Roma 29.11.2014
Incontro tra tradizioni. “Ma quanto leggere, flessibili, nomadi possono essere le strutture psichiatriche inglesi!?” Non volevo credere ai miei occhi, guardando alle immagini finali della relazione di Rex Haigh-Janine Lees: mentre con sano pragmatismo inglese e toni piani e pacati avevano con brevi tratti ricapitolato i vari passaggi e successivi periodi della ‘tradizione’ dell’esperienza comunitarie inglesi, alla fine ho visto apparire alle loro spalle una yurta mongola costruita nella campagna inglese vicina all’aeroporto di Londra. Eppure tutto si tiene armoniosamente e felicemente nel mix di pragmatismo, basso profilo ideologico e potente idealità di questi splendidi colleghi. Un breve flashback, una ricapitolazione delle diapositive che avevano fino ad allora commentato e glossato il loro intervento ed ecco riapparire prima le stampe a china della Retrait di York; poi la foto sbiadita dei grossi caseggiati di Northfield, del Belmont Hosp. e poi quella della nuova costruzione ad un piano del Henderson fino alla sua chiusura (di cui ci veniva comunicato della sua possibile attuale destinazione ad affitto a privati); l’immagine rassicurante della bella casa tipicamente inglese in cui loro ospitano i loro gruppi di formazione; infine un lago di ninfee ed altre erbe palustri che ospita il loro ultimo progetto; la foto della consegna del premio per la creatività loro assegnato l’ anno scorso dal Royal College of Psyc. del progetto “Growing better lives Cic”, ecco poi, la spettacolare immagine di questa yurta mongola perfettamente circolare e del suo interno che ospita sotto le sue leggere arcate e pelli un cerchio di sedie perfettamente simmetriche. L’ immagine rimane impressa nella retina, ecco l’ ecologico e nomade Pantheon dei nostri maestri e colleghi inglesi.
Certo, ormai la situazione inglese e italiana, presenta molti aspetti comuni, le ristrettezze economiche innanzitutto, la varietà dei modelli e la loro flessibilità, i luoghi stessi dell’abitare e del risiedere in spazi comunitari, ma ci si è certo mossi a partire da situazioni assai composite e diverse. Per quanto riguarda l’ Italia la prevalenza dei movimenti di de-istituzionalizzazione hanno ancora come retaggio e potenza la psichiatria a sfilare, i suoi fantasmi, ma anche la concentrata potenza dei suoi mezzi e risorse. Siamo arrivati alla fine di un lungo percorso, e ne portiamo ancora nelle parole le tracce, pensate solo alla brutta espressione di derivazione amministrativa di “residenzialità leggera”. I rapporti con la ’tradizione’ e con le esperienze inglesi sono stati costanti. Più volte è stato menzionato nella giornata il carteggio tra Basaglia e Laing, le loro discussioni sui “luoghi” della psichiatria e della cura e sulle istituzioni nascenti. La foto del flyer di questa giornata ritrae una giornata di settembre del 2001 al Henderson nell’ambito delle annuali Leicester Conferences, dove assieme al compianto Enrico Pedriali possiamo ritrovare gli stessi presenti a questa nostra ultima giornata di novembre: riconoscibili Mannu, de Crescente (fotografo), Rex Haig. Ma la storia del modello italiano è tutta ancora inscritta nei termini delle dispute ideologiche tra modelli della riabilitazione e della psichiatria sociale, della de-manicomializzazione e dal duro confronto con la patologia psicotica. Possiamo dire che quella inglese sia veramente una ‘tradizione’? Non penso faccia parte della mentalità empirista inglese, pur assai conservativa ed austera per molti tratti, l’ idea stessa di una tradizione. Certo i nostri colleghi hanno radici profonde e legami di scuola, sono stati assai tenaci nel contrapporsi ai progetti thatcheriani di vera restaurazione in sanità, assai critici rispetto a modelli puramente statistici e quantitativi di valutazione, ma hanno fatto del realismo un tratto inconfondibile del loro