Uno degli artisti più enigmatici dell’intera storia dell’arte, Giorgio da Castelfranco, soprannominato Giorgione per l’alta statura e la spiccata personalità, in poco più di dieci anni di attività rivoluzionò la pittura, portando la scuola veneziana alla maturità, fondata sulla specificità coloristica, in contrapposizione al disegno fiorentino. Le notizie sulle sue vicende biografiche sono scarse: oltre all’onnipresente Vasari, che ne sottolineò l’ascendenza leonardesca, si devono al veneto Marcantonio Michiel, contemporaneo di Giorgione, autore di un Notizie dei pittori; inoltre, ci sono pervenuti documenti riferibili a commissioni giorgionesche, limitatamente al periodo tra il 1505 e il 1510, così come grazie a una lettera di risposta a una commissione inesaudita di Isabella D’Este, si sa che la sua morte avvenne per peste nell’autunno del 1510. Nato nel territorio di Castelfranco Veneto, nella Marca Trevigiana, tra il 1477 e il 1478, Giorgione si formò presumibilmente alla scuola di qualche onesto maestro locale, per poi esercitare la sua arte negli affreschi delle case dei notabili della zona. Unica testimonianza che resta di questa attività giovanile è il fregio affrescato in monocromo, raffigurante strumenti delle arti liberali, per la Casa Pellizzari (cosiddetta Casa Giorgione) a Castelfranco. Ancor prima di giungere a Venezia per perfezionarsi, l’artista trevigiano ebbe modo di creare il suo primo capolavoro, la Pala di Castelfranco per il Duomo della cittadina, commissionato dal capitano Tuzio Costanzo per la cappella di famiglia. In questo lavoro, Giorgione mostrò la padronanza raggiunta nell’impostazione piramidale e nella resa coloristica di derivazione belliniana, con la Madonna col Bambino in trono al vertice e un Santo Guerriero (Nicasio, Giorgio o Liberale) e San Francesco alla base, nonché la cura del particolare nel paesaggio sullo sfondo.
Trasferitosi a Venezia dopo questa prima affermazione, entrò in contatto con la bottega di Vincenzo Catena, della cerchia di Giovanni Bellini, e fu interessato dagli influssi della pittura lombarda, emiliana e nordica, ma soprattutto dallo sfumato leonardesco, conosciuto attraverso l’opera di importanti discepoli del maestro di Vinci attivi in laguna. Non aprì mai una vera bottega autonoma, contrariamente a quanto farebbe pensare l’affermazione di Vasari che definì Tiziano e Sebastiano del Piombo, entrambi di qualche anno più giovani di Giorgione, suoi “creati” (allievi). In realtà, coi due maestri emergenti collaborò a lungo, circostanza questa che, congiuntamente alla scarsità di dati biografici e all’esiguità di opere autografate e datate, ha reso estremamente complicate le attribuzioni e la cronologia delle stesse. Con certezza, gli si attribuiscono poco più di una decina di lavori, perlopiù commissioni private. Oltre alla Pala di Castelfranco, gli vengono pressoché unanimemente riconosciute: La Sacra Famiglia Benson, Le tre età dell’uomo, L’adorazione dei pastori Allendale, le due tele gemelle della Prova del fuoco di Mosè e del Giudizio di Salomone, il Ritratto Giustiniani, Giuditta e Oloferne, Tre filosofi (in collaborazione con Sebastiano del Piombo), Madonna che legge, Tempesta, Laura (firmata e datata al 1506), La vecchia, Venere dormiente (ultimata da Tiziano), Ritratto d’uomo Terris, oltre al frammento con nudo di donna degli affreschi perduti del Fondaco dei tedeschi, una delle rare commissioni pubbliche, eseguita tra il 1507 e il 1508 in coppia col cadorino. Sempre con Tiziano, si contende l’attribuzione, tra gli altri, di due capolavori assoluti quali il Cristo portacroce (detto anche C. e il manigoldo) e il Concerto campestre del Louvre che tanta suggestione esercitò su Manet e gli impressionisti.
Come sottolineato da D’Annunzio, la fumosità e la brevità biografica hanno contribuito a creare un alone di mito intorno alla figura di Giorgione, amplificato dal raffinato allegorismo ermetico e plurivoco (probabilmente non estraneo al circolo Asolano, voluto da Caterina Cornaro e animato da Pietro Bembo), di cui è permeata l’opera dell’artista. Le profonde innovazioni apportate da Giorgione nella tradizione veneta si muovono in diverse direzioni. Innanzitutto, il colore, steso direttamente, senza contorni definiti dal disegno, con una sapiente modulazione delle tonalità, ottenuta attraverso gli effetti di luci e ombre e grazie alla piena padronanza della pittura a olio. I soggetti giorgioneschi rompono con l’egemonia religiosa, tanto da poterlo considerare un pittore che laicamente s’interroga sulle questioni universali, in contatto con ambienti culturali sofisticati. E’ centrale in Giorgione un rinnovato rapporto con la natura, un ritorno ad essa non come regressione agli istinti, ma come armoniosa fusione alla luce della più raffinata coscienza umanista, abbandonandone però il rigore della prospettiva antropocentrica. Pur non avendo mai goduto della popolarità di Tiziano e nonostante le estreme difficoltà attributive, Giorgione fu oggetto di culto già in vita e la sua fortuna presso appassionati e studiosi non ha mai subito appannamenti.