Quanto a me, ne ho (ri) scritto da poco tempo e non sto a ripetermi. Mi sposto su un tema che merita riflessione e approfondimento: il “perdono”. Lo offre la miss Rosaria Aprea, ridotta in fin di vita dal compagno; lo ama e tornerà con lui quando uscirà dal carcere. Ove si trova perché il tentato omicidio è perseguito per legge, lei ha ritirato la denuncia. La mamma della sedicenne Fabiana, aggredita con 20 coltellate e bruciata viva, ha ricevuto dalla mamma di Davide, il suo giovanissimo uccisore, una lettera che dice: «Cara Rosa (…) chiedo perdono per mio figlio ma anche il mio cuore brucia di dolore». E Rosa, pur chiedendo giustizia, avrebbe indirettamente risposto: “Anche lui è una povera vittima “.
Trovo fuorviante il modo in cui i media propongono questo “perdono”; si fa confusione tra religione, etica e diritto e ne risente il concetto di responsabilità individuale, già in crisi da tempo, e che al contrario andrebbe recuperata con forza. Quasi tutti i violenti, picchiatori e assassini delle loro donne, sono in definitiva delle vittime: dell’educazione mancata, del cattivo esempio familiare, della cultura maschilista, della TV volgare e sessista e via deplorando. Il che non toglie che sia ciascuno di loro, singolo pensante e agente, il colpevole: da punire secondo legge e condannare moralmente.
Quali mamme e nonne, abbiamo ben chiari i nostri compiti educativi. E sappiamo che e’ un grave errore di giudizio confondere la comprensione umana e culturale – e la doverosa assistenza del soggetto nel suo percorso di riabilitazione – con l’irresponsabilità, giustificandolo col trasferire altrove le motivazioni della condotta offensiva. Per comprenderlo basta pensare a quanti uomini hanno subito i medesimi condizionamenti e non ne sono usciti quali aggressori e potenziali femminicidi.
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