La lista di “nemici di Internet”, aggiornata ogni anno da Rsf (scarica qui il documento completo), comprende in quest’occasione dieci paesi: Arabia saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Iran, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam, accusati di “combinare con frequenza il filtro severo, i problemi di accesso, la persecuzione dei cyber-dissidenti e la propaganda online”. Escono dalla lista nera, per la prima volta, Tunisia ed Egitto, inseriti però nel folto numero di paesi ancora “sotto osservazione”. E questo perché, seppure la caduta di Ben Ali e Mubarak viene interpretata come un segnale di speranza, “si impone la vigilanza fino a quando gli apparati di censura non verranno smantellati. Le autorità – avverte Rsf – devono dimostrare trasparenza sotto questo aspetto”.
Che il 2010 sia stato un anno di svolta per la consacrazione delle reti sociali e del ruolo del web come strumento di mobilitazione è fuor di dubbio: basti ricordare che a fine dicembre il numero di utenti Facebook aveva raggiunto quota 600 milioni, rispetto ai 350 dell’anno precedente, mentre a settembre le persone che utilizzavano Twitter erano 175 milioni (rispetto ai 75 del 2009). Ma secondo l’ong per la difesa della libertà di stampa, con sede a Parigi, le rivolte popolari degli ultimi mesi nel Nordafrica e nel Medio Oriente sono state soprattutto “rivoluzioni umane”, nelle quali “Facebook e Twitter hanno funzionato come cassa di risonanza, trasmettendo e amplificando le frustrazioni e rivendicazioni dei manifestanti”.
La Rete, però, continua a essere utilizzata anche dai regimi come strumento di propaganda e di manipolazione. Fino ad arrivare, in casi eccezionali, al blocco totale di Internet.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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