Ci siamo, da lunedì parte il periodo più caldo di questa legislatura. Più bollente di quel fatidico 14 dicembre perché alla tenuta del governo di intrecciano importanti provvedimenti economici e accordi internazionali.
Questi gli appuntamenti: martedì 8 novembre ripresentazione del Rendiconto di Bilancio alla Camera, bocciato l’11 ottobre per un voto e, per la prima volta nella storia, riscritto dalla Corte dei Conti; martedì 15 novembre arriva al Senato il DDL Stabilità, con tanto di maxiemendamento con le misure promesse all’Europa e al G-20; martedì 29 e mercoledì 30 lo showdown finale con la Legge di Stabilità a Montecitorio.
Sempre che ci si arrivi, a martedì 29. Di fatto, da quando riprenderanno i lavori parlamentari, ogni giorno sarà buono per la caduta del governo. Anche perché la situazione si è ribaltata. Dopo la scissione di FLI, tutti i giorni precedenti a un voto di fiducia erano caratterizzati dai traffici di Verdini e dagli acquisti della Maggioranza. Oggi, invece, sono all’ordine del giorno le partenze.
Ieri hanno ufficializzato l’addio al PDL e l’entrata diretta nell’UDC Alessio Boncia e Ida d’Ippolito Vitale. Una mazzata non da poco visto che, tenendo conto dell’ultimo voto di fiducia del 14 ottobre, il governo passa da 316 a 314 voti. Quindi meno della maggioranza assoluta alla Camera. E questo è un dato incontrovertibile, al netto dei boatos.
Se poi si stanno a sentire le voci di corridoio, pure quota 314 sembrerebbe essere un miraggio per l’asse PDL-Lega-varie ed eventuali. Sei deputati hanno firmato una lettera chiedendo le dimissioni di Berlusconi e l’allargamento dell’esecutivo: sono Roberto Antonione (il primo coordinatore di Forza Italia), Isabella Bertolini, Giustian Destro, Fabio Gava, Giancarlo Pittelli e Giorgio Stracquadanio. Qui, è bene avvisare, si entra abbastanza nell’ambito delle probabilità e solo in Aula si potrà verificare la veridicità di certe ipotesi.
Antonione ha annunciato che non voterà la fiducia, la Destro e Gava non erano presenti il 14 ottobre e probabilmente seguiranno il co-firmatario, così come Pippo Gianni del Pid, una delle tante mini-stampelle. Stracquadanio, invece, è orientato verso il sì. Ma sotto questi atti ufficiali si nasconderebbero altri insoddisfatti di cui ancora non si conoscono le intenzioni circa la fiducia. In dubbio Francesco Pionati, Roberto Marmo e Luciano Sardelli. Maurizio Paniz ha recentemente bocciato Berlusconi, affermando che la Maggioranza dovrebbe cambiare cavallo affidandosi a Renato Schifani o a Gianni Letta, anche se ritengo improbabile un suo voto contrario.
Oggi Cicchitto avrebbe confidato a Berlusconi che i malpancisti traditori sarebbero 18. In questi casi, bisogna far attenzione anche alle assenze strategiche. Il grande stratega delle ultime manovre di Palazzo è Pierferdinando Casini che può puntare su un cospicuo allargamento del suo gruppo in caso di elezioni. E questo fa gola a molti in casa azzurra, visto che le urne restituirebbero una pattuglia dimezzata. Sono i senza futuro, più che coloro con maggiore responsabilità e senso dello Stato, a guardarsi intorno. Triste da dirsi in un momento del genere, ma questa è la Casta che ci governa ora come ora.
Se il salto da PDL a PD pare eccessivo (anche se tecnicamente converrebbe arruolarsi in Sinistra Ecologia e Libertà per avere un seggio sicuro), molto più allettante la prospettiva di una Costituente dei popolari, democratici e riformisti offerta da Casini con il benestare di Fini.
Gli assi nella manica di Verdini sembrano scarseggiare, anche se non dubitiamo che in questi momenti stia contattando furiosamente possibili transfughi Fli, Udc, Pd e Idv. Una possibile soluzione potrebbero essere i Radicali, da sempre alla ricerca di sponde per una riforma della giustizia e delle carceri, che però si sono detti non disponibili a votare una fiducia a prescindere dai contenuti. Sarebbero più numerose le frecce nella faretra di Casini, sempre più deciso a svolgere il ruolo dell’ago della bilancia nel Parlamento del futuro.
Maggioranza alle strette, dunque, ma a quando il tonfo?
Pare, ma sono solo voci, non martedì. Perché Napolitano, nel corso dei suoi colloqui informali, avrebbe caldeggiato l’approvazione del Rendiconto di Bilancio. Ma va sottolineato che nella nota, molto sibillina, il Capo dello Stato ha affermato che tutti sono liberi di agire in Parlamento.
Martedì il Rendiconto, salvo sorprese, dovrebbe passare con l’astensione o con l’approvazione dell’Opposizione e poi la stipulazione di un documento in cui dimostra come il Governo non abbia più i numeri. L’extrema ratio dell’Opposizione rimane la mozione di sfiducia, magari indicando pure un altro possibile governo. Qualora le acque siano ancora più agitate in seno alla Maggioranza, c’è l’ipotesi che sia proprio quest’ultima a far saltare il numero legale e rimandare tutto di una settimana, gettandosi a capofitto nel mercato.
Il vero dramma, però, è che il Governo non ha più niente da offrire in cambio. L’opinione pubblica e il resto del partito vedrebbero malissimo un ampliamento dei sottosegretari o dei viceministri. Inoltre molti nuovi entrati sono rimasti a bocca asciutta e gli altri potrebbero trarre le debite conseguenze. Infine, pur essendo difficile che si vada alle elezioni, anche se non imminenti, con una legge diversa dal Porcellum, il gruppo parlamentare sia del PDL che della Lega subirà una forte contrazione. Difficile garantire seggi. Vedremo cosa si inventeranno Verdini e Cicchitto. Intanto Berlusconi è deciso a resistere, resistere, resistere.
Il problema, comunque si evolverà la questione, è quella del dopo. Se Berlusconi sarà sfiduciato, si apre un ventaglio di opzioni tutte bene o male impraticabili. Un nuovo governo di PDL-Lega a guida Schifani o Letta difficilmente sarà appoggiato dall’UDC (ormai sempre più all’Opposizione) e quindi finirebbe per subire la stessa sorte di quello attuale. Un governo di larghe intese con un tecnico (Mario Monti) non avrebbe l’appoggio del PDL e della Lega e sarebbe debolissimo, ma necessario perché comunque delle misure straordinarie per l’economia bisognerebbe approvarle. Le elezioni causerebbero uno stallo di 3-4 mesi francamente non sostenibile e poco gradito a Napolitano.
L’unica via è mantenere questo governo? Sarebbe la soluzione più comoda ma allo stesso tempo meno efficace. in futuro potrebbero essere necessarie misure ancora più lacrime e sangue (le più estreme patrimoniale e prelievo forzato dal conto corrente) che però Berlusconi osteggia in tutti i modi. Non vuole essere ricordato come l’uomo che ha messo le mani nelle tasche degli italiani. Ma se continua così finirà per passare alla storia come il Presidente che ha portato l’Italia al disastro.
Fonti: Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Repubblica