stile. Hanno saputo modificarsi costantemente e flessibilmente, utilizzando la sponda, quando occorreva, dei vari programmi di salute pubblica e sociale (NPD programs o dei programmi per le prigioni, vedi importante relazione di Mike Goodwing sulla esperienza delle prigioni di alta sicurezza di Grendon, delle situazioni sociali, delle Charities per la homelessness e drugs adictions programs), de-materializzando e de-localizzando i progetti in setting modificati (in varie pratiche forme di down-sizing): CT “a dosi ridotte” per i nuovi programmi del sistema sanitario pubblico (NHS), a tre giorni la settimana, due giorni in Centro residenziale (in grossi centri urbani) e attività in comunità locali in aree più periferiche; “Mini-CTs”, formate da un giorno di attività settimanale + gruppo terapeutico, e “Micro-CTs”, di due ore di incontro alla settimana; fino alla virtualizzazione totale on-line del modello, parziale in North-Cumbria e totale a Edinburgo; costruendo la rete di supporto e revisione tra pari, progetto “Community of communities”; istituendo avanzatissimi progetti ecologici nella cornice del “Green Care” for Mental Health (J.Sempik, R. Hine, D. Wilcox) e Comunità transitorie di apprendimento nello stile del “living-learning”. Gruppi nomadi (“Tarnsient training TCs”) di escursione/apprendimento in Italia presso strutture e CT italiane ma anche in barca attorno alle Eolie, ecc. fino alla de-materializzazione completa, dei modelli “TCs in the head”, l’importazione dei principi del trattamento comunitario e del suoi modelli, nel trattamento della cura dell’infanzia, delle scuole e e degli ostelli e delle prigioni, dei modelli del “positive environement” dell’ambiente favorente lo sviluppo e dell’impowerment dei soggetti. Le ricerche sullo sviluppo emozionale primario e della possibilità di fornire a “secondary emotional development”. Lo sviluppo dei principi di queste strategie del pensiero comunitario sono sintetizzate nel volume del ’99 da Rex Haigh stesso [capitolo quintessenza sugli elementi essenziali del trattamento comunitario: attaccamento/contenimento/comunicazione/inclusione e agency, ovvero acquisire e detenere competenze su se stessi (esperti di sé) e nelle relazioni personali e terapeutiche con gli altri membri].
Sono molto curioso di vedere come saranno replicate/replicabili a Londra il 9 maggio 2015 le relazioni della tradizione italiana. Come sarà possibile presentare nuovamente e rendere fruibile per i colleghi inglesi i lavori di Josè Mannu, (sui limiti e criticità posti dalla collocazione in struttura simil ospedaliera-residenziale, con i rimandi alla presa incarico medico, di un apparato difettuale da riparare in dure tempi, e il progetto di trattamento conseguente e successivo, la ri-contestualizzazione nel territorio dell’intervento psico-socio-riabilitativo ed il modello della “recovery”) e l’ ampia relazione introduttiva sullo stato dell’arte del modello italiano da parte di Giuseppe Gagliardi (l’ analisi delle fasi dell’accoglienza, dell’inserimento e della dimissione, dei modelli formativi degli operatori. Tra tutti gli interventi (occorre sottolineare l’invito del presidente del Lazio della SIRP, Paolotti, a dotarsi di strumenti condivisi di valutazione degli esiti, ICF in primo luogo), quelli di Ionta (sull’utilità della riflessione sull’esperienza inglese onde evitare la trasformazione del REMS in piccoli manicomi), Tassoni (sulla riflessione sulla tendenza all’autoreferenzialità e al problema della relazione con le amministrazioni e il SSN), Grignani (sullo spaesamento e la delocalizzazione dei progetti sulle persone fatto paradossalmente a partire proprio dalla rivisitazione dell’esperienza comunitaria), vorrei menzionare soprattutto la freschezza dell’intervento di Massimo Marà: una lezione di entusiasmo e di capacità critica fondamentale e rinfrancante per tutti noi.