Anna Lombroso per il Simplicissimus
Adesso abbiamo la certezza che la natura matrigna non ha dotato La Fornero del punto G, secondo Grillo. Lo abbiamo appreso ieri quando l’incauta ministra, convocata da una improbabile associazione apolitica di liceali bramosi di abbeverarsi alla sua personale decodificazione dell’altrettanto improbabile riforma del lavoro, ha chiesto che venissero messi alla porta gli indesiderati giornalisti. I quali, per una volta sollevatisi dalla proverbiale posizione prona, si sono ribellati all’ingiunzione, restando seduti ai loro posti nella non affollata sala. E lei: «Va bene, ha detto sconsolata. Ma se è così sarò costretta a parlare molto più lentamente, perché dovrò pensare ogni parola. Ma saranno gli errori a fare i titoli, perché succede sempre così: tu parli per 40 minuti e dici cose sensate e positive. Poi ti scappa una parola, e basta quella per fare il titolo, basta quella per determinare dibattiti che durano settimane. E questo è uno stato del mondo, ed è inutile lamentarsene».
Non ha pianto, stavolta la ministra, ancorché virilmente amareggiata. È che il governo dei nominati, invulnerabili dai cimenti elettorali, indifferente alle remote espressioni di piazza, intoccati perfino dagli scioperi della fame dei malati, è invece sensibile all’indicatore di consenso dei media, su cui sperimentano la strategia seriale degli choc: blandizie alternate a minacce, annunci seguiti da smentite, in un teatrino nel quale le parti in recita sono prevedibili e stabilite da regole ferree. Però la ministra che nelle sedi ufficiali si presenta garrula ma implacabile nella missione affidatale di seminare il terrore, avvicendando le lacrime e le risatine da ochetta festosa con il ghigno del killer senza scrupoli, non si è accorta di essere prigioniera della macchietta che lei stessa ha creato, e di risultare irresistibile perfino per una stampa entusiasticamente assoggettata al regime.
A meno che la sua, come quella di altri esponenti del governo inclini alle sortite inopportune, tentati dalle esternazioni provocatoriamente arroganti, non sia una furbizia studiata a tavolino, naturale prosecuzione nel segno della continuità delle corna del premier pagliaccio, delle cene eleganti, delle indiscrezioni sui vizi privati, sulle leggerezze maleducate, sulle uscite intempestive, lasciati filtrare sapientemente dagli arcana imperii, per distrarre ripetitori e altoparlanti compiacenti dai misfatti pubblici, dai reati, dalle sconvenienze dell’interesse personale, dall’oltraggio alla democrazia.
Il problema allora non è La Fornero, non è Grillo che censura i suoi attivisti e a un tempo stesso la stampa, inviando risibili editti. È che i giornalisti ci cascano come allocchi, intenti a osservare i “fenomeni” che affiorano dal fango e non il suo estendersi periglioso.
Per carità non è una patologia strettamente nazionale, la globalizzazione ne ha favorita la diffusione. Ma da noi è più tossica: da noi il giornalista è tradizionalmente più cortigiano che informatore. Colpa di un intreccio tra economia ed editoria, che si aggiunge, ancora più perverso, a quello ineluttabile tra politica e informazione: si tratta di un mercato debole quello dei giornali, acquisito e occupato da gruppi imprenditoriali “impuri”. Colpa di un giornalismo autoreferenziale, che, dalla fascistizzazione in poi, attinge da un bacino di soggetti socialmente ben integrati. Colpa di poteri che hanno ammansito la stampa, grazie al benevolo, dolce ricatto di sistemi assistenziali. E, oggi, colpa di una combinazione di questi elementi che rende la stampa poco permeabile alle nuove geografie della rete, attenta proprio come i partiti, alla conservazione di rendite di posizione, arroccata nella difesa di garanzie e di garantiti, rispetto a una molteplicità vitale sebbene ancora grezza di nuovi soggetti e nuovi modi di fare informazione.
La stampa, dopo vent’anni di occupazione, resta un terreno di conquista, ben disposta come una vecchia puttana a prestarsi agli stessi predatori. Non può far davvero paura a La Fornero, così come non ne fa a Grillo, che sta seguendo, purtroppo con lo stesso malaugurato successo, la traccia della Lega, già lisciato, corteggiato, premiato da opinionisti pronti a accreditarlo perfino come “costola della sinistra”, comunque incantati dalle sue bizze, dai suoi sberleffi, dalle sue pasquinate, dal suo ritmo pop.
Non si preoccupi La Fornero di una stampa che più che interpretare, ha inteso sostituire l’opinione pubblica. Non si preoccupi di firme-star che conoscendo e toccando solo l’intrigo, la manipolazione, l’inciucio, il retroscena, ha perso di vista l’Italia. Non si preoccupi di chi narra un Paese più mediocre, miserabile e arruffone dei suoi governanti, perché sono loro lo specchio che li rimanda, con la stupidità accidiosa dei partiti e l’arroganza incapace dell’economia.
Cominci invece a preoccuparsi e ad aver paura di noi.