Ultimamente mi tornano in mente episodi del mio passato che avevo dimenticato, quanto volontariamente non so. Starò morendo e, come in ogni buona storia che si rispetti, mi sta passando davanti agli occhi tutta la vita? O è l'influenza di "La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio", che - con i racconti della storia nazionale recente intrecciati a quelli della vita di Enrico Brizzi - fa tornare a galla episodi ormai caduti nel dimenticatoio? Non so la risposta, di certo è che il libro di Brizzi sta contribuendo a portare a riva pezzi di legno, bottiglie rotte e anche qualche brutto pezzo di plastica. Uno dei brutti pezzi di plastica ha il sapore di un'occasione mancata, di una di quelle cose che tanto non torna più, che sarebbe stato bello se. Vengo al dunque. Nel 1998, era l'anno del mio terzo superiore, Radiorai produsse un programma dal titolo "Giornale in classe". Ogni mattina, dal lunedì al venerdì, un conduttore discuteva la rassegna stampa della giornata insieme a un gruppo di studenti di scuola superiore. Brizzi, che condusse il programma in più di un'occasione, fu mandato tra gli studenti di Verona, Cagliari e poi Comiso. Per chi non lo sapesse, Comiso è praticamente a due passi dalla mia città natale, dal paese in cui sono vissuta per 18 anni, dal luogo in cui frequentavo il liceo. L'avrei potuto raggiungere a piedi. Forse, per una volta in vita mia, avrei avuto un buon motivo per "caliarmela". Invece, non l'ho nemmeno saputo. Il mio scrittore preferito a pochi chilometri da me e io all'oscuro? Com'è potuto succedere? E, inoltre, ma perché il mio liceo non si è prestato, come il Carducci di Comiso, a ospitare la trasmissione? A pensarci bene, perché mai nessuno, a prescindere da una trasmissione radiofonica, portò un quotidiano nella mia classe?
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