2012 (il così detto “decreto Balduzzi”), il quale ha inserito (art. 5 comma1) il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) (1) nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), senza tuttavia dare alcuna indicazione sulle fonti di finanziamento delle attività di prevenzione e cura. In altre parole, “l’inserimento della ludopatia nei LEA rischia di fatto di restare inevasa, se non negli aspetti formali sicuramente nella sostanza” (2) .
Sarà una proposta facile e banale ma è d’obbligo far notare come tali risorse, in tempi di tagli alla sanità, potrebbero arrivare da un aumento della tassazione sul gioco che è rimasta invariata mentre, come abbiamo visto prima, il giro d’affari è vertiginosamente aumentato.
Ci sono altri punti parzialmente positivi nel decreto Balduzzi: l’obbligo di esposizione di materiale informativo delle ASL e formule di avvertimento sul rischio di dipendenza, la limitazione della pubblicità negli ambiti dedicati ai minori e il rafforzamento della protezione dei minori, in particolare con il divieto per questi non solo di giocare ma addirittura di accedere nelle sale “prevalentemente o totalmente dedicate al gioco”.
La valutazione di questi ultimi due punti ci porta, al vero nodo principale: la diffusione capillare dei giochi. Come sottolinea con forza l’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio (ALEA), “la 'polverizzazione' del gioco d’azzardo determina una situazione tale per cui la contiguità con esso può essere raggiunta dal minore all’interno delle migliaia di bar, edicole e tabaccherie che ospitano in modo promiscuo apparecchi newslot e simili”.
Tutto ciò rende estremamente arduo, se non vano e puramente di facciata, ogni tentativo di controllo. È quindi chiaro quanto sia necessario che “il legislatore, piuttosto che focalizzarsi su aspetti particolari e specifici, appronti un articolato completo e di ampio respiro”(3) , avente alla base un ripensamento complessivo e radicale del modello distributivo dei giochi, per esempio limitandolo a casinò o sale dedicate in cui questi divieti possano essere fatti rispettare davvero.
Insomma, in definitiva, “il nodo fondamentale relativo all’impatto sociale dell’azzardo sulla comunità locale non è tanto la distanza da punti sensibili della città (uno solo degli elementi da considerare), quanto piuttosto il modello complessivo di distribuzione dell’azzardo, modello che andrebbe progressivamente ridefinito nella direzione di una riduzione dell’offerta e con il ritorno ad un modello non così capillarmente polverizzato”. (4)
Questa è anche una tematica ricca di conflitti d’interesse, di diverse dimensioni e gravità. Se, infatti, sembrano tutto sommato minori quelli segnalati dall'ALEA che riguardano la costituzione di un osservatorio specifico di esperti ma non indipendente bensì presso l’AAMS (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) il quale però ha il suo compito primario nell'acquisizione dei proventi fiscali e l’attribuzione agli stessi Monopoli di Stato della funzione di controllo e contestazione degli illeciti piuttosto che ad enti terzi, probabilmente non si può dire lo stesso delle grandi società di giochi che finanziano (legalmente ovviamente, sulle opportunità politiche a voi le valutazioni) le fondazioni di politici dei diversi schieramenti.
Non riguarda assolutamente passaggi di soldi ma è tutta politica e di contenuto la contestazione che Matteo Iori, presidente del Conagga (Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d'Azzardo) rivolge al governo Letta, il quale pochi giorni fa (22 giugno) ha deciso di attribuire le deleghe ai giochi al sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti (Pdl), il quale ha già tenuto tale delega nell'ultimo governo Berlusconi ed ha sempre mostrato soddisfazione per l’attuale stato delle cose, affermando a metà marzo 2013: “E’ un settore di tutela nei confronti dei cittadini e dei consumatori che possono, nella loro libera facoltà e scelta, decidere di avere un intrattenimento attraverso il gioco lecito".
Di massima rilevanza anche gli intrecci tra gioco d’azzardo e mafie. Libera, infatti, ha da tempo messo in guardia sugli interessi che hanno le cosche, su tutto il territorio nazionale, ad investire e riciclare soldi attraverso il gioco legale. “La regolazione del gioco in Italia è talmente contraddittoria che la criminalità organizzata non si preoccupa neppure di imbastire un sistema di gioco d'azzardo illegale: le basta infiltrarsi nei circuiti legali. Sono stimati in 2 miliardi e mezzo gli introiti della "mafia da gioco" nel solo 2009. Basta guardare al numero di Procure impegnate su questo tema nell'ultimo anno, ben 12, in ogni parte d'Italia”.
Dati 2010: sono state 6.295 le violazioni riscontrate dalla Guardia di finanza: oltre 8 mila le denunce, 3.746 le macchine sequestrate (312 al mese) e 1.918 i punti di raccolta di scommesse non autorizzate scoperti (+165% rispetto al 2009). Si capisce quindi quanto una nuova regolamentazione del gioco significhi anche in termini di contrasto alla criminalità organizzata.
Quello di cui abbiamo bisogno, oltre alla sensibilizzazione sociale e culturale da parte delle associazioni (da segnalare, tra gli altri, il Manifesto #noslot dell’associazione Vita), è una battaglia il più possibile trasversale che veda unite le forze politiche.
Da questo punto di vista chiudo citando due iniziative positive.
Il “Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo”, sottoscritto da più di 50 Comuni italiani che, tra le altre cose, chiede una legge nazionale fondata sulla riduzione dell’offerta e soprattutto che doti i sindaci di ciò di cui ora sono sprovvisti: potere di ordinanza su orari d’apertura, distanze da luoghi sensibili e di parere preventivo vincolante su nuove installazioni di gioco d’azzardo. Insomma trasferire potere decisionale dallo Stato al primo cittadino, che conosce da vicino la realtà ed è in grado di intervenire o meno a tutela.
Infine, la proposta di legge n.574 presentata il 27 marzo 2013 dall'onorevole Lorenzo Basso (Pd), attualmente assegnata alle Commissioni riunite VI Finanze e X Attività Produttive, che recepisce le istanze dei sindaci, opera una stretta sulla pubblicità (anche web) e prevede l’istituzione di un fondo per la prevenzione/cura della ludopatia e di contrasto all'usura con una parte dei proventi del comparto giochi.
@BaldiUmbro
Note:
- Il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico), comunemente chiamato “ludopatia”, è una seria patologia psichiatrica classificata nel DSM IV (la bibbia internazionale della psichiatria, per intenderci) tra i “disturbi del controllo degli impulsi” e che verrà riclassificata nel DSM V nella categoria delle cosiddette “dipendenze comportamentali”, in forte attinenza con la tossicodipendenza.
- “Dichiarazione congiunta di ALEA e di AND a commento del testo coordinato del decreto legge 158/2012 convertito con legge 189/2012, recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”
- Ibidem
-
Ibidem