Giornalismo online. Una breve confutazione all’articolo di Maria Laura Rodotà “Perché siamo tutti troll: modeste proposte per autoregolamentare i forconisti dell’web”.

Creato il 18 dicembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Rina Brundu. Ho letto con molto interesse l’articolo di Maria Laura Rodotà pubblicato quest’oggi dal Corriere.it. Il pezzo è titolato “Perché siamo tutti troll: modeste proposte per autoregolamentare i forconisti dell’web”, a catenaccio: “I commenti incivili dei lettori online. La ricerca della University of Texas: “Opinioni che restano impunite. E diventa un problema”.

Ho detto che l’ho letto ma dico pure che faccio fatica a capirlo sotto molteplici punti di vista. Soprattutto faccio fatica a capirlo da entità digitale che vive l’web dal 1997, sono 16 anni ormai. Durante questo tempo ho fatto tutto ciò che era lecito in Rete: ho avuto siti miei, ho organizzato eventi, ho conosciuto persone, ho scritto centinaia di articoli, ma soprattutto nell’web mi sono confrontata con forza e dunque ho finanche vissuto sulla pelle il “trollismo”. Ho vissuto sulla pelle il trollismo “autorizzato, spalleggiato” dall’editore e/o dal moderatore, arrivando fino al punto di dovermi recare dall’autorità competente per riferire la problematica, ma mai indietreggiando.

“Mai indietreggiando” non perché nella vita non si debba indietreggiare (anzi!), ma perché nella nostra vita digitale così come in quella factual noi dobbiamo avere la possibilità di vivere liberi, liberi di esprimere le nostre critiche, le nostre opinioni e di godere della nostra libertà in pieno fino al momento in cui quella libertà non lede la dignità di un altro essere. In quel momento infatti ci si ferma. Soprattutto, ho fatto tutto ciò che ho fatto firmandomi col mio nome e il mio cognome, sempre! Questa è la conditio-sine-qua-non secondo me per essere credibili, per mostrare la nostra onestà fino in fondo, per poterci guadagnare un qualche diritto a dire le cose. Anche se naturalmente non è facile. Specialmente se si è donne. Perché anche in Rete le donne hanno una difficoltà in più e pure questo è purtroppo cosa nota.

Ma proprio per questi motivi, proprio perché ho fatto abitudine del qualificarmi nei miei interventi, rifiuto a priori l’idea che “siamo tutti troll”: io NON sono un troll, signora Rodotà, e questo mi preme ribadirlo. Così come non sono troll i tantissimi autori, o persone qualunque, di cui ho ospitato i pezzi nei miei siti e che sempre si sono presentati con un nome e un cognome (pena la non-pubblicazione), come si conviene tra persone degne e oneste. Ne deriva che se un editore – di qualunque tipo sia, anche quando si trattasse di un mero blogger – sceglie di proteggere l’identità dei suoi “commentatori”, permettendo loro di usare nick-fancy, questo editore si accolla anche la responsabilità dei loro commenti e del loro “dire”. Credo anche che in questa direzione ideale si siano mosse tutte le recenti sentenze delle Corti-competenti nei diversi Paesi quando si sono confrontate col problema del trollismo.

Ribadendo che l’anonimato in Rete è più rischioso di quanto scritto nell’articolo della brava giornalista del Corriere (qualsiasi intervento in Rete produce un segnale elettrico tracciabile con altissima precisione rispetto a tutta una serie di parametri sostanziali!), l’aspetto che mi lascia più perplessa nel leggere il suo pezzo è l’apparente naiveté (che non si capisce se sia dell’autrice o sia elemento interno alla ricerca esaminata), con cui viene affrontato l’argomento a macro-level, sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista sociologico. Da un punto di vista tecnico, infatti, sottolinerare che i commenti cambiano il “mood” dell’articolo è sottolinerare l’ovvio, l’ovvio datato, vox-populi. Della questione ne scrivevo nei miei moltissimi pezzi dedicati al giornalismo-online tanto tempo fa. Scrivevo di questo e di molte altre faccende tecniche che si producono quando si passa dall’universo dell’interazione scritturale cartacea (bidimensionale) al multiverso scritturale digitale internettiano (cronotopico).

Meravigliarsi invece che la Rete possa esprimere “inciviltà che deprime e diminuisce la fiducia nelle istituzioni” è da un lato incomprensibile dall’altro un poco fascistoide: nella Rete infatti si incastra la nostra anima e se ne esaltano le sue peculiarità, ma non si creano androidi dotati di nuova coscienza. Questo per dire che noi in Rete siamo ciò che siamo nella realtà; ma anche per dire che noi in Rete dovremmo cercare di essere persone migliori esattamente come dovremmo tentare di esserlo ogni giorno della nostra vita. Impedire l’espressione-dell’Essere in Internet (anche quando il modus di espressione non è dei più mirabili), sta però alla stregua del farlo nella Realtà e io nella Realtà questa cosa qui la chiamo dittatura.

A meno che non sia questo che in realtà sta rimpiangendo la Grande Stampa nostrana; ovvero, la possibilità di dire e fare come meglio-ci-pare, acriticamente. Non nego che il dubbio mi coglie. Ciononostante, concordo con la Signora Rodotà che fare il moderatore di un forum o di un sito è compito tutt’altro che facile (vedi il datato pezzo ridanciano – Giornalismo online: il moderatore (o dell’ Idra di Lerna), e del “Navigo, ergo scrivo!”); lo so bene – ah se lo so!, ma liberare il troll-in-noi questo mai: i troll bisognerebbe metterli dentro!

Featured image, Voltaire ritratto da Maurice Quentin de La Tour (1737-1740 circa).

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