Da Pisa io volevo raggiungere Volterra. Avrete già ricevuto una mia postcard da Volterra, per cui non posso sperare di indurvi in una condizione di artificiosa suspense.
Posso tuttavia assicurarvi che andare a Volterra non è facile per chi non abbia macchina sua propria. Domenica doveva essere il giorno dell’involterranamento.
Il dì innanzi, a Pisa, recatomi a verificare gli orari de’ treni e de’ autobusse.
Mi annotai diligentemente le partenze dei pulman, per quel che credevo, ma in realtà trascrissi l’ora degli arrivi.
Aggiungasi che quella mattina pioveva.
Aggiungasi che nel mio inefficiente ostello lucchese (Ilaria) venni svegliato in ritardo.
Raggiungere Volterra non aisé: a nuoto non ci si può andare, per carenza di riviere, il treno si arresta ai piedi del monte che si incorona della irta civitas etrusca, onde fa d’uopo che al treno tenga dietro un autobus locale. Rari gli autobus che da Pisa menano a Volterra, perché pare che lassù ci vadano solo i piazzisti di dentifrici, missionari mormoni, e artigiani ansiosi di inspecialirsi nella lavorazione dell’alabastro.
Arrivai a Pisa (da Lucca) con l’idea di trovare verso le nove un autobus per Volterra: l’autobus c’era, ma arrivava da Volterra, mica ci andava. Per cui, treno, Sétadir una littorina (una carrozza unica) che alle due sculetta da Pisa, ferma a tutti i pali che incontra, è praticamente impossibile strapparla dai cessi in cui si imbatte, e alle quattro e mezzo arriva a Saline di Volterra: luogo aspro, affollato di meridionali con palesi insegne di lutto recente. Da Saline un autobus, mena a Volterra.
A Volterra si mangia male: posso segnalarvi la trattoria le Grotte come la pessima tra quante ne conobbi nella mia esistenza. La loro idea di una bistecca è come segue: un bue alcolizzato viene passato con ferro da stiro; vien spinto davanti alla bocca del perplesso cliente; costui si affida al locale psichiatra, e il bue, appena rosicato, va in chiesa a pregare Santa Rita, la santa degli impossibili. Lo stesso bue viene servito parecchie sere, per cui alla fine, comincia a pronunciare la “c” come un “h” aspirata. Nei casi migliori (Fanfani, tecnici dell’Eni) il bue viene cosparso di origano; talora è rincalcato di margarina.
A Volterra c’è una decorosa piazza dei priori. In parte falsa in parte dell’epoca; la parte dell’epoca è la birra che ti servono localmente. C’è una pinacoteca, con custode che sembra un senatore che s’è ritirato in campagna per completare il commento a Filone Giuda per cui non ho osato dargli la mancia, finchè ho capito che nel borgo etrusco anche i bidelli hanno scarpe, cravatte, mutande con effetti prospettici.
Volterra – Museo Etrusco
A Volterra c’è il museo etrusco con cose estremamente interessanti: tra cui gli sposi che vi ho inviato, e che è una cosetta piccola, ma, credo, semplicemente il capolavoro della scultura etrusca. Ci sono anche Le Balze, cioè le erosioni periferiche, in cui sta sprofondando poco a poco il residuo patrimonio etrusco di Volterra.
Volterra – Museo Etrusco
Ahimé: da Volterra mi ha strappato la mano incensosa, prelatizia, della bidonville della cristianità. Ora sono a Roma, borgo tardoetrusco, sito alla periferia di Volterra. Più a Sud, in direzione di Albalonga e di Velletri. Vi bascia le mani inanellate il sioscrofa.
( Giorgio Manganelli, lettera del 1961 dello scrittore alla famiglia, pubblicata, con il titolo “Tanti saluti da Sioscrofa”, dal quotidiano “L’Unità” il 18 ottobre 1993 )
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