Nuova puntata del nostro filone d’inchiesta su genere e giornalismo. Dopo aver utilizzato i dati ADS per vedere quante sono le direttrici di quotidiani, mensili e settimanali, oggi vi proponiamo un’analisi della questione di genere sulla base dei dati Inpgi al dicembre 2013 (gli ultimi disponibili).
Secondo i dati dei rapporti di lavoro dell’Istituto di previdenza di categoria, i giornalisti superano le giornaliste (10.030 vs 6.687) in tutte le aziende editoriali ad eccezione dei periodici, dove le donne compiono, seppur di poco, il sorpasso. In particolare, il divario è schiacciante nei quotidiani: 4.018 uomini contro 1.741 donne.
Gender gap per azienda editoriale | Create infographicsQuesto divario si ripercuote anche sulle qualifiche professionali. Di quelle registrate dall’Inpgi abbiamo confrontato i dati di genere relativi a direttore, vice direttore/condirettore, capo redattore e vice, capo servizio e vice, redattore ordinario, collaboratore, corrispondente e inviato. La parità è ben lungi dall’essere raggiunta in queste qualifiche. In alcuni casi, come direttore ed inviato, il divario è molto ampio.
Gender gap per qualifica professionale | Create infographicsSilvia Garambois, giornalista, vice presidente della rete GiULiA e componente del cda dell’Inpgi, commenta così questi dati: «Nel 2010 nei quotidiani c’erano 1.902 donne e 4.621 uomini: alla fine del 2013 sono rispettivamente 1.741 e 4.018. Sono i numeri della crisi: sta uscendo di scena in modo forzoso una generazione – con i prepensionamenti, gli incentivi, anche la chiusura dei giornali – in cui la presenza maschile era assolutamente preponderante in redazione. Eppure il gap uomini/donne non solo resta molto alto (le donne sono assai meno della metà), ma la forbice si sta riaprendo con gli accessi delle nuove generazioni: prova ne sia che tra gli iscritti alla gestione principale dell’Inpgi – in tutti i settori – le donne sotto i 30 anni sono 416 e gli uomini 533. Al contrario anche in recenti sessioni di esami professionali il numero delle donne superava quello maschile».
La Rai merita un piccolo approfondimento. Nella tv pubblica, dove pure la forte presenza di conduttrici dà un’idea paritaria secondo Garambois, gli uomini sono 1.077 contro le 781 donne (erano 781 anche nel 2010, contro 1.233 colleghi maschi). Il divario di genere a viale Mazzini riguarda anche le qualifiche professionali. A dicembre 2013 l’Inpgi ha registrato 3 direttori contro una, 17 vicedirettori o condirettori e nessuna donna, 200 capiredattori contro 79 caporedattrici. Su 83 cineoperatori soltanto una è donna.
Gender gap che la categoria ritrova anche in busta paga. Le giornaliste guadagnano meno dei colleghi e la forbice salariale aumenta all’aumentare dell’età contributiva: nella fascia d’età fino a 60 anni le donne guadagnano fino a meno 16.242 euro.
Retribuzione media nel 2013 | Create infographics«Quello che addirittura sorprende — conclude Garambois — guardando soprattutto alle nuove generazioni, è il gap economico, a prima vista inspiegabile: nella fascia sotto i 30 anni c’è un differenziale di 200 euro in busta paga (20.636 euro di retribuzione media per le donne, 20.836 per gli uomini), che si allarga progressivamente con l’età (diventa di 5.300 euro nella fascia dei quarantenni, di 9mila in quella dei cinquantenni). Significa che da subito, dall’ingresso in redazione, incidono fortemente sulle carriere femminili discriminazioni di fatto; del resto basta vedere i dati: nelle redazioni dei quotidiani, a fronte di 381 caporedattori, ci sono solo 61 caporedattrici (e anche alla Rai sono 200 uomini contro 79 donne).
Nell’analisi del dato medio la contrazione delle buste paga, che colpisce uomini e donne, è dovuta all’abnorme numero di stati di crisi e all’esplosione del ricorso alla cosiddetta “solidarietà”: non è affatto da escludere che la penalizzazione ulteriore della busta paga delle giornaliste, rispetto ai colleghi maschi, sia anche dovuta ad un maggiore ricarico di quote di “solidarietà” e comunque a penalizzazioni legate agli stati di crisi del giornale.
Elementi aggiuntivi che portano all’abbattimento del reddito femminile, inoltre, insieme ai periodi di aspettative per maternità, derivano poi — anche nel settore professionale dell’informazione – dalla necessità di permessi per il lavoro di cura familiare: anche qui, però, a incidere è ancora una volta la discriminazione nelle carriere più che le assenze. Se questa è la situazione degli “attivi”, quella dei pensionati è ovviamente speculare: una pensione media annua di circa 66mila euro per gli uomini, di poco più di 50 e 500 euro per le donne. È anche vero, però, che la piramide dei pensionamenti è assolutamente sbilanciata: quasi mille uomini tra 66 e 70 anni e solo 181 donne (e, nonostante si consideri nei calcoli attuariali che le donne abbiano vita più lunga degli uomini, sono 214 i pensionati uomini tra gli 86 e i 90 anni, contro solo 24 donne)».
La situazione italiana non è un caso isolato, ma rispecchia quello che anche i dati internazionali ci ricordano: