La morte passa e ci lascia indifferenti. Ci urta, si mette a nudo. Anche troppo, più di quel che vorrebbe. Così capita che un altro giorno di ordinaria follia, meditata, si traduca a chilometri di distanza in un giorno di ordinaria indifferenza. E’ capitato nel giorno dell’attacco terroristico a Lione in Francia e sulla spiaggia di Sousse in Tunisia.
Succede di esorcizzare la vita, e la realtà. Ci si abitua a tutto. Alla stanchezza e alla demotivazione. Alla bruttezza, che silenziosamente prende il posto della bellezza. Ci si assuefà al silenzio, prolungato. All’indifferenza che divora le coscienze. Al dolore che ci sfiora, e alla violenza. Si convive con la paura, con l’incertezza. E con la morte, anche quella che colpisce a sangue freddo gli innocenti. Anche a quella brutalmente sponsorizzata dai mass media. Quella che viene imposta con l’immagine di volti e corpi lacerati e abbandonati a terra. Vittime alle quali a volte non è concessa neanche la dignità di un velo. Ci si abitua a tutto, anche all’istinto di difendersi da quell’orrore che lascia indifferenti di fronte alla morte.
Nei giorni del terrorismo, non si perde troppo tempo a commentare la morte di innocenti. Anzi si fa finta di niente: si alza la gamba sull’orrore e si va oltre, con passo indifferente. Non c’è tempo per condividere un’emozione, per riflettere e comprendere la realtà. Basta sintetizzarla in frame sanguinosi, come insegna a tanti l’informazione più veloce, quella che preferisce al racconto della verità fotografare l’orrore ad ogni costo. Presentando una realtà complessa come il terrorismo nel modo più semplice, con il simbolo della morte.
L’invito è a non lasciarci disorientare. A non lasciare che la paura ci renda attoniti, fino all’indifferenza. Rinunciando anche a quel corrosivo vojerismo, con cui vengono guardate la morte e l’orrore.
Oggi ha vinto il terrorismo, e anche noi siamo vittime anestetizzate dell’orrore.