Ormai è divenuta una piacevole consuetudine: pubblico il mio ultimo articolo scritto per Prisma News.
Sono circa una sessantina i giornalisti uccisi nel mondo negli ultimi sei mesi, e il Messico si conferma uno dei Paesi più pericolosi per chi esercita questa professione, con dodici vittime tra giornalisti e fotografi solo nell’ultimo anno, a cui si aggiungono undici reporter attualmente dati per scomparsi.
Le Associazioni non governative hanno lanciato l’allarme da tempo ma rapimenti e omicidi di giornalisti continuano, mentre aumenta il numero di quelli che decidono di vendersi a qualche "Cartello" di narcos per circa 500 dollari al mese, qualche prostituta e casse di alcolici. La situazione è pesantissima per l’informazione libera e proprio al Messico spetta il primato di questi ultimi sei mesi superando zone di guerra come Afghanistan e Iraq. Ma non bisogna dimenticare che il Messico è uno Stato in guerra. La guerra contro i narcos registra ogni giorno vittime, anche tra i civili. In questo stato di cose l’informazione zoppica perché come detto, molti minacciati decidono di offrirsi al nemico.
La paura spinge i 'periodistas' all’autocensura, anche perché non godono della protezione dello Stato. La denuncia arriva anche da esponenti importanti quali Frank La Rue e Catalina Botero, rappresentanti e ambasciatori rispettivamente di Onu e Organizzazione degli Stati Americani (Osa) per la libertà di espressione, che hanno svolto una missione investigativa dal 9 al 24 agosto scorsi nel Paese del presidente Felipe Calderón.
Secondo questa inchiesta, lo Stato si rifiuta di mettere mano a una normativa che regolamenti la radiodiffusione comunitaria, e spesso questo è l'unico mezzo di comunicazione di cui possono usufruire le comunità indigene. La mancanza di una regolamentazione ufficiale dell'informazione comunitaria ha costretto le radio a trasmettere spesso senza la concessione delle frequenze ponendo in grave pericolo le redazioni stesse, che più di una volta hanno subito perquisizioni e anche pesanti attacchi a opera della polizia.
In mezzo a tutto questo, emblematico è il caso del quotidiano El Diario che attraverso le sue pagine ha lanciato un’iniziativa quantomeno singolare con l’editoriale “Che cosa volete da noi?”, in pratica una richiesta diretta agli uomini del narcotraffico, dopo l’uccisione di un fotografo del giornale. L’articolo riconosce di fatto i narcos come l’autorità della città e a questi si rivolge per chiedere cosa debba essere scritto sul giornale e cosa tenuto nascosto.
Chiaro che di fronte a questo scenario neanche fa più notizia che un giornalista messicano abbia fatto sapere di aver ottenuto asilo politico negli U.S.A. dopo aver ricevuto minacce dalle autorità della sua regione di Ciudad Juarez, alla frontiera americana. Si tratta probabilmente del primo caso di asilo politico concesso da Washington a un giornalista messicano, e l’ennesima conferma di quanto problematica sia la situazione per chi esercita la professione.
L’ultima vittima tra i giornalisti è legata all’uccisione di Tony Tormenta, vero nome Ezequiel Cárdenas Guillén, il più sanguinario tra i boss esponente del Cartello del Golfo, abbattuto da uno squadrone dei marines messicani nel corso di dieci ore di Far West che hanno bloccato per tutto il giorno tre dei quattro ponti di frontiera verso gli Stati Uniti. Il giornalista del settimanale locale Expreso, Carlos Guajardo Romero, è stato ucciso mentre seguiva tali scontri, perdendo la vita assieme ad altre 58 persone.
Lo scenario ci presenta dunque una situazione gravissima, in cui il grido dei giornalisti appare quotidianamente sempre più soffocato dalla paura. Questo articolo intende essere un contributo modesto a chi non riesce ad esercitare nemmeno il proprio onesto mestiere.