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Giornata della Memoria: troppa retorica?

Creato il 29 gennaio 2015 da Temperamente

La Giornata della Memoria è stata istituita nel 2000 come ricorrenza internazionale per commemorare le vittime dell’Olocausto. Fissata al 27 gennaio, perché in quel giorno – ormai 70 anni fa – si realizzò la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, grazie all’intervento delle truppe sovietiche.

Soprattutto negli ultimi anni si è diffusa una certa sensibilità nel commemorare o celebrare le più svariate ricorrenze. Questo divide la gente tra chi approva e propone manifestazioni, iniziative, eventi (anche sui social) e chi, non condividendo, attacca e sottolinea l’inutilità di tutto il dispendio di energie profuse per l’occorrenza, adducendo tra i motivi di sfavore l’evidente convenienza di certe scelte editoriali o mediatiche, in senso ampio e ribadendo, inoltre, l’importanza di un impegno quotidiano, non solo in un giorno prestabilito.

Va riconosciuto che tutti gli anni le case editrici pubblicano, effettivamente, opere a tema, la tv trasmette film e documentari specifici, ma sarebbe inevitabile. Bisognerebbe, piuttosto, interrogarsi se la scelta sia dettata da questioni di coscienza e “obbligo morale” – espressione che non ho mai pienamente compreso, giacché tutto ciò che obbliga priva di libertà – o più intuibili ed evidenti ritorni economici.

Vengono finanziati spettacoli teatrali che ripropongono storie d’epoca; le scuole coinvolgono gli studenti in manifestazioni d’ampio e variegato respiro (cineforum, produzione di elaborati a tema, realizzazione di opere artistiche e via dicendo… d’altra parte, è pur sempre un modo alternativo, forse anche più efficace, di fare scuola).

D’accordo, c’è molta commercializzazione. È innegabile. Ma saremmo degli ingenui, se non ne tenessimo conto. Al tempo stesso, però, non sarebbe un valido motivo evitare le celebrazioni in occasione della Giornata della Memoria, fosse anche un modo becero e basso di ottenere likes sui profili facebook. Una polemica in questa prospettiva è sorta proprio su Facebook.

Qualcuno, giustamente, ha ricordato che proprio in quest’anno ricorre il centenario del genocidio degli Armeni (fu il primo del ‘900, condotto fra il 1915 e il 1916 da parte del governo turco, ai fini di eliminare la minoranza armena per motivi religiosi e politici: vent’anni prima erano già state uccise duecento mila persone). Tale episodio, tuttavia, ha avuto nel corso della storia molta meno risonanza.

Ma non è l’unico caso, si pensi: all’holodomor (morte per fame) in Ucraina, sotto il regime di Stalin, che prima collettivizzò le risorse agricole, poi le confiscò; alla guerra civile scoppiata in Nigeria nel 1967 (circa due milioni di morti); al genocidio in Cambogia tra 1975 e 1979 (fatti fuori due milioni di cambogiani, su un totale di 7, 7 milioni); alla strage in Ruanda (1994); al massacro di Srebrenica (1992-1995) con duecentocinquanta mila morti.

Tutte queste atrocità andrebbero ricordate, certo. Lo sterminio degli Ebrei, tuttavia, ha suscitato le attenzioni maggiori anzitutto per questioni numeriche (oltre 6 milioni di ebrei sterminati), ma anche per la crudeltà con cui sono stati portati alla morte, per la persistenza nel tempo e il fatto che si sia compiuto nel cuore dell’Europa, il continente della cultura e della civiltà. Un evento storico che ha sballato il significato stesso di “umanità”.

Può essere, quindi, un’occasione per far memoria anche delle  altre stragi o occasione per esortare alla civiltà. Ciascuno può nella sua quotidianità e in base alle proprie sensibilità, competenze, professionalità o possibilità promuovere la memoria nel senso più ampio possibile. È necessaria una forza costruttiva e propositiva, oltre che innovativa, piuttosto che la polemica sterile. Abbiamo bisogno di fatti veicolati da parole e non solo parole che distruggono fatti.

Quindi, ben vengano le Giornate già istituite, ma facciamo nascerne mille altre per ogni occasione che riterremo valida ai fini della collettività, così che siano occasioni di riflessione, stimolo, confronto, opportunità di conoscenza e partecipazione alla storia, anche e soprattutto quella quotidiana, che non finisce su tutti i libri scolastici, ma costa ugualmente fatica e volontà, senza tutte le amplificazioni mediatiche.


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